2022-06-21
Il processo a Di Maio finisce in farsa: «La smetta di parlare male del M5s»
Luigi Di Maio (Imagoeconomica)
Dopo i proclami di guerra, il Consiglio grillino che avrebbe dovuto punire il ministro non decide nulla. E critica soltanto le sue «esternazioni». Roberto Fico rincara la dose: «Arrabbiati per i suoi attacchi». Lui: «Non rispondo».In questi giorni cupi il M5s riesce almeno a dare agli italiani l’occasione per farsi una bella risata, e quello che è successo nella notte tra domenica e ieri conferma questa qualità dell’ex (molto ex) primo partito italiano. Dal possibile avvio di un procedimento di espulsione nei confronti di Luigi Di Maio, «colpevole» di aver criticato Giuseppe Conte e i suoi fedelissimi, accusati di «disallineare l’Italia dalla Nato» e di assumere una posizione «pericolosa per la sicurezza nazionale» si è passati infatti a un tenero buffetto sulla guancia di Giggino, pregato di smetterla con le dichiarazioni contro Giuseppi. È finita dunque, ancora una volta, in farsa, l’ennesima lunga notte del M5s, con il Consiglio nazionale riunito d’urgenza domenica sera alle 21, concluso a notte inoltrata e il cui comunicato finale, nella parte relativa allo scontro degli ultimi giorni tra l’ex premier e il ministro, è una prolissa arrampicata sugli specchi: «Quanto alle recenti dichiarazioni del ministro Luigi Di Maio», si legge, «riguardanti la linea di politica estera del M5s, rileva il Consiglio nazionale che queste esternazioni distorcono le chiare posizioni assunte in questa sede il 16-17 maggio e oggi integralmente ribadite, sempre all’unanimità. In particolare», recita la nota, «le dichiarazioni circa una presunta volontà del M5s di operare un disallineamento dell’Italia rispetto alla Nato e all’Ue sono inveritiere e irrispettose della linea di politica estera assunta da questo Consiglio nazionale e dal Movimento, che mai ha posto in discussione la collocazione del nostro Paese nell’ambito di queste tradizionali alleanze. Queste dichiarazioni, unitamente a quelle che evocano un clima di incertezza e di allarme in materia di sicurezza nazionale e quindi di instabilità del nostro Paese», aggiunge ancora il comunicato, «sono suscettibili di gettare grave discredito sull’intera comunità politica del M5s, senza fondamento alcuno». Poi la chicca finale: «Il Consiglio nazionale, pertanto», conclude la nota, «confida che cessino queste esternazioni lesive dell’immagine e della credibilità dell’azione politica del M5s». Confida, voce del verbo confidare, sinonimo di sperare: «Speriamo che Luigi la smetta», è la traduzione di un comunicato scialbo, figlio di un M5s lacerato, sbandato, politicamente ondivago perché senza una leadership definita: il presidente è Conte, ma la corrente interna che fa capo a Di Maio è troppo forte per essere messa spalle al muro. E così, le dichiarazioni di fuoco dei giorni scorsi dei vicepresidenti del M5s Michele Gubitosa, («Mi sto domandando se possiamo ancora consideralo un ministro in quota 5 stelle»), Riccardo Ricciardi («è un corpo estraneo al Movimento. Sta facendo un percorso personale che lo pone al di fuori dai 5 Stelle») e Alessandra Todde («Credo che Di Maio, parlando in una certa modalità, si stia ponendo fuori dal Movimento») restano vuoti proclami senza alcuna conseguenza politica. Del Consiglio nazionale del M5s, ricordiamolo, fanno parte, oltre a Conte, i capigruppo di Camera, Senato e Parlamento europeo, Mariolina Castellone, Davide Crippa e Tiziana Beghin; i vicepresidenti Michele Gubitosa, Mario Turco, Alessandra Todde e Riccardo Ricciardi; il capo della delegazione al governo, Stefano Patuanelli; il coordinatore del Comitato nazionale progetti Gianluca Perilli, la coordinatrice del comitato per la formazione e l’aggiornamento Chiara Appendino, il coordinatore del Comitato per i rapporti europei e internazionali Fabio Massimo Castaldo e il coordinatore del Comitato per i rapporti territoriali Alfonso Bonafede. A quanto apprende La Verità, la linea oltranzista della Todde, di Gubitosa e di Turco, che avrebbero tentato di forzare la mano e di avviare un procedimento di espulsione nei confronti di Di Maio, si è scontrata con la cautela della Appendino, di Bonafede e di Crippa. Al termine della lunga discussione, è stato proprio Giuseppi, che pure si è detto «rammaricato» per le parole di Di Maio, a sgomberare il tavolo da ipotesi estreme nei confronti del ministro degli Esteri: «Conte», dice alla Verità una fonte vicina al leader del M5s, «non ha mai inteso fare un processo a Luigi o cacciarlo, in Consiglio nazionale ha voluto mettere nero su bianco che le dichiarazioni di Di Maio hanno fatto torto alla politica estera del M5s e che quelle affermazioni non rispecchiano la linea del Movimento. Da parte sua», aggiunge il nostro interlocutore, «non c’era volontà persecutoria verso Di Maio, che forse sta pensando autonomamente di andare via. Conte ha usato toni molto soft nei suoi confronti». Molto meno soft, invece, i toni di Roberto Fico: «Ci sono delle frizioni all’interno del Movimento», ha detto ieri mattina il presidente della Camera, «ma non riesco a comprendere che il ministro degli Esteri Di Maio attacchi su delle posizioni rispetto alla Nato e all’Europa che nel Movimento non ci sono. Subiamo una cosa che è mistificatrice e non corrisponde alla realtà», ha aggiunto Fico, «rispetto a questo ci sentiamo arrabbiati e delusi. Se Di Maio sta costruendo qualcosa al di là del M5s? Non ne ho idea, lo vedremo solo vivendo». Di Maio non ha risposto direttamente a Fico, ma ha affidato il compito di replicare al suo portavoce, Peppe Marici: «Stupiti e stanchi per gli attacchi che diversi esponenti M5s, titolari anche di importanti cariche istituzionali, oggi (ieri, ndr) hanno rivolto al ministro Di Maio», ha sottolineato Marici, «impegnato in questo momento a rappresentare l’Italia all’importante tavolo europeo del Consiglio Affari esteri. Il ministro Di Maio non replicherà a nessuno degli attacchi che sta ricevendo in queste ore. C’è un limite a tutto», ha aggiunto Marici, «ciononostante non si può indebolire il governo italiano davanti al mondo che ci osserva, in una fase così delicata».
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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