2021-07-07
Una preghiera utile solo a lavare la coscienza
La Cei mobilita le parrocchie per i migranti: domenica prossima, i fedeli dovranno rivolgere un'invocazione a San Benedetto. Il testo, infarcito di buonismo e immagini surreali, non risolverà il dramma dei morti in mare. Serve fare in modo che non partano.Orrore ad Asti: la vedova è stata anche rapinata. Gli inquirenti: un gesto di sfregio.Lo speciale contiene due articoli.L'«arco di fratellanza»? Davvero domenica in chiesa i cattolici italiani dovranno pregare perché il Mediterraneo diventi un «arco di fratellanza»? E come si fa, di grazia, a trasformare il mare in un arco di fratellanza? Le onde si trasformano in corde e l'acqua diventa frassino (ovviamente di fratellanza)?Lo confessiamo: sarà (o sarebbe, o potrebbe essere) una delle preghiere più ardue della nostra vita. Perché già la richiesta dell'intercessione di San Benedetto, patrono d'Europa, per fare del Mediterraneo «un ponte», oltre che un «oceano di pace», ci pare affondare nella retorica, oltre che negli stessi problemi logici e ingegneristici (anche fare un ponte con il mare non è semplicissimo, in effetti). Ma l'«arco di fratellanza di popoli e culture»? Vi pare possibile? Dovremo pregare così? Padre Nostro che sei nei cieli, dacci oggi il nostro «arco di fratellanza» quotidiano? Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te e con l'«arco di fratellanza»? Ma poi perché bisogna pregare perché un mare diventi «un ponte», «un oceano di pace» e un «arco di fratellanza»? Preghiera per preghiera (chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto) non sarebbe meglio pregare perché nessuna debba più emigrare? Il documento (ahinoi) è stato approvato dalla presidenza della Conferenza episcopale italiana. Il suggerimento è che domenica 11 luglio, festa di San Benedetto patrono d'Europa, in tutte le parrocchie italiane si preghi per «i migranti», per i «naviganti alla ricerca di un futuro di speranza» e per «coloro che hanno perso la vita in mare». «La tua benedizione», dovranno ripetere i fedeli in ogni angolo del Paese, «accompagni tutti in mezzo ai flutti dell'esistenza terrena, lo Spirito Santo aleggi sulle acque, e illumini le menti dei governanti perché il Mare Nostrum, per intercessione di San Benedetto, sia» (per l'appunto) «ponte tra le sponde della terra, oceano di pace, arco di fratellanza di popoli e culture». Perfetto, no? Ci manca solo di pregare perché il Mediterraneo diventi un infinito spazio d'amore, un lucchetto che incatena i sentimenti e una prateria in cui fiorisce l'amicizia e poi il testo sarebbe perfetto. Se non proprio per le parrocchie, almeno per i baci Perugina.Per carità. La preghiera per chi ha perso la vita e la vicinanza con chi soffre sono, ovviamente, sacri. Ma proprio perciò meriterebbero formule meno vacue e più serie di queste. E poi siamo davvero sicuri che abbia senso, di fronte alle ripetute tragedie, chiedere che la «benedizione» di Dio «accompagni tutti in mezzo ai flutti»? Non sarebbe meglio chiedere che la benedizione di Dio accompagni tutti a vivere a casa loro? Con i loro affetti? Con i loro famigliari? Lo Spirito Santo, oltre che «aleggiare sulle acque», non dovrebbe prima ancora «aleggiare sulle terre»? Dando a queste persone i mezzi per sostenersi là dove sono nati e cresciuti? Perché San Benedetto deve essere scomodato per trasformare il Mediterraneo in un ponte e non per trasformare le savane in campi coltivabili? Non sarebbe meglio per noi, ma soprattutto per loro, cioè per «i naviganti alla ricerca di un futuro di speranza»? A dirla tutta: non sarebbe meglio se il futuro di speranza lo trovassero senza bisogno di diventar naviganti? Quest'anno (dati dell'Organizzazione mondiale per le migrazioni) i morti nel Mediterraneo sono aumentati del 200 per cento rispetto all'anno scorso. «Il Mediterraneo è diventato i cimitero più grande d'Europa», ha detto il Papa lo scorso 13 giugno. E siamo d'accordo: ma perché è diventato un cimitero? Perché le morti aumentano? È talmente ovvio che siamo stanchi di ripeterlo: perché barche partono. E partono sempre più spesso. E partono sempre più insicure. Che ci volete fare? Purtroppo quel «ponte tra le due sponde della terra» è meno sicuro dei ponti gestiti dai Benetton. E difficilmente lo diventerà. È vero che la preghiera sposta le montagne, e dunque forse anche le isole, ma fino a quando la Sicilia non sarà tutt'uno con la Libia, chiunque parte deve mettersi in mare e dunque rischiare la vita. E allora perché, nel frattempo, mentre aspettiamo il miracolo geologico, non cerchiamo di chiedere qualcosa di più realizzabile? Perché, per dire, non preghiamo affinché sempre meno persone debbano partire? Invece no, noi domenica secondo la Cei dovremo pregare perché ci siano «migranti alla ricerca di un futuro di speranza», perché lo Spirito Santo «aleggi sulle acque» e perché il mare diventi un «arco di fratellanza». Se voi ci riuscite, fatelo. Io non pregherò. E mentre qualcuno, probabilmente senza nemmeno ben capire il senso di quello che sta dicendo, leggerà questo testo calato dall'alto con la tecnica dell'indottrinamento di massa, dentro di me farò un'altra preghiera. Chiederò la benedizione di Dio e l'intercessione di San Benedetto perché tutti possano avere di che vivere nella loro terra. Perché noi diventiamo più generosi. Perché l'Europa diventi più lungimirante. Perché arrivino gli aiuti necessari a fermare le migrazioni. E perché la si smetta di nascondere dietro la finta accoglienza gli interessi di chi sfrutta il business dei viaggi (prima) e della manodopera sotto costo (poi). Pregherò perché lo Spirito Santo illumini le menti di chi continua a ripetere le formule vuote del buonismo senza accorgersi che il prezzo più grande di tutto ciò non lo paghiamo noi, ma lo pagano prima di tutti i migranti, strappati alle loro terre, costretti a partire e ad affogare nel mare della retorica, ancor prima che fra le onde. Per questo pregherò volentieri. E se qualcuno di voi vuole unirsi a me, prometto che non dirò nemmeno una volta «arco di fratellanza».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/preghiera-utile-lavare-coscienza-2653699186.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="denuncia-rom-per-un-furto-in-casa-violentata-a-91-anni-per-vendetta" data-post-id="2653699186" data-published-at="1625659954" data-use-pagination="False"> Denuncia rom per un furto in casa. Violentata a 91 anni per vendetta Lei ha 91 anni, è vedova, e viveva in una piccola casa con giardino ad Asti, nella zona est della città, un'area periferica con vialoni e villette a schiera. Lui, Euro Seferovic, di anni ne ha 19, vive nel campo rom di via Guerra ad Asti (un non luogo diventato famoso perché i residenti hanno scroccato oltre 300.000 euro di acqua al Comune) e un anno e mezzo fa aveva derubato la pensionata. E siccome lei lo aveva denunciato per quel furto, il 20 maggio scorso, a ridosso dell'udienza in Tribunale, il rom è tornato per vendicarsi. Ha messo a segno il secondo furto e, per vendetta, stando all'accusa, oltre ad aggredire la donna, avrebbe anche tentato di stuprarla. Identificato dagli investigatori della squadra mobile, è stato rintracciato e arrestato lunedì. Ora è nel carcere le Vallette di Torino, dove si trova in un reparto per sex offender. Già all'epoca del primo furto, che risale al 2019, le telecamere di sicurezza puntate sulla strada avevano ripreso il ladro mentre si avvicinava all'abitazione. Gli investigatori erano riusciti a dare un volto e un nome a quella figura ripresa dall'impianto di sorveglianza. Scattò la denuncia dalla quale è scaturito il processo per furto. Il 20 maggio scorso, però, Seferovic è tornato sul luogo del delitto, questa volta armato di un'ascia bipenne, di quelle a doppia lama, lunga un metro e 20 centimetri. Dopo aver sfasciato con l'ascia una porta finestra che dà sul giardino, in una posizione poco visibile, ha sorpreso l'anziana in cucina. L'ha aggredita alle spalle, le ha sfilato la fede e strappato gli orecchini, ricordi del marito defunto. Poi l'ha trascinata in camera da letto, l'ha spogliata e, stando alla denuncia, avrebbe anche cercato di violentarla. «Si è trattato di un gesto di sfregio, particolarmente violento nei confronti della signora», ha spiegato Federico Mastorci, capo della squadra mobile di Asti. Il rom, nonostante le urla dell'anziana, è rimasto in quella casa per 31 lunghissimi minuti, brandendo l'ascia. Prima di fuggire, però, ha frugato tra i cassetti, ha racimolato qualche banconota e si è pulito le mani su alcuni documenti. Proprio su quei fogli gli investigatori e gli esperti in ricerca tracce della polizia Scientifica hanno trovato le sue impronte digitali. Non solo, Seferovic si è fatto beccare dalla stessa telecamera che l'aveva incastrato per il furto precedente e che l'ha ripreso proprio mentre si dirigeva verso l'abitazione dell'anziana. All'esame della comparazione della sagoma è risultata un'elevata compatibilità. Le impronte digitali, poi, hanno convinto definitivamente gli investigatori. La vittima è riuscita a dare l'allarme, chiamando il numero per le emergenze, solo quando è rimasta da sola. È stata soccorsa e portata in ospedale. Anche questa volta ha denunciato. E, confermano gli investigatori, in modo molto lucido è riuscita a ricostruire i fatti, scandendo i vari passaggi dell'aggressione. Dal momento in cui si è trovata l'indagato alle spalle, fino all'orrore in camera da letto, sotto la costante minaccia dell'ascia bipenne pronta all'uso. Gli strattoni, il trascinamento nel corridoio. L'incubo è finito prima sui taccuini degli investigatori, poi in un verbale. In poco più di un mese gli agenti della squadra mobile hanno trovato i riscontri necessari per far scattare l'arresto. Ma dopo il secondo episodio, profondamente scossa, la nonnina ha deciso di lasciare quell'abitazione nella quale ha abitato per 50 anni.