
Incredibile intervista sdraiata a un organizzatore di traversate clandestine. Che si permette di lanciare un anatema: «Il vostro premier si rassegni, ad agosto ho già 30 viaggi completi. Fateci lavorare in pace». E al quotidiano progressista non battono ciglio.La sinistra riparta da Hassan. Che gironzola con il pick-up per Sfax (Tunisia), ascolta il rapper Balti con il cuore che sanguina e «sembra il direttore finanziario di un’azienda milanese in pausa weekend». Invece è uno scafista, anzi - come lo definisce La Repubblica nell’intervista più importante del giornale - un «passeur», con lo scopo di creargli attorno un’aura di intellettualismo da rive gauche, confondendo (come al gioco delle tre carte) chi organizza i viaggi della morte sulle bagnarole in Mediterraneo con i passatori che aiutavano gli ebrei a fuggire dai nazisti attraverso le Alpi e i Pirenei, e mettevano in pericolo innanzitutto le loro vite. Il motivo della risciacquatura verbale in Arno è ardìto: legittimare il malvivente come interlocutore istituzionale per attaccare anche su questo fronte il governo di Giorgia Meloni.Il tentativo è surreale e agli occhi dei lettori Hassan sembra avere la stessa autorevolezza di Sabino Cassese o Giovanni Maria Flick mentre difendono la Costituzione, di un colonnello ucraino nella trincea di Bakhmut, dello stesso Peter Higgs mentre spiega il bosone. Il codice giornalistico è lo stesso e provoca un minimo di straniamento. Non perché un’intervista a uno scafista più o meno anonimo sia vietata (anzi dentro c’è il consueto fascino esotico), ma perché la narrazione dello sdoganamento morale ha in sé qualcosa di forzato, perfino di osceno. Basterebbe dare un numero: 824. Secondo la Guardia costiera tunisina sono le persone annegate dall’inizio dell’anno a fine aprile nell’«area professionale di competenza del nostro passeur», scriverebbe La Repubblica.Secondo Hassan il rallentamento dell’invasione non è merito degli accordi fra palazzo Chigi o Unione Europea con il governo di Tunisi. No, sennò che senso avrebbe avuto l’intervista? «Se i viaggi si sono ridotti è solo perché il tempo è strano e soffia un vento molto forte. È il cambiamento climatico, non fatevi illusioni», spiega l’Horatio Nelson politicamente correttissimo. «Neppure il Profeta in persona potrebbe bloccare l’harka, termine per definire l’immigrazione clandestina». Verrebbe da dire che la sua è un’harka bucata, ben diversa da quella di Noè che non faceva pagare 5.000 euro a passaggio con il rischio di finire in fondo al mare. Ma lui ha una spiegazione: «I pescatori non ci cedono più le loro imbarcazioni, hanno paura dei controlli della polizia, possono essere incriminati. Allora facciamo costruire barche di legno qui nella zona di Sfax, in 5-6 giorni». Una tempistica da Dinghy biposto. Con un controllo qualità da far invidia a quelli dell’Alfa Romeo Arna.Poiché all’inferno il diavolo è un eroe positivo e non si parla che di lui, alla fine il capo scafista (che non si sporcherebbe personalmente le mani) sembra uscito da un film di Sandro Veronesi, fa parte del ceto medio riflessivo magrebino e lancia il suo autorevole anatema: «La Meloni si deve rassegnare, siamo al punto di non ritorno. Ad agosto ho già 30 viaggi completi e pronti a partire». In attesa che i reparti speciali navali - quelli detestati da Michela Murgia e Roberto Saviano - facciano saltare in aria le bagnarole vuote sulla riva (le assemblano in sei giorni, che problema c’è), veniamo a sapere che il signor scafista non ha mai avuto un naufragio e parla come un manager della Costa Crociere ritenendo che «il cliente è il re». Poi rassicura anche in merito alle potenzialità di carriera. Per i criminali del mare l’ascensore sociale funziona: «Ho 29 anni, sono partito dal basso cinque anni fa, ho una società in regola in un altro settore come copertura». Per la vulgata progressista andrebbe bene anche Jack lo Squartatore, basta che si contrapponga al governo e non lasci speranze ai destri. Dopo la lenzuolata sul giornale non ci stupiremmo se venisse alla luce, a sinistra, la necessità di creare un ordine professionale degli scafisti per rappresentare i loro diritti. Con lo stesso effetto che ebbe Adolf Hitler per la categoria degli imbianchìni. Già dopo il naufragio di Cutro i media con redazione al Nazareno tentarono di sdoganare la figura del trafficante di uomini facendolo passare per vittima della società occidentale. Poveri ruvidi lavoratori di frontiera, proletari senza legge costretti ad affrontare le correnti e i cavalloni su bastimenti arrugginiti, con un carico di gente spaventata che non sta mai ferma e si ostina a non annegare con silenziosa dignità. Ma che squallore. Sullo sfondo del paginone rimane un senso di alienazione visiva. Dal 25 settembre scorso La Repubblica, afflitta da gastrite cronica, ha creato un eroe alla settimana con lo scopo peraltro legittimo di minare l’azione dell’esecutivo: dai divanati di cittadinanza sull’Aventino ai pm orfani dell’abuso d’ufficio; dai «pacifinti» di ogni ordine e grado al mondo arcobaleno in eccitazione permanente; dai nostalgici della Cgil di Luciano Lama agli imbrattatori di monumenti di Ultima Generazione. Gli scafisti come categoria antigovernativa costituiscono un passo avanti decisivo «e ad agosto gliela faremo vedere». Al primo sciopero generale italiano il direttore finanziario dei passeur potrebbe sfilare accanto a Maurizio Landini con il passamontagna di Beppe Grillo e uno striscione che rivendica le tutele costituzionali degli scafisti (eviteremmo «Onda su onda»). Anche lui tiene famiglia e al presidente tunisino Kais Saied, che ha la provocatoria pretesa di fare accordi con la Meloni, manda a dire: «Ci faccia lavorare in pace e basta». Nessuna interferenza, business is business perché la destra va affondata con ogni mezzo. Fino alla prossima strage, rigorosamente di Stato.
Nel 2025 la Bce ha tagliato di 1 punto gli interessi, ma i prestiti casa sono diventati più cari. Su un fisso (9 su 10 lo preferiscono al variabile) da 150.000 euro a 25 anni il salasso è di 600 euro all’anno. Motivo? I mercati non credono possano esserci altre sforbiciate.
La Bce taglia i tassi o comunque non li aumenta e i mutui per comprare casa sono sempre più cari. È questo il paradossale fenomeno con il quale devono fare i conti le famiglie italiane che hanno deciso di indebitarsi pur di coronare il sogno di una vita: l’abitazione di proprietà. Tanto per intenderci: nel 2025, la Banca Centrale Europea ha limato per quattro volte il costo del denaro portandolo dal 3 al 2%. Si poteva sperare in qualcosa in più soprattutto con un Europa che cresce a ritmi lentissimi e con un’inflazione tutto sommato stabile, ma tant’è.
Le fake news russe diventano la scusa per varare il Democracy shield, l’ente per la «resilienza democratica» con cui l’Europa si arrogherà il diritto di controllare l’informazione. Che già influenza coi soldi a tv e giornali.
La Commissione europea si prepara a sferrare un attacco frontale contro quella che definisce «disinformazione» e «ingerenza straniera», ma i suoi piani sollevano gravi interrogativi sulla libertà di espressione dell’Unione. L’iniziativa, presentata come il nuovo «Scudo europeo per la democrazia» (Democracy shield), viene lanciata oggi a Bruxelles. Al centro di questo piano c’è la proposta di istituire una nuova struttura, il Centro europeo per la resilienza democratica, presentata come un polo per coordinare gli sforzi tra l’Ue e i Paesi membri contro attacchi ibridi di disinformazione provenienti, in particolare, da attori stranieri come la Russia.
Antonio Chiappani (Ansa)
Proteste in commissione Covid per l’audizione di Antonio Chiappani, il procuratore che indagò Conte e Speranza per epidemia colposa. Lui cita il codice penale: non impedire un evento evitabile equivale a cagionarlo.
Ancora una volta gli auditi proposti dalla maggioranza sono puntualmente contestati dall’opposizione. Succede in commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza sanitaria Covid. Ieri, a essere ascoltato era Antonio Chiappani, già procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo. «Sono qui per rappresentare tutte le criticità della prima fase della pandemia», ha spiegato più volte il magistrato, elencando le conseguenze del mancato aggiornamento e della non attuazione del piano del 2006. Apriti cielo. Il deputato Alfonso Colucci del M5s ha strepitato che «non è il caso di rifare il processo a Conte e Speranza», e che Chiappani avrebbe definito «sbagliato il provvedimento del tribunale dei ministri» mentre «le tesi dell’accusa si sono rivelate un buco nell’acqua».
2025-11-12
Viale Papiniano, il cantiere finisce sotto sequestro: per la Procura è nuova costruzione abusiva
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Dopo le inchieste dell’estate scorsa, arriva il provvedimento della magistratura: bloccato il palazzo di otto piani che avevamo raccontato su La Verità. Secondo i pm, dietro la Scia di ristrutturazione si nascondeva un intervento fuori scala, privo di piano attuativo e permesso di costruire.
In agosto era soltanto uno dei tanti cantieri finiti sui tavoli della procura di Milano tra le decine di filoni dell'inchiesta urbanistica. Oggi, quelle carte sono diventate un fascicolo giudiziario. E' stato disposto il sequestro preventivo dell’area di viale Papiniano 48, dove la società Papiniano 48 Srl stava realizzando un edificio residenziale di otto piani e due interrati al posto di un vecchio laboratorio commerciale di tre piani.
Secondo il decreto firmato il 10 novembre dal pubblico ministero Giovanna Cavalleri, con la co-firma del sostituto Luisa Baima Bollone e coordinanti dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano, si tratta a tutti gli effetti «di una nuova costruzione in assenza di valido titolo edilizio». Il provvedimento, emesso d’urgenza, ordina il blocco immediato dei lavori «per evitare l’aggravamento delle conseguenze del reato e l’ulteriore avanzamento dell’edificio abusivo».
Gli indagati sono Mauro Colombo, direttore dei lavori e progettista, e Salvatore Murè, amministratore unico della Papiniano 48 Srl e della Murè Costruzioni. Entrambi sono accusati di lottizzazione abusiva e costruzione senza permesso di edificare, in violazione del Testo unico dell’edilizia.
La storia del cantiere — già raccontata questa estate dalla Verità — era iniziata con una Scia edilizia (Segnalazione certificata di inizio attività) presentata nel 2021 come “ristrutturazione con demolizione e ricostruzione”. In realtà, scrive la Procura, l’intervento “consiste nella demolizione integrale di un fabbricato e nella costruzione di un nuovo edificio di otto piani fuori terra e due interrati, con caratteristiche morfologiche e volumetriche completamente diverse”.
In altre parole: non un recupero, ma una nuova costruzione. E non una qualsiasi. L’immobile, una volta completato, avrebbe superato i 25 metri di altezza e i 3 metri cubi per metro quadrato di densità, soglie che — spiega il decreto — obbligano per legge a un piano attuativo o una lottizzazione convenzionata. Nessuno dei due strumenti era stato approvato.
Il Comune di Milano aveva già sospeso i lavori nel maggio 2024, rilevando «caratteristiche dimensionali e morfologiche eccedenti i limiti consentiti» e avviando un procedimento di annullamento d’ufficio della Scia. La società, tuttavia, ha ripreso il cantiere nell’autunno di quest’anno, dopo aver tentato — invano — di trasformare la pratica in un permesso di costruire convenzionato tramite un accordo con Palazzo Marino.
Il 16 ottobre scorso la Papiniano 48 Srl ha comunicato la ripresa dei lavori “a prescindere dall’esito del procedimento”, e pochi giorni dopo gli agenti della Polizia Locale hanno documentato la gettata del primo piano in cemento armato. Da qui l’intervento urgente della Procura.
Nel decreto si parla esplicitamente di una vicenda “sovrapponibile” ad altri cantieri già finiti sotto sequestro — come quelli di via Crescenzago e via Cancano — e di una “prassi illegittima” consolidata negli anni, in cui opere edilizie ad alto impatto urbanistico venivano impropriamente qualificate come ristrutturazioni per evitare piani attuativi e permessi di costruire.
La Procura ricorda anche la circolare comunale del 2023, sospesa la scorsa primavera, che aveva aperto la strada a interpretazioni “elastiche” dell’articolo 41-quinquies della legge urbanistica, quello che impone limiti di altezza e densità. «Tale disposizione — scrivono i magistrati — esprime un principio fondamentale della pianificazione, non derogabile da circolari o leggi regionali».
Il terreno di viale Papiniano 48, inoltre, è sottoposto a vincolo paesaggistico e rientra nel “Nucleo di Antica Formazione” del Comune, oltre che nel vincolo regionale “Naviglio Grande – Nucleo rurale di interesse paesaggistico”. Per la Procura, la trasformazione dell’area «comporta una lesione irreversibile dei beni tutelati dalla normativa urbanistica e ambientale».
L’edificio preesistente era basso, a uso commerciale, compatibile con il tessuto storico. Il nuovo, con otto piani e due interrati, cambierebbe completamente la morfologia dell’isolato.
Il sequestro di viale Papiniano arriva in un momento cruciale per l’amministrazione milanese, ancora alle prese con le inchieste sull’urbanistica che hanno toccato anche dirigenti comunali, professionisti e imprenditori. La stessa delibera di Giunta del maggio 2025 — citata nel decreto — era nata per fare chiarezza dopo mesi di indagini e polemiche.
Ora, con questo nuovo provvedimento, la magistratura sembra consolidare una linea: la stagione delle “Scia creative” è finita.
E quel palazzo che in agosto sembrava solo “troppo alto per essere vero” diventa oggi un simbolo giudiziario del nuovo corso milanese, dove i confini tra ristrutturazione e nuova costruzione non sono più soltanto una questione tecnica, ma un banco di prova per la legalità urbanistica della città.
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