Prima che si parlasse di populismo con i toni da fine del mondo, prima cioè della Brexit e di Trump; prima che il termine passasse a codificare come impresentabile un’intera offerta politica, accomunando anche partiti, movimenti e idee che non c’entravano nulla l’uno con l’altro; prima di tutto questo le istanze alla base del cosiddetto «populismo» erano state perfettamente descritte e indagate da un grandissimo storico, Christopher Lasch. Il suo «La ribellione delle élite», pubblicato in America nel 1995, è un condensato di acume profetico che non squalifica con etichette ma indaga le ragioni profonde del malessere delle nostre democrazie. L’America degli anni Novanta assomiglia molto da vicino a tanti Paesi europei degli anni Dieci: impoverimento del ceto medio, disagio esistenziale, calo di benessere e sicurezza, senso di distanza dai centri di potere reale (le «élite», appunto), crisi delle comunità e dei corpi intermedi, insicurezza diffusa. Oggi l’epiteto «populista» è già passato di moda: paradossalmente, molti dei temi così etichettati sono passati sotto le insegne di partiti «di sistema», complici anche gli anni del Covid: proprio per questo rileggere Lasch permette di tornare alla radice dei problemi e non alla loro superficiale negazione. E di interrogarsi sul ruolo dello stato, delle comunità, sui limiti della democrazia, delle istituzioni sovranazionali e del liberalismo: non per improbabili istinti di ripulsa, ma per capire che, in fondo, il populismo non esiste. E, con ogni probabilità, non è mai esistito.
Lia Thomas (Getty Images)
L’università della Pennsylvania fa marcia indietro sul caso Lia Thomas e si scusa con le atlete biologicamente donne che sono state «svantaggiate» nella competizione. D’ora in poi chi è nato maschio non parteciperà alle gare femminili.
Ecco #DimmiLaVerità del 3 luglio. L'esperto di politica internazionale Daniele Ruvinetti ci spiega che, come aveva anticipato da noi, il disimpegno di Trump sull'Ucraina fa parte di un accordo complessivo con Putin che riguarda anche Iran e Israele.
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Secondo un noto think tank, la più grande lobby Usa del settore, che include Pfizer, Merck, Novavax e Vaxcyte, ha tenuto una riunione segreta contro il segretario alla Salute. Stanziati 2 milioni di dollari. Obiettivo: avviare il linciaggio mediatico.