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2024-08-19
Per neutralizzare le sanzioni Usa Xi offre a Putin lo scudo di Hong Kong
Xi Jinping e Vladimir Putin (Ansa)
Il flusso di spedizioni da Hong Kong verso la Russia - successivo all’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca nel 2022 - mette in evidenza il ruolo cruciale della città nel sostenere i nemici degli Stati Uniti nell’eludere le sanzioni internazionali. Questo è quanto emerge da una recente analisi pubblicata negli ultimi giorni dalla Committee for Freedom in Hong Kong Foundation, un’organizzazione senza scopo di lucro con sede a Washington che si batte per l’autonomia, i diritti e le libertà della città sotto il dominio cinese.
Il rapporto di 62 pagine intitolato «Sotto il porto: il ruolo guida di Hong Kong nell’elusione delle sanzioni» illustra come le imprese di Hong Kong abbiano facilitato l’esportazione di prodotti inclusi nelle liste degli articoli prioritari di Stati Uniti e Unione europea, conosciuti come «Common High Priority Items», evidenziando l’uso di queste tecnologie chiave da parte dell’apparato bellico russo. L’indagine si è focalizzata su una dozzina di aziende precedentemente non identificate, che secondo l’agenzia avrebbero contribuito a esportare milioni di dollari in chip ad alta tecnologia verso la Russia - oltre a componenti per droni destinati all’Iran - e avrebbero facilitato trasferimenti illeciti di petrolio da nave a nave per la Corea del Nord.
Il report ha esaminato i dati raccolti dall’organizzazione non profit per la sicurezza globale C4ADS, rivelando che i mittenti di Hong Kong hanno spedito beni per un valore di 1,97 miliardi di dollari a compratori russi tra agosto e dicembre 2023. Di questi beni, il 40% del valore era rappresentato da 11 articoli classificati come ad alta priorità, tra cui semiconduttori utilizzati come ricevitori di dati, unità di archiviazione digitale, processori e controller per computer. L’analisi ha inoltre evidenziato che 206 aziende di Hong Kong hanno partecipato alla spedizione di articoli di alta priorità, prodotti da aziende negli Stati Uniti, nell’Unione europea o da alleati democratici asiatici, che sono arrivati in Russia a dicembre. Ad esempio, Piraclinos, che si autodefinisce «un fornitore di fertilizzanti e carbone», ha inviato milioni di dollari in circuiti integrati alla società russa Vmk, la quale è stata sanzionata dagli Stati Uniti a settembre, come indicato nel rapporto. Piraclinos avrebbe inoltre spedito chip amplificatori per un valore di 2,03 milioni di dollari, provenienti da vari produttori di tecnologia statunitensi, tra cui Onsemi e Dell Emc. I documenti aziendali esaminati dal comitato di Hong Kong indicano che Piraclinos ha cambiato spesso amministratori e proprietari.
La Onsemi ha affermato di non avere alcuna traccia di vendite a Piraclinos: «Onsemi non vende direttamente o indirettamente a Russia, Bielorussia o Iran, né a organizzazioni militari non alleate. Collaboriamo con le forze dell’ordine e le agenzie governative, se necessario e appropriato, per dimostrare come Onsemi conduce gli affari in conformità con tutti i requisiti legali applicabili e che ci atteniamo ai più alti standard di condotta etica», ha affermato un portavoce dell’azienda. Al quotidiano giapponese Nikkei Asia il colosso tecnologico Dell ha respinto le accuse: «Dell rispetta le normative globali, compresi tutti i controlli sulle esportazioni degli Stati Uniti. I nostri distributori e rivenditori sono tenuti a rispettare tutte le normative globali e i controlli sulle esportazioni applicabili. Se veniamo a conoscenza di un distributore o rivenditore che non rispetta questi obblighi, adottiamo misure appropriate, inclusa la risoluzione del nostro rapporto».
Il quadro normativo di Hong Kong facilita la creazione di società fittizie, sia da parte di residenti locali che di cittadini stranieri. Hong Kong ha mantenuto il suo status di hub di libero scambio anche dopo essere tornata sotto il controllo cinese nel 1997 e continua a posizionarsi in alto negli indici aziendali grazie alle basse imposte, alla totale mancanza di controlli sui capitali e a una valuta locale ancorata al dollaro statunitense. Il rapporto sottolinea anche che le sanzioni si sono concentrate principalmente sulle aziende coinvolte nelle spedizioni illecite di merci, piuttosto che sui singoli individui. Nell’aprile 2023, l’Office of Foreign Assets Control degli Stati Uniti ha sanzionato tre società di Hong Kong per i loro legami con la fornitura di beni elettronici all’Iran per programmi sui veicoli aerei senza pilota. Tuttavia, Li Jianwang e Liu Jin, i proprietari di Attronix, una delle tre società sanzionate, hanno presentato istanza di cessazione delle operazioni e un anno dopo hanno costituito una nuova società di Hong Kong, Ets International. Sebbene le attività di Ets International siano del tutto sconosciute, il caso evidenzia quanto sia molto semplice per gli individui eludere le sanzioni semplicemente creando nuove società. A questo proposito, Samuel Bickett, autore del report intervistato da Nikkei Asia, afferma: «Gli attuali schemi di applicazione hanno dei limiti e, nonostante l’uso di nuove sanzioni secondarie, le spedizioni di tecnologia occidentale in Russia continuano. Le banche non sono state soggette a sanzioni secondarie, nonostante tali politiche per colpire le istituzioni finanziarie siano state introdotte a dicembre». Infine, lo scorso 11 luglio è emerso il caso di Agu Information Technology, un distributore basato a Hong Kong, che sul proprio sito dichiara di fornire «hardware per server, apparecchiature di rete e componenti direttamente dal produttore (Intel e Samsung, nda)».
Tra settembre e dicembre 2022, Agu (fondata solo nell’aprile 2022) ha effettuato sei transazioni di valore pari o superiore a 100.000 dollari con la società russa di vendita all’ingrosso di macchinari Mistral, come riportato dai dati doganali russi ottenuti da Cybex Exim, un’azienda di ricerca indiana. In totale, Agu ha esportato oltre 60.000 semiconduttori Intel per un valore complessivo di circa 18,7 milioni di dollari, inclusi microprocessori il cui costo unitario è di 13.000 dollari. Quando i giornalisti di Nikkei Asia si sono recati all’indirizzo indicato come sede centrale di Agu nei registri aziendali non hanno trovato nessuno. Nemmeno un cassetta della posta.
«Le triangolazioni contro l’Occidente erano già rodate»
Irina Tsukerman è un avvocato e ricercatore presso l’Arabian Peninsula Institute di Washington D.C.
Si può dire che senza Cina e Iran la guerra in Ucraina sarebbe già finita?
«Iran e Cina hanno fornito alla Russia droni, missili, munizioni leggere e armi non letali provenienti dalla Cina. Hanno fornito assistenza logistica e di intelligence, aiutando il commercio di energia e l’elusione delle sanzioni. Cina, Iran e Russia fanno anche parte di una lobby politica all’interno delle Nazioni Unite, che contrasta le spinte alla responsabilità da parte del blocco occidentale. La Cina e l’Iran hanno aperto le porte alla Russia in Medio Oriente e nel Sud globale, dandole accesso a flussi di reddito. Queste collaborazioni sono intrinsecamente limitate. L’Iran è sottoposto a pesanti sanzioni, mentre la Cina teme un ulteriore controllo da parte dell’Occidente e ha un conflitto di interessi con la Russia su diversi fronti, come lo sviluppo tecnologico. Il fattore più importante che ha prolungato la guerra in Ucraina è stato il successo della propaganda russa nel rallentare l’assistenza degli Stati Uniti».
Come funzionano queste triangolazioni?
«Gli accordi politici tra questi regimi possono variare in risposta alle mosse dei loro avversari, ma in genere hanno una dinamica intrinseca più strettamente legata alle loro agende indipendenti e collettive. Se da un lato le sanzioni possono accelerare gli accordi finanziari, dall’altro i meccanismi per aggirare e isolare l’Occidente - come gli accordi commerciali indipendenti, la spinta alla dedollarizzazione e le esercitazioni militari - si sarebbero probabilmente verificati a prescindere e in alcuni casi prima delle crisi attuali. Tali accordi potrebbero essere messi in discussione da obiettivi concorrenti, come la rivalità tra Cina e Russia, o da interessi contrastanti ma anche complementari tra Russia, Cina e Iran nel perseguimento di obiettivi geopolitici nei punti caldi globali. I Paesi imparano l’uno dall’altro e cooperano su questioni come la sicurezza informatica e l’hacking, la guerra dell’informazione e misure attive assortite, ma perseguono anche interessi indipendenti nell’economia, nel lobbismo politico o nelle operazioni di intelligence. La Russia non si fa scrupolo di pestare i piedi alla Cina per rivitalizzare le sue relazioni con il Vietnam attraverso progetti energetici che ostacolano le rivendicazioni territoriali di Pechino».
Alcuni commentatori hanno affermato che le nuove sanzioni statunitensi aumenteranno solo i costi delle transazioni in valuta estera per finanziare gli acquisti russi legati alla guerra, ma non li impediranno. È così?
«Le sanzioni statunitensi hanno un certo peso, ma anche dei limiti. Dovrebbero essere più coerenti, mirate, meglio applicate, coordinate con la comunità internazionale, compresi i Paesi non occidentali, e integrate da efficaci controlli sulle esportazioni-importazioni. Attualmente, esistono fonti di reddito alternative per il finanziamento della guerra, come le incursioni nelle miniere in Africa, la vendita di oro e il finanziamento di criptovalute in luoghi come Dubai, Singapore e Hong Kong, imprese criminali assortite, il commercio sul mercato nero e gli investimenti diretti da parte dei principali attori internazionali come gli Stati del Golfo».
Oltre a Hong Kong, quali Paesi si prestano a queste triangolazioni?
«Singapore, Dubai (Emirati Arabi Uniti), Cipro, Kazakistan, Armenia e molti altri Paesi dell’Asia centrale e dell’Eurasia sono punti primari per gli scambi illeciti, il riciclaggio di denaro, la miscelazione di petrolio e gas e altre forme assortite di cooperazione finanziaria clandestina, come le società di comodo utilizzate per spostare denaro».
Secondo la stampa israeliana, la linea di produzione del drone suicida iraniano Shahed-136 è stata stabilita nella Repubblica del Tatarstan, in Russia. È possibile che anche i cinesi stiano spostando le fabbriche nelle ex repubbliche sovietiche?
«Per anni, la Cina ha utilizzato il discorso del separatismo uiguro per indurre una dimensione militare all’interno dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, sfruttando la sua perenne ossessione per il terrorismo, il separatismo e l’estremismo religioso per promuovere l’espansione militare nelle ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale, dove la Cina sta superando la Russia per quanto riguarda l’influenza militare, soprattutto sotto forma di droni, missili e altre forniture mascherate da donazioni. Recenti rapporti evidenziano una potenziale base militare cinese in Tagikistan, che potrebbe portare l’influenza militare della Cina nella regione a un nuovo livello. Il governo cinese non ha detto molto su questa base, se non che ha costruito diversi edifici per la lotta al traffico di droga in altre zone lungo il confine afghano del Tagikistan. Ma la crescente cooperazione con l’Afghanistan continuerà a giustificare una presenza cinese a presidio del confine con il Tagikistan, soprattutto nell’estremo oriente. Altre ragioni per la scelta di quest’area per una probabile espansione sono il crollo della presunta divisione economico-militare sino-russa del lavoro, il crescente interesse economico per l’Asia centrale come corridoio principale della Belt and Road Initiative e la continua lotta contro il traffico di droga».
Pure l’Iran se ne giova per armarsi
Lo scorso 11 luglio l’Office of Foreign Assets Control (Ofac) del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha sanzionato cinque individui e sette entità con sede in Iran, nella Repubblica popolare cinese e a Hong Kong, per aver facilitato degli acquisti per conto di subordinati del Ministero della Difesa e della Logistica delle Forze Armate (Modafl) dell’Iran. Tra i materiali inviati in Russia ci sono accelerometri e giroscopi, che servono come input chiave per il programma iraniano di missili balistici e per i veicoli aerei senza pilota (Uav). L’acquisizione da parte dell’Iran di componenti missilistici e Uav continua a consentire la proliferazione dei suoi sistemi d’arma ai suoi delegati in Medio Oriente e alla Russia.
Il sottosegretario del Tesoro per il terrorismo e l’intelligence finanziaria, Brian E. Nelson, ha affermato: «La sconsiderata proliferazione da parte dell’Iran dei suoi missili balistici e degli Uav rischia di aumentare ulteriormente l’instabilità e mette a repentaglio le vite dei civili, sia nella regione che nel resto del mondo. L’azione di oggi espone altre importanti società di facciata e agenti fidati attraverso i quali l’Iran ha cercato di acquisire questi componenti. Gli Stati Uniti continueranno a imporre costi a coloro che facilitano la capacità dell’Iran di produrre queste armi mortali». Tra le aziende sanzionate ci sono anche la Beijing Shiny Nights Technology Development Co., Ltd. (Beijing Sntd), con sede in Cina, una società di facciata del Modafl che ha acquistato elettronica e apparecchiature per conto di utenti finali iraniani, la Electro Optic Sairan Industries Co. (Sapa), con sede in Iran, ha acquistato equipaggiamento militare e sviluppato tecnologie per il Modafl e ha contribuito separatamente allo sviluppo di Uav che vengono utilizzati dalle forze russe in Ucraina della serie Shahed da parte del Shahed Aviation Industries Research Center (Sairc), designato dall’Ofac.
Mohammad Abdollahi, con sede in Iran, è un responsabile commerciale e funzionario degli acquisti per Sapa che lavora a stretto contatto con Thomas Ho Ming Tong, con sede a Hong Kong, per acquistare componenti ottici per conto di Sapa. Tong si coordina direttamente con Abdollahi per facilitare i preventivi, effettuare ordini e creare fatture per componenti ottici, tra cui reticoli, espansori di fascio riflettenti e array di lenti montate. Tong utilizza le sue società con sede a Hong Kong e nella Repubblica popolare cinese -Tas Technology Company Limited, Cloud Element Company Limited e Btw International Limited - per acquistare e organizzare il pagamento dei componenti da Sapa. Bright Shore Inc Limited, con sede a Hong Kong, è una società per la quale Tong è direttore. Altre aziende nel mirino dell’Ofac sono la Azmoon Pajohan Hesgar Limited Liability Company (Aph), un produttore di apparecchiature di prova coinvolto nella progettazione di test di sensori e sistemi di navigazione inerziale con sede in Iran, e la Shenzhen Rion Technology Co., Ltd. con sede in Cina, una società tecnologica che ha fornito, o tentato di fornire, articoli a supporto della società di facciata del Modafl Beijing Sntd.
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In cinque mesi, dall’isola sotto controllo cinese sono arrivati in Russia beni per 2 miliardi di dollari. Tra questi, molto materiale ad alta tecnologia prodotto in Europa e in America e impiegato nello sforzo bellico in Ucraina.«Le triangolazioni contro l’Occidente erano già rodate». L’esperta Irina Tsukerman: «Pechino e Mosca mantengono interessi differenti, le intese commerciali potrebbero essere rimesse in discussione».Pure l’Iran se ne giova per armarsi. Teheran usa l’ex colonia britannica per proseguire il suo programma missilistico, rifornirsi di aerei senza pilota e acquistare mezzi che poi distribuisce ai suoi alleati.Lo speciale comprende tre articoli.Il flusso di spedizioni da Hong Kong verso la Russia - successivo all’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca nel 2022 - mette in evidenza il ruolo cruciale della città nel sostenere i nemici degli Stati Uniti nell’eludere le sanzioni internazionali. Questo è quanto emerge da una recente analisi pubblicata negli ultimi giorni dalla Committee for Freedom in Hong Kong Foundation, un’organizzazione senza scopo di lucro con sede a Washington che si batte per l’autonomia, i diritti e le libertà della città sotto il dominio cinese.Il rapporto di 62 pagine intitolato «Sotto il porto: il ruolo guida di Hong Kong nell’elusione delle sanzioni» illustra come le imprese di Hong Kong abbiano facilitato l’esportazione di prodotti inclusi nelle liste degli articoli prioritari di Stati Uniti e Unione europea, conosciuti come «Common High Priority Items», evidenziando l’uso di queste tecnologie chiave da parte dell’apparato bellico russo. L’indagine si è focalizzata su una dozzina di aziende precedentemente non identificate, che secondo l’agenzia avrebbero contribuito a esportare milioni di dollari in chip ad alta tecnologia verso la Russia - oltre a componenti per droni destinati all’Iran - e avrebbero facilitato trasferimenti illeciti di petrolio da nave a nave per la Corea del Nord.Il report ha esaminato i dati raccolti dall’organizzazione non profit per la sicurezza globale C4ADS, rivelando che i mittenti di Hong Kong hanno spedito beni per un valore di 1,97 miliardi di dollari a compratori russi tra agosto e dicembre 2023. Di questi beni, il 40% del valore era rappresentato da 11 articoli classificati come ad alta priorità, tra cui semiconduttori utilizzati come ricevitori di dati, unità di archiviazione digitale, processori e controller per computer. L’analisi ha inoltre evidenziato che 206 aziende di Hong Kong hanno partecipato alla spedizione di articoli di alta priorità, prodotti da aziende negli Stati Uniti, nell’Unione europea o da alleati democratici asiatici, che sono arrivati in Russia a dicembre. Ad esempio, Piraclinos, che si autodefinisce «un fornitore di fertilizzanti e carbone», ha inviato milioni di dollari in circuiti integrati alla società russa Vmk, la quale è stata sanzionata dagli Stati Uniti a settembre, come indicato nel rapporto. Piraclinos avrebbe inoltre spedito chip amplificatori per un valore di 2,03 milioni di dollari, provenienti da vari produttori di tecnologia statunitensi, tra cui Onsemi e Dell Emc. I documenti aziendali esaminati dal comitato di Hong Kong indicano che Piraclinos ha cambiato spesso amministratori e proprietari. La Onsemi ha affermato di non avere alcuna traccia di vendite a Piraclinos: «Onsemi non vende direttamente o indirettamente a Russia, Bielorussia o Iran, né a organizzazioni militari non alleate. Collaboriamo con le forze dell’ordine e le agenzie governative, se necessario e appropriato, per dimostrare come Onsemi conduce gli affari in conformità con tutti i requisiti legali applicabili e che ci atteniamo ai più alti standard di condotta etica», ha affermato un portavoce dell’azienda. Al quotidiano giapponese Nikkei Asia il colosso tecnologico Dell ha respinto le accuse: «Dell rispetta le normative globali, compresi tutti i controlli sulle esportazioni degli Stati Uniti. I nostri distributori e rivenditori sono tenuti a rispettare tutte le normative globali e i controlli sulle esportazioni applicabili. Se veniamo a conoscenza di un distributore o rivenditore che non rispetta questi obblighi, adottiamo misure appropriate, inclusa la risoluzione del nostro rapporto». Il quadro normativo di Hong Kong facilita la creazione di società fittizie, sia da parte di residenti locali che di cittadini stranieri. Hong Kong ha mantenuto il suo status di hub di libero scambio anche dopo essere tornata sotto il controllo cinese nel 1997 e continua a posizionarsi in alto negli indici aziendali grazie alle basse imposte, alla totale mancanza di controlli sui capitali e a una valuta locale ancorata al dollaro statunitense. Il rapporto sottolinea anche che le sanzioni si sono concentrate principalmente sulle aziende coinvolte nelle spedizioni illecite di merci, piuttosto che sui singoli individui. Nell’aprile 2023, l’Office of Foreign Assets Control degli Stati Uniti ha sanzionato tre società di Hong Kong per i loro legami con la fornitura di beni elettronici all’Iran per programmi sui veicoli aerei senza pilota. Tuttavia, Li Jianwang e Liu Jin, i proprietari di Attronix, una delle tre società sanzionate, hanno presentato istanza di cessazione delle operazioni e un anno dopo hanno costituito una nuova società di Hong Kong, Ets International. Sebbene le attività di Ets International siano del tutto sconosciute, il caso evidenzia quanto sia molto semplice per gli individui eludere le sanzioni semplicemente creando nuove società. A questo proposito, Samuel Bickett, autore del report intervistato da Nikkei Asia, afferma: «Gli attuali schemi di applicazione hanno dei limiti e, nonostante l’uso di nuove sanzioni secondarie, le spedizioni di tecnologia occidentale in Russia continuano. Le banche non sono state soggette a sanzioni secondarie, nonostante tali politiche per colpire le istituzioni finanziarie siano state introdotte a dicembre». Infine, lo scorso 11 luglio è emerso il caso di Agu Information Technology, un distributore basato a Hong Kong, che sul proprio sito dichiara di fornire «hardware per server, apparecchiature di rete e componenti direttamente dal produttore (Intel e Samsung, nda)». Tra settembre e dicembre 2022, Agu (fondata solo nell’aprile 2022) ha effettuato sei transazioni di valore pari o superiore a 100.000 dollari con la società russa di vendita all’ingrosso di macchinari Mistral, come riportato dai dati doganali russi ottenuti da Cybex Exim, un’azienda di ricerca indiana. In totale, Agu ha esportato oltre 60.000 semiconduttori Intel per un valore complessivo di circa 18,7 milioni di dollari, inclusi microprocessori il cui costo unitario è di 13.000 dollari. Quando i giornalisti di Nikkei Asia si sono recati all’indirizzo indicato come sede centrale di Agu nei registri aziendali non hanno trovato nessuno. Nemmeno un cassetta della posta. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/per-neutralizzare-le-sanzioni-usa-xi-offre-a-putin-lo-scudo-di-hong-kong-2668983629.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-triangolazioni-contro-loccidente-erano-gia-rodate" data-post-id="2668983629" data-published-at="1724011104" data-use-pagination="False"> «Le triangolazioni contro l’Occidente erano già rodate» Irina Tsukerman è un avvocato e ricercatore presso l’Arabian Peninsula Institute di Washington D.C. Si può dire che senza Cina e Iran la guerra in Ucraina sarebbe già finita? «Iran e Cina hanno fornito alla Russia droni, missili, munizioni leggere e armi non letali provenienti dalla Cina. Hanno fornito assistenza logistica e di intelligence, aiutando il commercio di energia e l’elusione delle sanzioni. Cina, Iran e Russia fanno anche parte di una lobby politica all’interno delle Nazioni Unite, che contrasta le spinte alla responsabilità da parte del blocco occidentale. La Cina e l’Iran hanno aperto le porte alla Russia in Medio Oriente e nel Sud globale, dandole accesso a flussi di reddito. Queste collaborazioni sono intrinsecamente limitate. L’Iran è sottoposto a pesanti sanzioni, mentre la Cina teme un ulteriore controllo da parte dell’Occidente e ha un conflitto di interessi con la Russia su diversi fronti, come lo sviluppo tecnologico. Il fattore più importante che ha prolungato la guerra in Ucraina è stato il successo della propaganda russa nel rallentare l’assistenza degli Stati Uniti». Come funzionano queste triangolazioni? «Gli accordi politici tra questi regimi possono variare in risposta alle mosse dei loro avversari, ma in genere hanno una dinamica intrinseca più strettamente legata alle loro agende indipendenti e collettive. Se da un lato le sanzioni possono accelerare gli accordi finanziari, dall’altro i meccanismi per aggirare e isolare l’Occidente - come gli accordi commerciali indipendenti, la spinta alla dedollarizzazione e le esercitazioni militari - si sarebbero probabilmente verificati a prescindere e in alcuni casi prima delle crisi attuali. Tali accordi potrebbero essere messi in discussione da obiettivi concorrenti, come la rivalità tra Cina e Russia, o da interessi contrastanti ma anche complementari tra Russia, Cina e Iran nel perseguimento di obiettivi geopolitici nei punti caldi globali. I Paesi imparano l’uno dall’altro e cooperano su questioni come la sicurezza informatica e l’hacking, la guerra dell’informazione e misure attive assortite, ma perseguono anche interessi indipendenti nell’economia, nel lobbismo politico o nelle operazioni di intelligence. La Russia non si fa scrupolo di pestare i piedi alla Cina per rivitalizzare le sue relazioni con il Vietnam attraverso progetti energetici che ostacolano le rivendicazioni territoriali di Pechino». Alcuni commentatori hanno affermato che le nuove sanzioni statunitensi aumenteranno solo i costi delle transazioni in valuta estera per finanziare gli acquisti russi legati alla guerra, ma non li impediranno. È così? «Le sanzioni statunitensi hanno un certo peso, ma anche dei limiti. Dovrebbero essere più coerenti, mirate, meglio applicate, coordinate con la comunità internazionale, compresi i Paesi non occidentali, e integrate da efficaci controlli sulle esportazioni-importazioni. Attualmente, esistono fonti di reddito alternative per il finanziamento della guerra, come le incursioni nelle miniere in Africa, la vendita di oro e il finanziamento di criptovalute in luoghi come Dubai, Singapore e Hong Kong, imprese criminali assortite, il commercio sul mercato nero e gli investimenti diretti da parte dei principali attori internazionali come gli Stati del Golfo». Oltre a Hong Kong, quali Paesi si prestano a queste triangolazioni? «Singapore, Dubai (Emirati Arabi Uniti), Cipro, Kazakistan, Armenia e molti altri Paesi dell’Asia centrale e dell’Eurasia sono punti primari per gli scambi illeciti, il riciclaggio di denaro, la miscelazione di petrolio e gas e altre forme assortite di cooperazione finanziaria clandestina, come le società di comodo utilizzate per spostare denaro». Secondo la stampa israeliana, la linea di produzione del drone suicida iraniano Shahed-136 è stata stabilita nella Repubblica del Tatarstan, in Russia. È possibile che anche i cinesi stiano spostando le fabbriche nelle ex repubbliche sovietiche? «Per anni, la Cina ha utilizzato il discorso del separatismo uiguro per indurre una dimensione militare all’interno dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, sfruttando la sua perenne ossessione per il terrorismo, il separatismo e l’estremismo religioso per promuovere l’espansione militare nelle ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale, dove la Cina sta superando la Russia per quanto riguarda l’influenza militare, soprattutto sotto forma di droni, missili e altre forniture mascherate da donazioni. Recenti rapporti evidenziano una potenziale base militare cinese in Tagikistan, che potrebbe portare l’influenza militare della Cina nella regione a un nuovo livello. Il governo cinese non ha detto molto su questa base, se non che ha costruito diversi edifici per la lotta al traffico di droga in altre zone lungo il confine afghano del Tagikistan. Ma la crescente cooperazione con l’Afghanistan continuerà a giustificare una presenza cinese a presidio del confine con il Tagikistan, soprattutto nell’estremo oriente. Altre ragioni per la scelta di quest’area per una probabile espansione sono il crollo della presunta divisione economico-militare sino-russa del lavoro, il crescente interesse economico per l’Asia centrale come corridoio principale della Belt and Road Initiative e la continua lotta contro il traffico di droga». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/per-neutralizzare-le-sanzioni-usa-xi-offre-a-putin-lo-scudo-di-hong-kong-2668983629.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="pure-liran-se-ne-giova-per-armarsi" data-post-id="2668983629" data-published-at="1724011104" data-use-pagination="False"> Pure l’Iran se ne giova per armarsi Lo scorso 11 luglio l’Office of Foreign Assets Control (Ofac) del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha sanzionato cinque individui e sette entità con sede in Iran, nella Repubblica popolare cinese e a Hong Kong, per aver facilitato degli acquisti per conto di subordinati del Ministero della Difesa e della Logistica delle Forze Armate (Modafl) dell’Iran. Tra i materiali inviati in Russia ci sono accelerometri e giroscopi, che servono come input chiave per il programma iraniano di missili balistici e per i veicoli aerei senza pilota (Uav). L’acquisizione da parte dell’Iran di componenti missilistici e Uav continua a consentire la proliferazione dei suoi sistemi d’arma ai suoi delegati in Medio Oriente e alla Russia. Il sottosegretario del Tesoro per il terrorismo e l’intelligence finanziaria, Brian E. Nelson, ha affermato: «La sconsiderata proliferazione da parte dell’Iran dei suoi missili balistici e degli Uav rischia di aumentare ulteriormente l’instabilità e mette a repentaglio le vite dei civili, sia nella regione che nel resto del mondo. L’azione di oggi espone altre importanti società di facciata e agenti fidati attraverso i quali l’Iran ha cercato di acquisire questi componenti. Gli Stati Uniti continueranno a imporre costi a coloro che facilitano la capacità dell’Iran di produrre queste armi mortali». Tra le aziende sanzionate ci sono anche la Beijing Shiny Nights Technology Development Co., Ltd. (Beijing Sntd), con sede in Cina, una società di facciata del Modafl che ha acquistato elettronica e apparecchiature per conto di utenti finali iraniani, la Electro Optic Sairan Industries Co. (Sapa), con sede in Iran, ha acquistato equipaggiamento militare e sviluppato tecnologie per il Modafl e ha contribuito separatamente allo sviluppo di Uav che vengono utilizzati dalle forze russe in Ucraina della serie Shahed da parte del Shahed Aviation Industries Research Center (Sairc), designato dall’Ofac. Mohammad Abdollahi, con sede in Iran, è un responsabile commerciale e funzionario degli acquisti per Sapa che lavora a stretto contatto con Thomas Ho Ming Tong, con sede a Hong Kong, per acquistare componenti ottici per conto di Sapa. Tong si coordina direttamente con Abdollahi per facilitare i preventivi, effettuare ordini e creare fatture per componenti ottici, tra cui reticoli, espansori di fascio riflettenti e array di lenti montate. Tong utilizza le sue società con sede a Hong Kong e nella Repubblica popolare cinese -Tas Technology Company Limited, Cloud Element Company Limited e Btw International Limited - per acquistare e organizzare il pagamento dei componenti da Sapa. Bright Shore Inc Limited, con sede a Hong Kong, è una società per la quale Tong è direttore. Altre aziende nel mirino dell’Ofac sono la Azmoon Pajohan Hesgar Limited Liability Company (Aph), un produttore di apparecchiature di prova coinvolto nella progettazione di test di sensori e sistemi di navigazione inerziale con sede in Iran, e la Shenzhen Rion Technology Co., Ltd. con sede in Cina, una società tecnologica che ha fornito, o tentato di fornire, articoli a supporto della società di facciata del Modafl Beijing Sntd.
i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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Getty Images
Nel 2025 la pirateria torna a imporsi come una minaccia fluida, che si adatta ad ogni situazione, capace di sfruttare ogni varco lasciato aperto nel fragile equilibrio della sicurezza marittima globale. Due aree, più di altre, raccontano questa nuova stagione di attacchi: il Golfo di Guinea e l’Oceano Indiano. Non si tratta più di fenomeni isolati come mostrano i report di Praesidium, società che si occupa di intelligence marittima, né di improvvise fiammate criminali. È un ecosistema in movimento, che segue logiche precise, approfitta delle lacune statali, cavalca il maltempo o il suo contrario, e ridisegna continuamente la mappa del rischio.
Nel Golfo di Guinea, l’andamento dell’anno ha mostrato un susseguirsi di incursioni che sembrano quasi seguire una traiettoria invisibile. All’inizio la pressione è stata particolarmente intensa nel settore orientale, tra Gabon, Guinea Equatoriale e São Tomé e Príncipe. L’attacco del 31 gennaio al peschereccio Amerger VII ha inaugurato la stagione. Tre membri dell’equipaggio sono finiti nelle mani dei pirati a poche miglia da Owendo, un episodio che ha posto subito il tema dell’audacia dei gruppi criminali e della loro capacità di muoversi vicino alle acque territoriali. Interessante notare che la stessa imbarcazione era già stata attaccata nella stessa area nel 2020.
Pochi giorni dopo, l’abbordaggio della Jsp Vento, nella Zona economica esclusiva (Zee) della Repubblica della Guinea Equatoriale, ha mostrato un altro tratto distintivo della pirateria del 2025: attacchi rapidi e condotti contro navi senza scorta, dove gli equipaggi sono spesso lasciati a loro stessi visti i lunghi tempi di reazione delle autorità locali. In questo caso i pirati hanno abbandonato la nave dopo essere stati avvistati dall’equipaggio. A marzo l’escalation si è fatta più chiara. L’incursione alla petroliera Bitu River, al largo di São Tomé, è durata ore e ha incluso la violazione della cittadella, con i pirati che sono riusciti a prendere in ostaggio diversi membri dell’equipaggio e a fuggire. Il trasferimento degli ostaggi in Nigeria e il loro rilascio settimane dopo suggeriscono canali consolidati, territori di appoggio e una filiera criminale ben riconoscibile.
La traiettoria della minaccia è poi scivolata verso ovest, raggiungendo il Ghana, dove a fine marzo il peschereccio Meng Xin 1 è stato assaltato e tre marittimi sono stati rapiti e trasportati nel Delta del Niger, cuore storico delle milizie locali. In quest’area, simili episodi ai danni di pescherecci sono stati in passato ricondotti a dispute locali o ad azioni di ritorsione. Tuttavia, il fatto che gli assalitori comunicassero in pidgin english nigeriano richiama il modus operandi tipico dei sequestri a scopo di riscatto riconducibili alla pirateria nigeriana, lasciando aperta l’ipotesi di un’evoluzione dell’evento in tale contesto.
Il vero punto di svolta è arrivato il 21 aprile, quando la Sea Panther è stata abbordata a oltre 130 miglia da Brass. L’episodio ha segnato il ritorno ufficiale della pirateria all’interno della Zee nigeriana, un territorio che non registrava attacchi confermati dal 2021. Per gli analisti si è trattato della prova definitiva che la pressione militare degli anni precedenti si è attenuata, lasciando di nuovo spazio a cellule in grado di spingersi in acque profonde. Poche settimane dopo, a fine maggio, l’assalto alla Orange Frost nella zona di sviluppo congiunto tra Nigeria e São Tomé ha completato il quadro, mostrando come i gruppi criminali siano capaci di colpire anche aree formalmente pattugliate da due Stati.
L’estate ha portato una calma apparente, dissoltasi con l’arrivo di nuovi episodi a partire da agosto, quando il tentativo di sequestro della Endo Ponente è stato sventato dalla pronta ritirata nella cittadella da parte dell’equipaggio, che è rimasto all’interno fino all’intervento delle forze navali avvenuto comunque ore dopo l’attacco. Un altro tentato attacco è stato registrato nella regione occidentale del Golfo in ottobre contro la Alfred Temile 10 al largo del Benin. A novembre la minaccia è tornata a concentrarsi a est, dove la Ual Africa è stata presa di mira al confine tra la Zee di São Tomé e Principe e quella della Guinea Equatoriale: l’equipaggio ha resistito chiudendosi in un’area blindata all’interno della nave - un locale protetto, sigillato e dotato di comunicazioni indipendenti - progettata per consentire all’equipaggio di mettersi al sicuro durante un attacco. Non riuscendo a fare breccia nelle difese, i pirati hanno devastato ponte e alloggi prima di ritirarsi.
Se il Golfo di Guinea racconta una pirateria che cambia posizione ma non perde incisività, l’Oceano Indiano nel 2025 ha dato vita a uno scenario ancora più inquietante. La regione somala è tornata teatro di sequestri e attacchi con una frequenza che ricorda i periodi più bui della pirateria del decennio precedente. La stagione è iniziata a febbraio con una serie di dirottamenti per mezzo di dhow yemeniti, piccole imbarcazioni utilizzate dai pirati come piattaforme mobili per proiettarsi molto a largo. Il sequestro dell’Al Najma N.481 ha rivelato un modus operandi ormai consueto: catturare un peschereccio, impossessarsi delle piccole imbarcazioni, rifornirsi a bordo e ripartire verso obiettivi più remunerativi. Anche gli altri casi registrati tra il 15 febbraio e il 16 marzo mostrano lo stesso schema, con dhow impiegati come basi avanzate e poi abbandonati dopo l’intervento delle forze navali internazionali o a seguito del pagamento di riscatti.
Il periodo dei monsoni, tra maggio e settembre, ha rallentato l’attività, ma non l’ha soppressa. Appena il mare è tornato praticabile, gli avvistamenti sospetti sono ripresi con un’intensità che ha sorpreso perfino le missioni navali. Tra ottobre e novembre si è assistito a un ritorno deciso dei gruppi somali in acque profonde, con tentativi di abbordaggio a centinaia di miglia dalla costa, un dettaglio che ricorda i livelli operativi raggiunti nel 2011-2012. Il primo attacco avvenuto nel 2025 contro una nave commerciale è stato registrato il 3 novembre alla petroliera Stolt Sagaland, a oltre 332 miglia nautiche da Mogadiscio: quattro uomini armati hanno aperto il fuoco prima di ritirarsi, segno di una rinnovata audacia. Pochi giorni dopo, la Hellas Aphrodite è stata addirittura abbordata a più di 700 miglia nautiche dalla Somalia, un dato che conferma l’utilizzo di «navi madre» capaci di sostenere missioni lunghe e complesse. Proprio in questo contesto si inserisce il misterioso dhow iraniano Issamamohamadi, sequestrato a fine ottobre e ritrovato abbandonato l’11 novembre: secondo gli investigatori è molto probabile che sia stato utilizzato come base per gli attacchi alla Stolt Sagaland e alla Hellas Aphrodite.
Il mese di novembre ha proposto un crescendo di avvicinamenti sospetti, scafi non identificati che si accostano a mercantili per poi allontanarsi all’improvviso, petroliere che segnalano la presenza di droni in aree dove solo pochi anni fa sarebbe stato impensabile. Le due regioni – Golfo di Guinea e Oceano Indiano – raccontano, seppure con dinamiche diverse, una stessa verità: la pirateria non è affatto un fenomeno residuale. È una minaccia che continua a mutare, sfrutta gli spazi lasciati liberi dalla sicurezza internazionale e approfitta delle fragilità degli Stati costieri. Nel 2025, il mare torna a parlare il linguaggio inquieto delle rotte clandestine, dei sequestri silenziosi e dei gruppi armati che conoscono perfettamente le pieghe della geografia nautica e delle debolezze politiche di intere regioni. Una minaccia che non chiede di essere osservata: semplicemente, ritorna.
«La lotta agli Huthi ha sottratto risorse. Contro i sequestri i mezzi sono limitati»
Stefano Ràkos, è manager del dipartimento di intelligence e responsabile del progetto M.a.r.e. di Praesidium.
In che modo la pirateria nel Golfo di Guinea nel 2025 dimostra una crescente capacità organizzativa rispetto agli anni precedenti?
«La crescente capacità organizzativa emerge soprattutto dall’elevata adattabilità dei pirati al contesto di sicurezza. I gruppi dimostrano di monitorare costantemente l’evoluzione delle misure di protezione, inclusa l’estensione progressiva delle aree coperte da scorte armate o navi militari, e di raccogliere informazioni attraverso canali aperti e circuiti informali. Le aree di attacco vengono quindi selezionate in modo sempre più mirato, privilegiando i settori dove le scorte armate non sono consentite per motivi legali o di scarsa presenza di asset militari. Gli assalti risultano basati su informazioni preventive sui movimenti delle navi e non più su opportunità casuali, indicando un livello di pianificazione e coordinamento superiore rispetto al passato».
Quali fattori hanno consentito ai gruppi criminali dell’Oceano Indiano di tornare a operare a distanze così elevate dalla costa somala, arrivando a colpire navi a oltre 700 miglia?
«A partire dalla fine del 2023, il ritorno delle attività pirata a distanze superiori alle 700 miglia dalla costa somala è stato favorito dallo spostamento dell’attenzione navale internazionale verso il Mar Rosso e il Golfo di Aden a seguito della crisi legata agli Huthi, con una conseguente riduzione della pressione di controllo nell’Oceano Indiano. La fine del monsone ha ripristinato condizioni meteomarine favorevoli alle operazioni offshore. Sul piano operativo, si è registrata una persistente limitata capacità di interdizione effettiva da parte degli assetti navali internazionali. Nel caso del dirottamento della Ruen nel dicembre 2023, così come in un più recente episodio con dinamiche analoghe, le forze presenti si sono limitate ad attività di monitoraggio a distanza, senza procedere a un’azione diretta di interruzione prima del rientro delle unità verso le coste somale. Questo approccio ha di fatto confermato ai gruppi criminali l’esistenza di ampi margini di manovra operativa, rafforzando la percezione di un basso livello di rischio nelle fasi successive al sequestro».
Che ruolo ha giocato la cooperazione regionale degli Stati dell’Africa occidentale nella gestione dei sequestri e nella risposta agli attacchi, e quali limiti emergono da questi interventi?
«Nella pratica, la cooperazione regionale tra gli Stati dell’Africa occidentale ha inciso in modo molto limitato sulla gestione dei sequestri e sulla risposta agli attacchi. I principali quadri di riferimento, tra cui Ecowas e l’Architettura di Yaoundé con i relativi centri di coordinamento regionali, hanno prodotto soprattutto meccanismi formali di cooperazione e scambio informativo. Tuttavia, tali strutture non si sono tradotte in una capacità operativa realmente integrata. Le risposte restano nazionali, frammentate e spesso tardive, con forti disomogeneità tra le marine locali».
In che misura l’utilizzo di dhow come «navi madre» rappresenta un salto qualitativo nelle operazioni dei pirati somali, e quali rischi introduce per le rotte commerciali globali?
«L’impiego dei dhow come navi madre non rappresenta una tattica nuova, ma una strategia già utilizzata dai pirati somali in passato e oggi tornata pienamente operativa. Questo schema consente di superare i limiti degli skiff, che per autonomia di carburante e condizioni del mare non possono spingersi troppo lontano dalla costa. L’uso di un’imbarcazione più grande permette invece di operare a grande distanza, trasportando uomini, carburante e mezzi d’assalto in aree di mare molto più estese. Una volta avvicinato il bersaglio, vengono poi impiegati gli skiff, più rapidi e adatti alla fase di abbordaggio. Ne deriva un ampliamento diretto dell’area di rischio e una maggiore esposizione delle rotte commerciali globali, anche in settori che in passato erano considerati marginali rispetto alla minaccia pirata. Negli anni d’oro della pirateria somala il loro raggio operativo raggiungeva addirittura le Maldive».
Quali segnali osservabili indicano che nel 2025 la pirateria non è un fenomeno residuale ma un ecosistema in evoluzione che sfrutta lacune statali e vuoti di sicurezza internazionale?
«Nel contesto dell’Oceano Indiano, l’assenza di un controllo statale effettivo su ampie porzioni del territorio somalo continua a costituire un fattore strutturale di instabilità, che facilita la riorganizzazione delle reti criminali. Le missioni navali internazionali, tra cui le componenti europee e le task force multinazionali, non esercitano più il livello di deterrenza raggiunto negli anni precedenti. La Marina indiana mantiene una presenza attiva nella regione, ma gli interventi risultano spesso legati alla presenza di cittadini indiani a bordo delle unità coinvolte. Nel Golfo di Guinea, il quadro appare ancora più critico. I gruppi criminali nigeriani operano con crescente frequenza al di fuori della zona economica esclusiva della Nigeria, spesso in aree dove l’impiego di scorte armate non è consentito. I tempi di risposta delle marine locali risultano generalmente elevati e frammentati, in assenza di un dispositivo internazionale strutturato analogo a quello attivo in Oceano Indiano».
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(Ansa/Arma dei Carabinieri)
Si tratta in particolare di truffatori che ricorrevano al trucco del «finto carabiniere» per sottrarre denaro soprattutto a persone anziane. Tra gli indagati, uno era già detenuto per altra causa; sei sono stati portati in carcere, nove agli arresti domiciliari e cinque sottoposti all’obbligo di dimora.
Il provvedimento nasce da un’indagine convenzionalmente denominata «Altro Mondo», condotta dal Nucleo investigativo di Milano e avviata a partire dal 2023, come risposta alla recrudescenza di furti, rapine e truffe commessi prevalentemente in danno di soggetti vulnerabili, mediante la tecnica del «finto carabiniere».
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