2020-02-24
Pure Xi fa mea culpa ma i buonisti militanti restano in servizio
Pechino ammette: «Carenza nelle nostre risposte». Dem e soci, però, spengono gli allarmi a forza di cene-spot con i cinesi.L'epidemia di coronavirus è stata «la più grave crisi sanitaria della Cina dal 1949». A dirlo non è stato un pericoloso razzista o un sovranista sinofobo, ma il presidente cinese Xi Jinping. Il quale ha spiegato che ci troviamo di fronte a una malattia con «la più rapida diffusione, la più infettiva e la più difficile da prevenire e controllare». Non solo. Il leader cinese è arrivato persino a mettere da parte la consueta arroganza per dichiarare che il suo Paese «deve trarre la lezione dalle carenze emerse nella risposta» alla diffusione del coronavirus. Sappiamo bene quali siano state queste «carenze». La Cina ha nascosto dati fondamentali, ha tentato di insabbiare, di far passare sotto silenzio la gravità della situazione. Ha intimato ai medici che denunciavano di tacere, poi ha fatto la voce grossa con i Paesi che cercavano di tutelarsi. Che la Repubblica popolare avrebbe reagito così, però, c'era da aspettarselo. Ma, nelle settimane passate, chiunque abbia cercato di farlo notare è stato immediatamente bollato di sinofobia, accusato di razzismo, trattato da ignorante xenofobo. Oggi, dunque, non soltanto la Cina ma anche l'Europa e l'Italia debbono «trarre una lezione» dalle «carenze» emerse nella loro risposta all'epidemia. Dovremmo chiederci, per esempio, a che cosa serva l'Unione europea se non riesce a gestire un'emergenza sanitaria in modo unitario, magari chiudendo i voli, limitando e controllando gli spostamenti a livello continentale. Ma soprattutto dovremmo chiederci che diamine abbiano in testa alcuni nostri politici, responsabili di campagne deliranti che hanno messo in pericolo la popolazione. Portiamo, a questo proposito, un esempio piccolo ma significativo, un caso che ha dell'incredibile e, in parte, spiega la sottovalutazione dell'epidemia verificatasi dalle nostre parti. Ieri, al sito Fanpage, fonti interne all'ospedale di Lodi - città che si trova a una ventina di chilometri dal focolaio di Codogno - hanno detto senza mezzi termini: «Sì, ci sono pazienti affetti da coronavirus ricoverati a Lodi. E ci sono anche pazienti che non provengono dall'epicentro dei dieci comuni del basso lodigiano isolati». Le stesse fonti hanno aggiunto: «Noi come operatori sanitari dell'ospedale di Lodi non siamo stati convocati da nessun vertice per capire come gestire la situazione e abbiamo agito di buonsenso. Abbiamo mandato a casa tutti i pazienti che potevano essere dimessi per allontanarli dal potenziale focolaio. Siamo tutti in una bolla. Ognuno ha cercato di comportarsi con le massime precauzioni possibili». Cose del genere sono potute accadere perché, a livello governativo, l'epidemia è stata presa sotto gamba. Invece di invitare a tenere alta la guardia, interi settori della politica e dei media hanno cercato di minimizzare, e hanno continuato a farlo fino a pochi giorni fa. Proprio a Lodi, invece di suggerire cautela, il Partito democratico, il 15 febbraio (cioè sabato scorso) invitava a… recarsi al ristorante cinese. Proprio così: su Facebook il Pd locale invitava i cittadini a partecipare a una giornata «contro i pregiudizi e gli allarmismi fuori controllo». Lo slogan era «noi non abbiamo paura». Sul volantino pubblicato online (e ora rimosso) si leggeva: «Il coronavirus è un problema serio, va affrontato con gli strumenti della scienza. La psicosi collettiva sta danneggiando famiglie cinesi che non vedono il loro Paese da anni». Dunque, domenica 16 febbraio, tutti al cinese: pranzo a 10 euro nei cinque locali aderenti in città. Il lunedì successivo, i dirigenti dem erano in festa: «Al ristorante Hong Kong, alla Martinetta, c'era persino la fila per entrare. Ma anche negli altri 4 ristoranti cinesi (Mod di viale Dalmazia, Kokoro di via Defendente, Megu di viale Piacenza, La Pagoda di via Borgo Adda) l'adesione è stata alta, con circa 25 partecipanti per ciascuno. Gli stessi ristoratori hanno parlato di un 40% in più di presenze, ed erano molto contenti», ha detto Roberta Vallacchi, segretaria provinciale del Pd di Lodi. La signora, parlando con il Giorno, ha dato pure lezioni di geopolitica: «Hanno aderito persone e nostri amici non solo di Lodi, ma provenienti da un po' tutto il Lodigiano. I ristoratori ci hanno ringraziato. Con questa iniziativa abbiamo voluto indicare la strada da percorrere: viviamo in un mondo globalizzato e le risposte a questioni come clima, immigrazione o anche il coronavirus non possono essere individuali ma di gruppo». Ecco, infatti, la risposta di gruppo che hanno dato le forze politiche di governo: niente allarmismi, andate pure in luoghi affollati, non siate razzisti e state vicino ai cinesi. Intendiamoci: nessuno ha mai voluto emarginare i cinesi in quanto cinesi. La cautela avrebbe dovuto riguardare tutte le persone - italiane, straniere, di ogni colore e sesso - che in qualche modo avrebbero potuto avere un legame con la Repubblica popolare, cioè il luogo in cui l'epidemia è esplosa. Forse, se avessimo avuto un atteggiamento più prudente, oggi non ci troveremmo nei guai. Però, sapete com'è, qui la priorità era combattere razzismo e pregiudizi…
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Margherita Agnelli (Ansa)