2021-07-27
Piroette di Tabacci, il reduce che zitto zitto apparecchia il «ritorno dei competenti»
Singolare che Mario Draghi abbia delegato proprio lui a «programmazione e coordinamento della politica economica». Provocazione assumere Elsa Fornero e l'ex supercommissario.«Con meno dell'uno per cento non può farci perdere tempo». Scolpita come un'incisione rupestre sul fondo di una grotta, la frase con cui Umberto Bossi liquidò Bruno Tabacci è lo spartiacque fra la politica e la melina, fra la concretezza del fare e l'onanismo da stallo permanente. Era l'anno della prima legge sull'immigrazione (2002) e il signor uno per cento - al governo con il centrodestra - aveva proposto un emendamento che sapeva di sanatoria lontano un chilometro. Profumava d'incenso, arrivava dalla sacrestia come lui, l'economista di Ciriaco De Mita, nato per caso a Quistello vicino a Mantova ma perfettamente consapevole dall'età della prima comunione delle doti degli «intellettuali della Magna Grecia».È singolare che Mario Draghi abbia affidato proprio a lui la delega alla «programmazione e al coordinamento della politica economica» di Palazzo Chigi, un ruolo che prevede scatti e non sbadigli, decisioni e non simposi. Perché perdere tempo a negoziare il negoziabile come al gran bazar di Istanbul è un'arte in cui Tabacci è un maestro. Esattamente come far perdere le staffe: oltre a Bossi ci riuscì con Silvio Berlusconi, Marco Follini, Francesco Cossiga, Giulio Tremonti, Pier Ferdinando Casini e vorrebbe continuare con Matteo Salvini, pezzo pregiato della collezione di oggi. Assumergli in faccia come consulenti Elsa Fornero e Domenico Arcuri è una provocazione mascherata da «ritorno dei competenti». Per informazioni sulle competenze, chiedere ai 350.000 esodati e a chi ha pagato banchi a rotelle, app Immuni e stava per costellare l'Italia di gazebo con le primule.Tabacci nasce politicamente nella sinistra Dc, si iscrive a 19 anni (oggi ne ha 74), attacca manifesti (pochi) e fa subito fortuna con i numeri. Nel senso che si laurea in Economia proprio nel periodo in cui ogni partito comincia ad esibire in televisione pallottolieri viventi che se la raccontano da John Maynard Keynes. I cattolici sociali venerano Beniamino Andreatta (sarà l'inventore di Romano Prodi), il Psi craxiano lancia Rino Formica e Giovanni Marcora fa decollare lui, enfant prodige dell'ufficio studi del ministero dell'Industria e poi della segreteria del ministero del Tesoro con Giovanni Goria. È un uomo di De Mita e sulla spinta del leader avellinese diventa presidente della Regione Lombardia. «Un'apparizione scomparente», direbbe Francesco Alberoni. Il tempo di coordinare gli interventi per l'alluvione in Valtellina, e un anno e mezzo dopo Tabacci fa le valige. Nel 1992 si candida al Parlamento dove da 25 ha messo le tende spostandosi da destra a sinistra con la rigorosa disinvoltura della deriva dei continenti. Quando la Dc viene sciolta nell'acido da Tangentopoli, lui trova casa da Berlusconi, è coinvolto in due inchieste per finanziamento illecito dei partiti con il patron della Parmalat Calisto Tanzi e dopo sette anni viene assolto. Commento: «Reati per i quali a Botteghe Oscure qualcuno se la sarebbe cavata con un sorriso». Rientra a Montecitorio con l'Udc di Casini e con il benestare del Cavaliere. Nessuna riconoscenza, il suo destino sarà al calduccio dentro la sinistra. Sempre più fedele alla linea, fino ad arrivare allo scherzoso comitato Facebook: «Marxisti per Tabacci». Il saltafosso definitivo avviene nel 2009 dopo avere creato la Rosa bianca con Savino Pezzotta. Velleità da oratoriani lombardi. Poi passa al Pd ma ci rimane poche ore, prima di fondare Api (Alleanza per l'Italia) con Francesco Rutelli. Seguire il percorso di Tabacci è più faticoso che risolvere il cubo di Rubik. Fa in tempo ad essere assessore al Bilancio a Milano con Giuliano Pisapia, a candidarsi per le primarie aperte del Pd contro Pierluigi Bersani, Matteo Renzi, Laura Puppato e Nichi Vendola. Arriva ultimo ma da buon ciclista della domenica non si scompone. Abituato al Ghisallo e al Muro di Sormano, si alza sui pedali e fonda il Centro democratico. Tenta la carta delle Europee ma rimane a piedi. Poi trova la chiave per aprire ogni porta: l'affittasimboli. Mette il suo a disposizione di Emma Bonino e - lui cattolico da turibolo, un tempo contrario alle adozioni gay - siede al tavolo con i mangiapreti radicali di +Europa. Quisquilie.Nel suo percorso a slalom c'è anche qualche fuoripista da gossip. Come la storia con Angiola Armellini, immobiliarista romana e regina dei salotti, accusata di avere nascosto 1.243 immobili al Fisco per un'evasione stimata di due miliardi di euro. Inseguito dai giornalisti, Tabacci rispose come avrebbe fatto Woody Allen: «La signora era una bella donna e io non ero il suo commercialista». Un'infatuazione più recente è per Giuseppe Conte. Lo considera un fuoriclasse, lo sostiene nell'inverno pandemico, vede nel Conte 2 il governo dei sogni con Pd e 5 stelle. E mentre il palazzo crolla fa di tutto per riunire i Responsabili del fantasmagorico Maie attorno all'avvocato del popolo. Lancia una sfida da Giovanna d'Arco: «Quando Conte ci dirà cosa vuol fare, allora usciremo allo scoperto. A lui serve un vessillo in Parlamento e noi lo abbiamo». Ma il premier va a casa e ci si attende un Tabacci disperato. Invece. «Draghi è un Superman, in meno di due minuti ha impostato le cose con grande chiarezza, mi sono emozionato ascoltandolo. Non dargli la fiducia sarebbe come avere Pelé e non farlo giocare». Ieri il sottosegretario di Pelé ha scambiato Arcuri per Rivelino. Nei vecchi dc tutto è così sublime.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)