2024-04-07
«Rischiamo di deturpare la natura mentre siamo convinti di tutelarla»
Il professore Carlo Iannello: «Installare i pannelli solari sul tetto di un palazzo non è come piazzarli in mezzo alle colline della campagna toscana. La modifica alla Costituzione sulla protezione ambientale crea dei pericoli».Prosegue spedita la crociata verde dell’Unione Europea, che di recente ha avviato la caccia all’«ecocida» introducendo una direttiva che inasprisce le norme contro la criminalità ambientale e i comportamenti dannosi per l’ecosistema. La «Nature restoration law» (Legge sul ripristino della natura, ndr) è stata approvata dal Parlamento europeo a febbraio e prevede pene fino a 10 anni di reclusione e 40 milioni di multa, con ammende per le aziende fino al 5% del fatturato globale annuo. Nell’elenco dei nuovi reati figurano il commercio illegale di legname, l’esaurimento delle risorse idriche, l’inquinamento provocato dalle navi ma anche qualsiasi azione che provochi il deterioramento di un habitat all’interno di un sito protetto. Il provvedimento obbliga anche gli Stati membri a riportare in buone condizioni il 20% delle aree terrestri e marine degradate entro il 2030. Il testo, ora al vaglio del Consiglio europeo, sta incontrando qualche resistenza sebbene pare difficile che lo sfilarsi dell’Ungheria, l’opposizione di Polonia e Finlandia e la contrarietà a titolo personale» del primo ministro belga possano impedire all’iter legislativo di proseguire. Questa ulteriore stretta green risponde infatti ai dettami dell’ideologia ambientalista che, incubata da decenni, ormai detta l’agenda politica, economica, sociale; dopo la direttiva contro l’ecocidio, l’obiettivo dichiarato è infatti quello di progredire verso l’istituzione di un codice di diritto penale dell’Unione in materia ambientale. Il dubbio che tanto fervore normativo abbia scopi diversi da quelli proclamati e serva gli interessi delle multinazionali della green economy si rafforza davanti a «soluzioni» quali la conversione di campi in distese di pannelli fotovoltaici o la riduzione della produzione agricola con il pretesto di diminuire le emissioni di azoto.«Il quadro va ribaltato per non cadere nel controsenso di difendere l’ambiente deturpando il paesaggio», avverte Carlo Iannello, docente di Diritto dell’ambiente, Diritto pubblico dell’economia e Biodiritto presso l’Università della Campania Luigi Vanvitelli, il quale parte dal presupposto che il pensiero ambientalista non possa che fondarsi sulla difesa dell’uomo, che passa per la difesa della cultura e dell’attività umana insita nei luoghi. Professore, a cosa serve un ecosistema sostenibile dove però vengono rimosse le tracce di umanità, cultura e bellezza?«Il paesaggio è la parte visibile dell’ambiente. La loro relazione è armoniosa, non conflittuale. Nella nostra tradizione di tutela, dalla legge Croce del 1922 fino al codice del 2004, il paesaggio è sempre stato tutto ciò che ci circonda, espressione del legame tra natura e cultura. La nostra identità è influenzata dal paesaggio e, a sua volta, la cultura umana costruisce il paesaggio. Il paesaggio tutelato non è solo la cima innevata ma tutto il territorio come modificato dal lavoro umano per adattarlo alle esigenze della vita quotidiana: dalle colline cilentane terrazzate ai muretti a secco pugliesi ai filari di vite che disegnano i rilievi toscani. Si sta facendo però strada una diversa idea di ambiente, veicolata dalla «tecno-economia», per dirla con Natalino Irti, separata dalla cultura e dalla natura, cioè dai valori umanistici, che va respinta».A promuovere l’ambientalismo si prodigano da decenni agenzie e organismi internazionali; ora si sta adeguando anche la nostra Costituzione? Mi riferisco alla modifica dell’articolo 9, che ha introdotto una specifica tutela per l’ambiente. Era così necessaria? «No. Come chiarito dalla Corte costituzionale, l’ambiente era già un valore costituzionale in base all’articolo 9, che tutela l’aspetto visibile dell’ambiente, e all’articolo 32, che tutela la salute quindi l’ambiente salubre. Nel 2001 la «tutela dell’ambiente» è stata introdotta espressamente in Costituzione e affidata allo Stato. Non solo la modifica non era necessaria, ma comporta rischi. Crea un precedente, perché l’articolo 9 rientra tra i principi fondamentali, considerati intangibili. Inoltre, rischia di essere interpretata come volta a sganciare l’ambiente dalla cultura, mettendolo in contrapposizione con il paesaggio per una contingenza politica: favorire le realizzazioni del Pnrr, espressive della cosiddetta green economy»La nostra giurisprudenza che bilanciamento potrà svolgere?«Finora la giurisprudenza ha fatto prevalere il legame tra cultura e natura (in coerenza con l’articolo 9) sull’economia, anche green. Se ambiente e paesaggio venissero letti in contrapposizione, la modifica del 2022 potrebbe condurre a bilanciamenti diversi, alterando il principio fondamentale. Ciò non sarebbe ammissibile. Il valore culturale è, e deve restare, prioritario. Paesaggio ed ambiente vanno letti come un’endiadi, due valori volti alla tutela del nesso tra natura e cultura».Dal punto di vista del diritto, quanto è legittima la «rapina» del territorio che si profila in nome della transizione ecologica e contro la quale hanno protestato gli agricoltori di tutta Europa?Ci vuole equilibrio. Le esigenze connesse alla tutela dei servizi ecosistemici devono trovare tutela nel rispetto dei valori culturali insiti nell’ambiente: una cosa è installare pannelli fotovoltaici sui tetti dei palazzi in cemento armato, altra sulle colline toscane, attentando alla cultura e sottraendo terreno per usi agricoli e tradizionali. L’agricoltura è la più tradizionale espressione della civiltà umana che, plasmando l’ambiente, ha contribuito alla costruzione del paesaggio. Il consumo di suolo è sempre grave, anche se si colora di green. In coerenza con l’impostazione di Croce, in sede di conversione del decreto Galasso, Giulio Carlo Argan nel 1985 disse che il paesaggio «è un immenso libro […] in cui sono scritti millenni di storia», auspicando «che il mondo moderno non lasci bruciare fino in fondo quel libro». Le modifiche del territorio non possono «bruciare» la civiltà umana. Da Croce ad Argan fino al codice del 2004 è sempre stato chiaro che tutelare il paesaggio significasse tutelare, assieme, l’uomo, la natura e la cultura. Non è da oggi, purtroppo, che una tecno-economia priva di limiti e scissa dalla cultura, mette in pericolo questi valori. Tanto che lo stesso Croce, nel 1946, lanciò un monito con un saggio che pare scritto per oggi: «La fine della civiltà»».
Sergio Mattarella (Getty Images)
Francesco Saverio Garofani (Imagoeconomica)