2023-05-24
Se il Quirinale arruola «I promessi sposi», i sepolcri del Foscolo ci parlano del Pd
Ugo Foscolo (Getty Images)
Il capo dello Stato interpreta l’autore del «Cinque maggio» in chiave antimeloniana. Mentre la destra non può citare Dante Alighieri.Ammettiamo d’essere un po’ confusi. Eravamo rimasti che non si potessero utilizzare i grandi autori del passato a scopi politici, che fosse proibito anche solo citarli. Infatti quando il ministro Gennaro Sangiuliano individuò in Dante Alighieri il fondatore del pensiero «di destra» fu assalito da una muta di cani rabbiosi: dal Pd ad Azione passando per i Verdi fu unanime lo sdegno. A sintetizzare il pensiero comune provvide la piddina Irene Manzi: «Sangiuliano lasci stare almeno Dante. Capiamo che è un’ottima fonte di pubblicità e che al ministro piace pronunciare parole in libertà, ma non scomodiamo il padre della lingua italiana per analisi risibili e caricaturali». All’offeso coro si unirono poi scrittori, attori, giornalisti, nani e ballerine.Ma ecco che, d’improvviso, Sergio Mattarella chiama in causa Alessandro Manzoni, e subito son tutti pronti a spellarsi le mani. «È stata bella la lettura che il presidente Mattarella ha dato del nostro massimo capolavoro ottocentesco», ha sentenziato ieri su Repubblica Corrado Augias. «Anche lui, come Manzoni, appartiene a quella cultura cattolica di ampia liberale visione che molto ha contribuito all’incivilimento del nostro Paese. La sua lettura “politica” è stata non solo giusta ma necessaria». Ciò che a Sangiuliano è proibito, per Mattarella diviene necessario.E dunque via con l’interpretazione parzialissima del gran letterato che ha fatto l’Italia, dipinto quale acerrimo nemico del populismo (e ovviamente, va senza dirlo, della destra al potere) e quale anticipatore della Costituzione-più-bella-del-mondo-ma-solo-se-ci-fa-comodo. Anzi, par di ricordare che nel capitolo nonsoquale de I promessi sposi ci sia proprio un accenno all’inopportunità dell’autonomia differenziata. Non fatevi ingannare, poi, dal riferimento manzoniano al «sangue» degli italiani: egli era un convinto mondialista tifoso del meticciato, al punto da utilizzare Francesco Lollobrigida come calco per descrivere i Bravi al servizio di Don Rodrigro. Il quale Rodrigo, se lo esaminate bene, ha senz’altro i tratti di Giorgia Meloni (sì, sappiamo che Don Rodrigo nel libro è un maschio, però Manzoni anticipò anche la fluidità di genere, quindi…). Quanto all’Innominato, chi potrebbe essere? Salvini? Orbán? Putin? La Roccella contestata al Salone su cui il presidentissimo non ha spesso mezzo verbo? Mah.Insomma, questo Manzoni era di certo un sostenitore del Pd, forse con qualche simpatia per Italia viva o Azione. Risulta poi - da alcuni studi filologici commissionati dal Quirinale - che la fin troppo famosa ode Il cinque maggio si intitolasse in origine Il 15 maggio, a celebrazione del giorno in cui Luigi Di Maio è stato scelto quale inviato nel Golfo. Solo in seguito, e di sicuro per via di oscure trame sovraniste, il titolo è stato cambiato.Ci fermiamo qui, ma il giochino è talmente divertente che ci aspettiamo, nel prossimo futuro, di trovare sui manifesti dei partiti progressisti il fior fiore dei letterati: perché accontentarsi di Roberto Saviano quando si può avere, per dire, Cecco Angiolieri («s’i fosse Renzi arderei ’l mondo, si fosse Calenda lo tempesterei») o Petrarca (quando scriveva: «Non era l’andar suo cosa mortale ma d’angelica forma», aveva chiaramente in testa Elly Schlein)? E che dire di Ugo Foscolo? Sarebbe perfetto per la prossima campagna elettorale del Pd, da attuarsi tramite distribuzione de I sepolcri (imbiancati).Seriamente: che il Manzoni sia un padre della patria non v’è dubbio. E che se ne possa dare anche una lettura politica in senso elevato e ampio è altrettanto chiaro. Come ha ben scritto Marcello Veneziani nell’antologia I fiori del bene, nell’intera opera manzoniana è appunto il bene a stare al centro: «Il bene come dirittura morale, come fede e devozione, il bene come amore e saggezza, buon senso e carità; il bene come amor di Dio, della patria e della famiglia». Ma non per questo avrebbe senso trasformarlo in un elettore del centrodestra, o sfruttarne le frasi per sostenere chissà quale basso progetto di legge. Risulta vagamente fastidioso, nonché grottesco, che ora la sinistra italica se ne appropri in chiave antidestrorsa. Soprattutto se si considera quanto - a partire da Antonio Gramsci e soprattutto dal Sessantotto in avanti (purtroppo con poche eccezioni) - Manzoni fu spregiato e trattato alla stregua di un produttore di mattoni buoni soltanto per la scuola reazionaria.Ed è ancora più irritante che dei capolavori manzoniani si faccia una cernita tanto ipocrita. Anche perché se proprio volessimo ricordarne nel complesso la lezione morale e politica, difficilmente potremmo trascurare cio che emerge da La storia della colonna infame. Curiosamente, se n’è ricordato ieri un altro mirabile esegeta, Giovanni Bazoli, che vi ha rinvenuto tracce di attualità: «C’era già tutto», ha scritto. «L’idea della pericolosità degli stranieri, lo scontro violento tra le autorità, la ricerca spasmodica del cosiddetto paziente zero, il disprezzo per gli esperti, la caccia agli untori, le voci incontrollate, i rimedi più assurdi, l’emergenza sanitaria». Vero, in quello scritto c’era già tutto: di sicuro c’era l’emergenza sanitaria. Tanto che, volendo, vi si potrebbe persino scorgere qualche riferimento all’amato Mattarella. Lo stesso che lunedì, sfruttando Manzoni, applaudiva «l’aspirazione alla libertà». Ma che nel 2021 dichiarava: «Non s’invochi la libertà per non vaccinarsi». A proposito di untori...
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