2021-08-12
Per Saviano ogni famiglia è mafiosa. A smentirlo ci pensa papa Wojtyla
Lo scrittore sproloquia sul «Corriere» per distruggere il nucleo della società. Ma un libro appena pubblicato con gli scritti del santo sul matrimonio chiarisce: non è possibile crescere al di fuori di un contesto di relazioni.Nei giorni scorsi, sul Corriere della Sera, Roberto Saviano si è dedicato alla demolizione della famiglia. Prendendo le mosse dal sistema mafioso, ha pensato bene di allargarsi all'istituzione famigliare nel suo complesso, toccando in effetti un tema estremamente rilevante. Per una volta, dunque, l'autore di Gomorra merita d'esser preso molto sul serio. A suo dire, nell'universo mafioso la famiglia è «innanzitutto organizzazione, è mutuo soccorso ma solo verso chi ha il “merito" di condividere lo stesso sangue. Il matrimonio è un patto economico tra gruppi. I figli sono protezione del patrimonio e eredità. Le amicizie sono momentanee e utili se arrecano vantaggio». Tale forma di organizzazione votata al profitto, tuttavia, secondo Saviano va ben oltre la Camorra e Cosa nostra: «Chi crede che questo sia solo un comportamento delle famiglie criminali non ha abbastanza studiato le famiglie del capitalismo contemporaneo, macchina di controllo e competizione, di accordo e feroce ricerca di profitto. La criminalità organizzata è soltanto capitalismo nudo, senza infingimenti».Non ha tutti i torti, Saviano, quando sostiene che, nell'organizzazione sociale neoliberista, anche all'interno dell'istituzione famigliare si è incistata «la regola della concorrenza, della competizione, del colpire prima di essere colpiti, di trovare la strada per ricattare, comandare, arricchirsi». In questo quadro, la famiglia «perdona e accoglie per poter essere non solo violenza ma anche garanzia di sicurezza e pace, perché è nella sicurezza e nella pace che crescono maggiori guadagni».A stupire, piuttosto, è la conclusione dell'autore campano, che sentenzia: «Quando mi chiedono quando finiranno le mafie rispondo quando finiranno le famiglie. Quando l'umanità troverà nuove forme d'organizzazione sociale, nuovi patti d'affetto, nuove dinamiche in cui crescere vite».Auspicando l'abolizione della famiglia, Saviano contribuisce - forse senza rendersene conto - ad alimentare il sistema che a parole contesta. Ciò che egli descrive, infatti, è una sovversione della famiglia, un simulacro abietto, o - al limite - l'apoteosi del malfunzionamento dell'istituzione. Tale forma perversa di famiglia sopravvive proprio perché funzionale alla dinamica del capitalismo, mentre la famiglia in senso pieno e vero viene ferocemente osteggiata dal sistema economico, e dalla sua ideologia di bandiera di cui Saviano è ottimo portavoce. In realtà, come scrisse G. K. Chesterton, «il capitalismo è in guerra con la famiglia». A dimostrarlo ci sono le frequenti intemerate liberal in stile Cirinnà, riassunte nell'ormai celebre slogan: «Dio, Patria, famiglia = vita di merda». Proprio le parole di Chesterton aiutano a sciogliere gli equivoci in cui si è impantanato Saviano: «Il capitalismo», spiegava lo scrittore britannico, «crede nell'associazionismo per sé stesso e nell'individualismo per i suoi nemici. Desidera che le sue vittime siano individui o, in altre parole, atomi. Se esiste un qualsiasi legame, se esiste una fraternità, se esiste qualche lealtà di classe o disciplina familiare secondo la quale il povero può aiutare il povero, questi liberatori lotteranno certamente per sciogliere quel legame o controllare quella disciplina secondo la moda più liberale».Perché il neoliberismo osteggia la famiglia? Perché è basata sulla gratitudine e sul dono. A spiegarlo con dovizia di particolari è stato Karol Wojtyla in una serie di scritti su matrimonio e famiglia che l'editore Cantagalli ha appena pubblicato in edizione italiana (compreso un interessante testo inedito sull'etica sessuale cattolica) con il titolo Amore sponsale. Wojtyla cita con frequenza la Gaudium et spes, in cui si afferma che «l'uomo non può ritrovarsi se non attraverso un dono sincero di sé». Tale dono di sé è alla base del concetto di comunione, cioè communio, che è poi la realtà su cui si fonda (o dovrebbe fondarsi) la famiglia quale prima cellula della società. Nella «relazione comunionale», sostiene san Giovanni Paolo II, le persone si realizzano «attraverso il mutuo dono di sé che possiede il carattere della sincerità e proprio per questo merita pienamente il nome di dono». È il dono che dà «inizio alla relazione, in certo qual modo la crea proprio perché è indirizzato verso un'altra persona o persone». Donandosi l'un l'altro, e poi trasferendo il dono ai figli, i coniugi creano una comunione di persone. Si può dire che questo sia il fulcro del pensiero cristiano, il quale da sempre «difende una dimensione extrautilitaristica dell'agire o dell'esistere dell'uomo. Questo», specifica Wojtyla, «è strettamente legato alla dottrina evangelica dell'amore e della grazia. La grazia è in ultima analisi (e al tempo stesso nel suo primo e fondamentale significato) un dono sincero di Dio verso l'uomo che attua e al tempo stesso rivela proprio quella dimensione extrautilitaristica dell'esistere e dell'agire, propria del mondo delle persone. Così dunque anche nelle relazioni interumane “il sincero dono di sé" (della persona) è alla base dell'intero ordine dell'amore, di tutta la sua autenticità». Come ha mostrato il filosofo Roberto Esposito, nel cuore della parola communitas si trova il munus, cioè un tipo particolare di dono, «distinto dal suo carattere obbligatorio». Tale dono è libero, sincero, ma esige comunque una mutualità, una reciprocità: «Una volta che qualcuno abbia accettato il munus è posto in obbligo (onus) di ricambiarlo o in termini di beni o di servizio (officium)». Poiché però il primo dono è divino (la grazia), e da quello discendono tutti gli altri, parliamo di qualcosa di incommensurabile, che non è possibile restituire se non, appunto, donando interamente sé stessi. Questo è il dovere del cristiano, e Wojtyla lo specifica. Nel Vangelo, spiega, «l'amore è impostato come dovere e nel suo significato oggettivo è esigente». Il dono ricevuto va restituito, per gratitudine: così si crea il circolo virtuoso che ci mette in comunione gli uni con gli altri, così si spezzano i legami utilitaristici. Per opporsi alla legge del profitto che tanto fa orrore a Saviano, non si deve abolire la famiglia. Semmai bisogna aiutarla a svolgere pienamente il suo compito, cosa che i sinceri progressisti amici di Roberto si guardano bene dal fare.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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