2023-05-01
Primo maggio, la festa degli ipocriti
Sindacati e sinistra hanno tifato per l’austerity, per Mario Draghi, per Mario Monti e pure per l’intelligenza artificiale. Sono rimasti in silenzio persino di fronte all’apartheid vaccinale. E resuscitano adesso, proprio mentre arrivano le prime misure concrete per il lavoro...Speriamo di tutto cuore che oggi siano belli schierati in prima fila a piazza San Giovanni, che si godano il concertone sentendo ardere nel petto il fuoco della militanza. Sì, speriamo proprio che i capi dei sindacati si spellino le mani ad applaudire Piero Pelù, quello che si offriva di accompagnare «no vax e negazionisti» all’hub per l’iniezione. E poi la grande stella, Luciano Ligabue, quello che si prodigò a promuovere le dosi e poi, da super inoculato, si trovò prigioniero nella camera d’albergo a Parigi perché «il Covid non gli passava più» (parole sue). Si divertano, e spargano con energia i loro slogan Maurizio Landini e colleghi. E chissà se, in un angolo recondito della loro mente, magari a fine giornata, balenerà la consapevolezza di aver sollecitato e approvato l’emarginazione e la discriminazione di migliaia e migliaia di lavoratori renitenti alla puntura, con la volonterosa collaborazione dei cantori di regime e degli intellettuali organici, compresi i ribelli rock d’apparato di cui sopra. Roba vecchia, dirà sicuramente qualcuno; polemica stantia. Può anche darsi, come no. Solo che le cicatrici prudono un po’ in queste ore di retoriche celebrazioni della Costituzione e del lavoro. Sale vagamente il nervoso a sentire certe dichiarazioni del grande timoniere della Cgil appassionato (coerentemente, considerate certe sue non troppo antiche posizioni) dell’inno sovietico sul fatto che «mai come adesso c’è troppo lavoro precario e non tutti i lavoratori hanno gli stessi diritti. Per questo», ha detto Landini alla presentazione del concertone, «rimettiamo al centro l’Articolo 1 della Costituzione, che quest’anno compie 75 anni. Il primo maggio, per noi, è l’inizio di un mese nel quale rimettiamo il lavoro al centro dell’agenda quotidiana». Beh, ci auguriamo proprio che - almeno per un mese ogni dodici - si ricordino di svolgere il mestiere per cui vengono pagati, dato che negli ultimi anni se lo sono in larga parte dimenticato. E la scandalosa gestione dell’emergenza sanitaria, va detto, è stata soltanto la ciliegina velenosa sul disastro. Da quando al governo c’è la destra, sindacalisti e sindacaloidi si sono ringalluzziti niente male, sembra che combattano per i diritti almeno quanto il loro ex collega Soumahoro combatteva per il diritto all’eleganza. I giornali amici ovviamente danno supporto, scoprendo dalla sera alla mattina che l’Italia non è mai stata tanto precaria (così Repubblica) o addirittura che ora «il lavoro non è più un diritto» (La Stampa). Ma pensa. E dove stavano questi fenomeni operaisti quando cotanto scempio ai danni della classe lavoratrice si compiva? Quanto abbiano goduto delle sospensioni ai danni dei non vaccinati lo ricordiamo fin troppo bene. Ma anche andando appena più indietro la memoria non difetta, e ci torna in mente quasi tutto: dagli articoli di supporto al Jobs act fino alle lenzuolate risciacquate nella saliva sui miracoli di Mario Draghi, con cui il già citato Landini si fece ritrarre in affettuoso abbraccio, salvo poi lamentarsi flebilmente di non essere stato ascoltato per nulla. Alla fine della triste fiera, il punto è: mentre l’Italia si precarizzava e deindustrializzava, i progressisti che facevano? A ben vedere, per lo più stavano al governo e approvavano ogni decostruzione con trasporto, entusiasti delle magnifiche sorti e progressive che andavano rischiarando il cielo. Tifavano per l’austerità e la distruzione della domanda interna teorizzata da Mario Monti, andavano in pellegrinaggio nella Silicon Valley per «imparare da quelli bravi», più di recente berciavano contro gli oscurantisti al potere, accusati di contrastare lo sviluppo dell’intelligenza artificiale (che sarà pure affascinante e magica, ma per la working class si tradurrà in un bagno di sangue: bellezza del futuro) e pure quello della carne sintetica (perché a lorsignori tutelare le filiere italiane fa un po’ schifo, si sa). E allora evviva, oggi tutti sotto al palco a sentire i trapper e a indovinare quale stilista firma il maglioncino di Ambra Angiolini. Mentre il governo in carica liberticida e fascista taglia di altri quattro punti il cuneo fiscale - non sarà la manna dal cielo ma è più di qualcosa - i sindacalisti si coccolino l’ego in compagnia di qualche celebrità di Instagram. E ribadiscano con convinzione le loro tiritere sull’importanza del lavoro e su quanto vorrebbero fare per tutelarlo. Ma non si agitino troppo: il (loro) posto fino ad oggi lo hanno conservato, e che ci siano riusciti nonostante tutto è probabilmente il più impressionante dei miracoli.