2023-10-13
Il processo Lucano è la dimostrazione che l’accoglienza è mammella di Stato
Mimmo Lucano (Getty Images)
La riduzione della pena all’ex sindaco di Riace non sminuisce la tesi di fondo dell’inchiesta: i clandestini sono un business.Il processo di beatificazione è finalmente completato. Ora Mimmo Lucano può ascendere al cielo tra schiere di fedeli adoranti. Può tornare a essere un santino sul comò di tutti i bravi progressisti, e siamo certi che non mancherà di camminare sulle acque e di esibire le stimmate fresche a ogni giro di angolo. La notizia uscita mercoledì per l’ex sindaco di Riace è senz’altro positiva, e ne siamo felici. È stato condannato a un anno e 6 mesi di carcere con pena sospesa, una inezia rispetto a ciò che avevano chiesto i suoi accusatori nel processo Xenia, di cui si è appunto concluso il secondo grado. La Procura di Locri considerava Lucano il capo di una associazione a delinquere responsabile di «un numero indeterminato di delitti (contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica e il patrimonio), così orientando l’esercizio della funzione pubblica del ministero dell’Interno e della prefettura di Reggio Calabria, preposti alla gestione dell’accoglienza dei rifugiati nell’ambito dei progetti Sprar, Cas e Msna e per l’affidamento dei servizi da espletare nell’ambito del Comune di Riace». I reati contestati erano tanti e pesanti: la già citata associazione a delinquere, poi abuso d’ufficio, truffa, falsità ideologica e peculato. Alla fine ha retto solo una accusa di falso per una delibera e tra assoluzioni e prescrizioni non è rimasto praticamente nulla. Da un paio di giorni, dunque, i sostenitori del fu sindaco sono in grande spolvero. Saltellano e gridano felici, portano il Santissimo Mimmo in processione e recriminano, puntano il dito contro i magistrati colpevoli di salvinismo e sovranismo. I giornali parlano di «fine del calvario», assumono tutti toni da giustizia è fatta. Il ritornello è: visto che non c’era niente di storto? Visto che era tutta una macchinazione fascistoide cavalcata dalla stampa di destra? Il più lirico, come al solito, è il sublime Francesco Merlo, che su Repubblica spara batterie di fuochi d’artificio: «Con Mimmo Lucano», gorgheggia, «hanno assolto Ignazio Silone e Carlo Levi. E sarebbe stato più giusto se l’avessero completamente liberato, anche dalle piccole accuse. Ma già così, sostituendo l’enormità dei 13 anni e due mesi con l’esiguità di un anno e 6 mesi, questa condanna - non è un paradosso - assolve l’imputato e condanna i suoi accusatori, gli sceriffi di Sherwood, i giustizieri della Calabria Saudita». Santo! Santo subito! «Con Lucano è assolto il Sud», grida Merlo, e lo seguono schiere di zufolanti cantori dell’immigrazionismo da pied-à-terre. Costoro non si limitano a portare Mimmo in trionfo, ma pretendono di rifarne un modello, di riesumare l’avventura di Riace quale simbolo della integrazione che funziona e può fare scuola. Un pensiero ben sintetizzato dal commento di una giornalista-influencer attivissima e impegnatissima, a cui Riace risveglia passioni sopite: «Un modello che è stato consapevolmente spazzato via, perché contraddiceva ogni narrazione sull’immigrazione che immiserisce e rende insicuri i luoghi, perché ostacolava una gestione dell’immigrazione come pura operazione di polizia». E in fondo il punto è tutto qui, come abbiamo sostenuto dal primo articolo scritto su Riace. A prescindere dalla vicenda giudiziaria di Lucano e dai suoi esiti, è proprio il sistema che egli ha costruito a emergere come il suo più grande fallimento. Il problema, insomma, è tutto politico e non giudiziario, anche se dalle carte dell’inchiesta emergono i tratti caotici e personalistici della gestione Lucano. Il Comune di Riace non era retto dai migranti, come si vuol fare credere. Non aveva sviluppato una sorta di economia parallela basata sugli stranieri finalmente valorizzati al meglio. Anzi, alcune delle attività tanto sbandierate e celebrate dai giornali erano fittizie. In verità, il modello Riace si basava - come del resto tutte le presunte operazioni di integrazione in Italia - sull’utilizzo di soldi pubblici. E infatti non è crollato per via dell’intervento di magistrati cattivi, ma è collassato quando lo Stato ha smesso di erogare finanziamenti. Un sistema funzionante si sarebbe sostenuto da solo, e questa a ben vedere era la favola che il buon Mimmo raccontava ai suoi interlocutori in solluchero. Paradossalmente (ma in fondo nemmeno troppo), Riace dimostra che la gestione della migrazione di massa è possibile soltanto a fronte di un ingente investimento pubblico, il quale però non viene ripagato. E il tema di cui si dovrebbe discutere è esattamente questo. Non importa poi tanto, in fondo, se Lucano abbia falsificato degli atti o se abbia pasticciato con i conti. È molto più rilevante il fatto che il suo intero edificio ideologico fosse privo di fondamenta. Perché ciò certifica che non esiste un modo per gestire le migrazioni che non sia puramente assistenziale. Il tessuto sociale semplicemente non può assorbire numeri elevati di stranieri, e nemmeno una costruzione artificiale, dopata con denaro pubblico, può reggere più di tanto all’urto della realtà. Che sia santificato Lucano, allora: assolto da tanti reati, condannato dalle sue politiche fallimentari.
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Margherita Agnelli (Ansa)