2022-09-29
Per riformare finalmente il Paese chi si fida dell’inciucino con Renzi?
Matteo Renzi e Carlo Calenda (Ansa)
Con i 30 voti di Azione-Iv si potrebbe sconfiggere il partito delle manette al Csm, rifare la legge elettorale, rilanciare l’autonomia, varare la Commissione d’inchiesta sulla pandemia. E sulla Carta...Messaggi in bottiglia. «Siamo pronti a riscrivere insieme le regole», Matteo Renzi. «Se ci sarà una bicamerale è un dovere partecipare», Carlo Calenda, che subito aggiunge per non creare panico nelle Ztl: «È più probabile che io arrivi su Marte». Mentre Giorgia Meloni lavora in silenzio, la strana coppia dei centristi da sbarco lascia alle onde mediatiche il compito di far capire che le opposizioni saranno a geometria variabile: una esibita e indignata («Voteremo ovviamente contro la fiducia», «Se toccano i diritti andiamo in piazza»), l’altra sotterranea e di volta in volta ammiccante. Fidarsi dell’ex segretario del Pd e di un ex ministro transfuga dal Pd significa presentare la schiena ai coltelli peggio di Giulio Cesare, ma questo anche l’ultimo peones del centrodestra lo sa. Assodato il principio, nella fase di riscaldamento prepartita è importante non sottovalutare nessun sussurro, e quelli di «un’opposizione costruttiva» che arrivano dal Terzo polo fanno rumore. Per due motivi: Renzi ha come strategia politica e vezzo personale la centralità a ogni festa e i potenziali 30 voti di Azione e Italia viva (21 alla Camera e 9 al Senato) potrebbero diventare decisivi per raddrizzare curve pericolose del governo conservatore. Cinque temi chiave stanno anche dentro la cosiddetta «agenda liberale» dei socialdemocratici mascherati. Giustizia. Il primo punto di contatto riguarda la Giustizia, in testa ai pensieri del centrodestra ma anche dell’ex sindaco di Firenze. Si parte dalla nomina degli otto membri laici del Csm: se ci fosse convergenza i garantisti potrebbero fare il pieno. Serve una maggioranza di 360 voti, il cdx ne ha 349 e con 11 renzian-calendiani farebbe bingo, tagliando fuori per la prima volta il partito delle manette. La consonanza diventerebbe politica nella riforma della Giustizia vera e propria, con la separazione delle carriere, l’inappellabilità all’americana delle assoluzioni di primo grado, l’attribuzione di responsabilità ai pm in caso di clamorosi errori giudiziari. Carlo Nordio è stato chiaro, l’obiettivo è questo. A meno di retromarce, lo stesso di Renzi e Calenda.Presidenzialismo. Qui la dialettica fra Meloni e Renzi è di vecchia data e più volte quest’ultimo ha detto di «voler fare come Macron in Francia». Dieci giorni fa l’ex premier ha specificato: «Io voglio fare il sindaco d’Italia con l’elezione diretta del presidente della Repubblica, lei vuole il presidenzialismo. Non è la stessa cosa ma sulle riforme costituzionali Meloni dice cose interessanti e se le propone io siederò a quel tavolo per dare una mano». Nessuno dimentica che nel 2016 Renzi si giocò la testa (e la perse) proprio con il referendum per cambiare la Carta. Oggi Fratelli d’Italia propone un capo dello Stato eletto ogni cinque anni dai cittadini, che presiede il Consiglio dei ministri, mentre il cartello terzista preferisce l’elezione diretta del premier, la revisione del titolo V e la fine del bicameralismo. Non esattamente sovrapponibili, ma la direzione riformista è la stessa e i viandanti potrebbero scambiarsi pane e formaggio alla ricerca di punti d’incontro. I passaggi sono complicati, da solo il centrodestra non arriva alla maggioranza dei due terzi in parlamento (mancano 25 deputati e 23 senatori) per evitare il referendum. Anche con il supporto di Italia viva e Azione sarebbe sotto, ma solo di 4 e 14; il gap si assottiglia e nel corridoio dei passi perduti una forbice così stretta potrebbe essere azzerata. In questo caso un accordo contro natura è destinato a stressare gli equilibri all’interno della strana coppia perché Calenda ha ribadito: «Sono contrario al presidenzialismo. Piuttosto, prima o poi bisognerà fare una sola Camera». Legge elettorale. Dove l’alleanza spuria può funzionare è nel radere al suolo il Rosatellum e comporre una nuova legge elettorale con un’architettura meno surreale dopo il taglio di parlamentari, sempre soffocata nella culla da Pd e Movimento 5 stelle. Anche in questo caso il Terzo polo si candida ad essere l’ago della bilancia. Qui la trattativa è meno impervia, Renzi ai fedelissimi ha confidato: «L’importante è il ballottaggio, come previsto nell’Italicum», impallinato sei anni fa nel referendum. Quando si parla di Bicamerale raddrizza le orecchie: avendone già gestita una simile ai tempi del patto del Nazareno con Silvio Berlusconi, si sente a casa sua. Autonomia e pandemia. Sembra strano, ma un altro terreno comune è quello dell’autonomia, chiesta dalle regioni di centrodestra ma anche da Emilia Romagna e Toscana. Poiché Stefano Bonaccini è uno dei candidati più credibili per il posto di Enrico Letta (con i volti di Base riformista, vale a dire gli ex renziani del Pd) è possibile una convergenza fra governo e opposizione proprio sul rinnovamento delle prerogative regionali. Se così fosse, la Lega troverebbe una sponda dentro una maggioranza a trazione statalista. Un ultimo dossier comune è la Commissione d’inchiesta sulla pandemia, che Italia viva sta chiedendo a gran voce per inchiodare Giuseppe Conte, Roberto Speranza e il Pd alle responsabilità politiche sulla gestione del Covid. La maggioranza sarebbe scontata e lo scacco matto alla sinistra-sinistra (fra mascherine zingarettiane, pasticci di Domenico Arcuri, svarioni letali degli pseudo-scienziati) sarebbe fragoroso. Invitare a cena Renzi è sempre pericoloso. Ma come diceva Indro Montanelli, «spesso il piacere, a dividerlo, raddoppia».