2020-07-20
Questo è il governo delle serrande abbassate
Cinquantamila ristoratori, tra il quali lo chef Gianfranco Vissani, scrivono al governo. L'occasione è la gaffe della viceministro dell'Economia, la grillina Laura Castelli, la quale intervistata in tv a proposito della crisi in cui versano le trattorie si è lasciata andare a un giudizio degno di Maria Antonietta, la consorte di Luigi XVI che al popolo affamato e senza pane replicò invitandolo a mangiare brioche.Invece, alle lamentele dei cuochi per le conseguenze dell'epidemia di coronavirus, Laura Castelli ha risposto dicendo di chiudere gli esercizi. «Se non ce la fanno, cambino mestiere» è stato il lapidario giudizio. Ovviamente, al viceministro per mancanza di titoli, non è venuto in mente che se i ristoratori non ce la fanno forse è il caso di aiutarli. Né le è passato per la testa che se in Italia chiudono i ristoranti, o almeno gran parte di essi, se ne va un pezzo di storia e - diciamo pure - una bella fetta di Pil. Tra le tante motivazioni per cui gli stranieri vengono nel nostro Paese, oltre alle spiagge e alle meraviglie artistiche, c'è sicuramente la buona cucina. Ma se adesso i turisti dall'estero scarseggiano a causa delle limitazioni imposte dall'emergenza Covid, chiudere i ristoranti invitando gli chef a cambiare mestiere non è certamente la soluzione. Primo perché lavori alternativi non ce ne sono, prova ne sia che il tasso di disoccupazione è in crescita. E poi perché calare la serranda equivarrebbe a calarla su una delle aziende più grandi del Paese. So che la Castelli ha occhi solo per Ilva e Alitalia, due buchi neri che, insieme ad Autostrade, prossimo buco dovuto alla nazionalizzazione voluta dal governo Conte, presto dilapideranno miliardi, ma la ristorazione è, insieme all'hotellerie, la vera grande industria italiana, forse l'unica che dovrebbe essere preservata e sostenuta.Ciò detto, non credo che la lettera aperta dei ristoratori avesse come obiettivo solo la Castelli. La viceministra è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma non è a lei che i firmatari si rivolgono. Il destinatario della missiva è, come scontato, il presidente del Consiglio. È a lui che pensano migliaia di persone che ogni giorno mettono in tavola un menu per gli italiani. Da quando è scoppiata l'epidemia di coronavirus, i ristoratori hanno registrato solo perdite. La chiusura li ha lasciati da soli a combattere con le banche, gli istituti di previdenza e quelli di credito. Poi, una volta riaperto, hanno dovuto fare i conti con una clientela che è stata dimezzata dal distanziamento dei tavoli e ulteriormente ridotta dalla paura degli italiani di pranzare in compagnia del Covid. Gli allarmi lanciati ogni giorno dai virologi hanno allontanato non solo i turisti, ma anche i clienti abituali e là dove non sono riusciti i cosiddetti esperti ci ha pensato lo smart working, che confinando i lavoratori nelle loro abitazioni li ha allontanato dai ristoranti.La situazione è sotto gli occhi di tutti coloro i quali non vogliono chiuderli. Laura Castelli esclusa, si fa fatica a non vedere che molti chef non hanno riaperto perché i costi sarebbero maggiori degli introiti. Ed è impossibile non accorgersi che, al di là del distanziamento imposto dalle regole di prevenzione, numerosi tavoli continuano a rimanere desolatamente vuoti anche ora che le persone potrebbero tornare a mangiare in libertà. Un governo che avesse il polso del Paese, non ci metterebbe un secondo a capire che senza misure di sostegno e senza una robusta iniezione di liquidità la gran parte dei ristoranti non passerà il Natale. Ammesso e non concesso che i proprietari si svenino, finanziando in perdita l'attività nei prossimi mesi, quanto potranno durare? Fino a settembre? O forse ottobre? Ma poi tirare le somme sarà inevitabile.Giuseppe Conte avrebbe dovuto capirlo subito, già a marzo, dopo avere introdotto il lockdown. Con i locali chiusi, quelle piccole aziende che sono i ristoranti avrebbero fatto molta fatica a riaprire, perché mentre tasse e affitti correvano, gli introiti erano al palo. La crisi della ristorazione rischia però di portarsi dietro anche quella dei produttori di vino, perché se sei mesi di fermo hanno fatto sì che le cantine siano stracolme di bottiglie invendute, a settembre, quando dovranno vendemmiare e di conseguenza imbottigliare, non avranno né i soldi né gli spazi per stoccare milioni di bottiglie. Risultato, per l'economia, e per un mercato che vale molti miliardi di Pil, sarà un'altra botta.In tutto ciò, chi ci governa dov'è? Il presidente del Consiglio ha inseguito per mesi una soluzione europea, ma ogni giorno che passa ci dimostra che la soluzione immaginata non esiste. Conte sperava in un successo a Bruxelles per scongiurare un insuccesso a Roma, ma più passano i giorni e più lo stallo appare drammatico per le conseguenze che potrebbe avere sull'Italia, stretta tra una carenza di soldi e un'assoluta mancanza di idee.Ma se a Palazzo Chigi brancolano nel buio e nell'incertezza, il Parlamento che fa? Da settimane dibatte sul disegno di legge contro l'omofobia. Come se il problema principale del Paese fossero le condizioni dei gay. Non ho nulla contro chi ama una persona dello stesso sesso: per quel che mi riguarda un adulto può amare chi gli pare. Ho molto invece contro chi perde tempo a parlare di gay e non dei nostri guai. Ecco, altro che disegno di legge antiomofobo. Io farei un disegno di legge contro i ciarlatani travestiti da statisti. Sono certo che gli italiani se fosse loro consentito lo voterebbero all'unanimità.