2020-07-20
Migranti liberi di scappare dai centri. Da Nord a Sud allarme per gli infetti
Decine di immigrati in fuga in Umbria e in Puglia. Il prefetto di Venezia vuol riaprire l'ex base di Cona, simbolo del degrado.Per anni, a sinistra, hanno continuato a ripetere come un mantra che la soluzione al problema dell'accoglienza era una e una soltanto: accoglienza diffusa. Basta con i grandi centri, gli stranieri andavano sparsi, in piccoli gruppi, per tutto il territorio nazionale. In questo modo si sarebbero evitate ruberie e si sarebbe favorita l'integrazione. Bene, in queste ore possiamo finalmente vedere alla prova questo sistema, e saggiarne i risultati, che possono essere facilmente riassunti con una sola parola: delirio. Gli ultimi dati disponibili, relativi a venerdì, mostrano che i migranti arrivati finora in Italia sono 9.775. Un anno fa, nello stesso periodo, erano 3.186, fate voi i conti. Come abbiamo raccontato nei giorni scorsi, sono già parecchie decine quelli risultati positivi al coronavirus, ma finora il governo si è ben guardato anche solo dal pensare di istituire un blocco navale o dal prendere misure drastiche per fermare gli sbarchi. Di conseguenza, i centri di accoglienza siciliani (e dell'estremo Sud più in generale) si sono intasati, motivo per cui il Viminale ha preso l'ennesima geniale decisione: distribuire le persone nelle altre Regioni. Così, nel caso ci sia qualche positivo alla malattia, avrà meno problemi a spargere il contagio.Per rassicurare la popolazione, il governo ha stabilito che gli stranieri siano sottoposti a quarantena all'interno delle varie strutture. Piccolo problema: i migranti non vogliono saperne di rimanere bloccati, e appena possono si danno alla fuga. È accaduto un po' dappertutto, l'ultimo caso gravissimo è quello di Gualdo Cattaneo, in provincia di Perugia. Un folto gruppo di migranti è stato trasferiti in una struttura chiaramente inadeguata ad accogliere potenziali infetti, cioè un ex agriturismo gestito da una cooperativa sociale. Tutto, per altro, all'insaputa del sindaco. Come era facile immaginare, è finita malissimo: circa 25 tunisini, restii all'idea di affrontare la quarantena, sono scappati. Solo due sono stati rintracciati, e fortunatamente risultano in buona salute. Ma tutti gli altri? Il sindaco del paese dice di non aver ricevuto informazioni approfondite sui nuovi ospiti. Gli è stato detto che, prima del trasferimento, gli stranieri sono stati sottoposti a test sierologico, ma a quanto pare nessuno di loro ha fatto il tampone. Niente male: grazie alla politica dei porti aperti sono stati spediti in Umbria decine di extracomunitari che adesso se ne vanno a spasso senza essere stati adeguatamente controllati. La stessa identica cosa avviene a Taranto, dove ieri una ventina o più di stranieri trasferiti nel locale hotspot dopo essere approdati a Lampedusa si sono dati alla macchia. Anche un altro gruppetto aveva provato a fuggire, ma le forze dell'ordine l'hanno bloccato. Insomma, Regione che vai fuggiaschi che trovi: chi lo spiega agli italiani che per mesi sono rimasti barricati in casa per paura del contagio?Ovviamente, mica è finita qui. A Jesolo, un paio di giorni fa, sono stati trovati 43 stranieri infetti in un centro gestito dalla Croce Rossa. Come risolvere la situazione? Semplice: trasferendo i contagiati in un Comune vicino, Cavarzere (10 in una struttura gestita da una coop, una trentina in una casa colonica in campagna), dove comprensibilmente sindaco e abitanti si sono infuriati. In questo frangente, poi, c'è un ulteriore aspetto da valutare. Jesolo è una località turistica, e quando la notizia del focolaio ha cominciato a diffondersi i vacanzieri hanno disdetto parecchie prenotazioni, tanto che Ascom Confcommercio locale ha deciso di sporgere denuncia in Procura. «Vogliamo che vengano accertate le responsabilità penali di tutti i soggetti coinvolti», dice Alberto Teso, delegato comunale di Confcommercio. «Chiediamo di sapere anche quando è stato scoperto il caso, che accertamenti sono stati fatti nei confronti di tutti gli ospiti del centro. Con riserva di costituzione di parte civile per il danno al tessuto economico».La ciliegina sul disastro l'ha messa Vittorio Zappalorto, prefetto di Venezia, che ieri ha rilasciato un'inquietante intervista al Gazzettino. Il prefetto ha spiegato che nella sua area di competenza ci sono circa 85 migranti in quarantena, ma è sempre più difficile tenerli a bada. «Abbiamo tre strutture da sorvegliare, dobbiamo mettere piantoni a tutte le porte. Ho calcolato che ci vogliono almeno 60 persone, ci vuole personale». Zappalorto ha chiesto che gli siano inviati rinforzi. Gli stranieri non vogliono adattarsi ai protocolli di sicurezza, e trasferirli nei paesi è diventato rischioso: «Non possiamo avvertire i sindaci perché sennò ci troveremmo la gente ad attenderci con i forconi». Come fronteggiare il disastro? Il prefetto una soluzione ce l'ha, ma non è per niente piacevole: riaprire il centro di Cona, il moloch divenuto negli anni il simbolo della mala accoglienza all'italiana. È bastato pronunciarne il nome perché da Lega e Fratelli d'Italia arrivassero fiumi di comunicati furenti.Ma anche fuori dal centrodestra c'è chi ha perso la pazienza. Cateno De Luca, sindaco di Messina (non certo un sovranista), è impegnato in uno scontro frontale con il ministero dell'Interno. Dopo l'ennesima fuga in massa dall'hotspot di Bisconte, il primo cittadino ha emesso un'ordinanza per chiuderlo, ma al Viminale non hanno affatto gradito. A De Luca è arrivata una nota in cui il ministero informa di voler esaminare il provvedimento per valutare se sia conforme alla legge. Di fronte a questa reazione, il sindaco si è imbestialito, ha dichiarato che il centro di accoglienza è «abusivo» e ha fatto sapere che andrà avanti per la sua strada, con l'intenzione di demolire la struttura. Se nulla cambierà, ha concluso, «denuncerò tutti per omissione e abuso».Ecco, questo è il meraviglioso scenario creato dalla stupefacente «accoglienza diffusa». Caos totale in mezza Italia, migranti infetti o potenzialmente infetti che se ne vanno in giro a piacimento, centri al collasso, città e paesi in rivolta. E un prefetto che minaccia di riaprire un mega centro notoriamente ingestibile (portato come esempio negativo anche dalla sinistra proprio per sostenere la teoria della ospitalità a piccoli gruppi). Un bel successo, non c'è che dire. Purtroppo era facile da prevedere: se gli sbarchi continuano e il governo pensa solo a come smantellare i decreti sicurezza, l'unico esito possibile è una nuova invasione. Che volete farci: l'importante è mostrarsi buoni e accoglienti, e se si mettono in pericolo gli italiani chissenefrega.
Il cpr di Shengjin in Albania (Getty Images)
L'ad di Eni Claudio Descalzi (Ansa)
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