2021-12-08
Palù denuda l’Aifa: «Farmacovigilanza? Siamo troppo pochi»
Il presidente, in Senato, scarica sul dg Magrini: «Dovreste parlare con lui». Il Garante: «Il pass dato al datore di lavoro non va bene».Le carenze di Aifa sul fronte della farmacovigilanza? Colpa del poco personale. Ascoltato in audizione ieri in Senato davanti alla Commissione Affari costituzionali, il presidente dell’Agenzia italiana per il farmaco, Giorgio Palù, ha risposto alle domande sul metodo di raccolta dei dati per la farmacovigilanza attiva (seppur a campione) sui vaccinati, ricordando che l’agenzia dal 2008 finanzia progetti di farmacovigilanza attiva ma «evidentemente non bastano, c’è una carenza, lo dico anche da presidente del cda», ha detto Palù. Che ha poi evidenziato l’anomalia di Aifa, «unica agenzia ministeriale con un organo collegiale dove il rappresentante legale non è il presidente ma il direttore generale che su questo punto avrebbe potuto essere più dettagliato di me perché sono le sue determine che entrano in gioco in quasi tutte le questione che avete sollevato, il cda entra in gioco quando c’è impatto sulla spesa che non esiste nel caso dei vaccini perché è a carico della struttura commissariale». Arrivato al vertice di Aifa il 5 dicembre del 2020, Palù, ha poi sottolineato di aver sollecitato una riforma dell’agenzia che la porti al livello delle omologhe europee e internazionali perché, ha ribadito, «sulla farmacovigilanza c’è molto da fare». Ogni mese l’agenzia presieduta pubblica un report che viene inviato alle autorità di pharmacovigilance europee ma, ha poi aggiunto Palù, «Israele fa una farmacovigilanza attiva, sono 9 milioni di abitanti, la fa perché il centro vaccinale chiama dopo una-due settimane i singoli vaccinati e quindi è in grado di vederli, noi no. Questo va migliorato». Come? Il processo «va riversato sulle regioni che sono il braccio operativo della sanità e che dovranno essere più coinvolte», ha risposto. Del resto, ha spiegato durante il suo intervento, Aifa ha 600 dipendenti, le altre agenzie come quella di Uk, Germania e Francia, hanno oltre 1.000 dipendenti, la squadra di Aifa va rafforzata soprattutto per «gli statistici e informatici» perché «ne abbiamo 12, e credo che vada rafforzata in questi settori di base dirigenziale soprattutto quelli vicini alla scienza e meno medici».Incalzato sulle domande relative alla vaccinazioni dei bambini tra i 5-11 anni, Palù ha poi spiegato che «la situazione nei bambini è cambiata perché è mutato il virus. Prima aveva poca capacità di infettare i bambini, si ammalavano poco. Con la variante Delta la trasmissione media del virus è passata dai 5 giorni ai 2 giorni, è più veloce e viene trasmesso dai soggetti in fase asintomatica, quindi è più difficile il controllo. I bambini si infettano e possono avere conseguenze gravi. I dati parlano di 1 su 100 bambini che viene ospedalizzato e 1 su 4000 che va in rianimazione. Sono affetti da una sindrome infiammatoria multisistemica che può avere effetti gravi perché sono colpiti organi vitali come il cuore, i polmoni, il fegato». Peccato che la Delta sia diventata dominante da luglio e che ad agosto il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, insieme a quello della Salute, Roberto Speranza, avesse proposto in un decreto (quello sulla scuola, poi cambiato) che i vaccinati potessero stare tutti insieme appassionatamente in classe senza mascherine. Intanto il presidente dell’Aifa ha anche detto che «la pandemia avanza in maniera molto più rapida della scienza. La responsabilità politica di prendere decisioni viene quindi prima della fruizione di dati scientifici o clinici che richiedono tempo. Va usato il criterio della massima precauzione». Ma cos’è nel diritto il «criterio di massima precauzione"? Si applica a eventi scientificamente incerti, per cui non esiste un protocollo d’azione. Non legittima ogni restrizione: va temperato dal principio di proporzionalità, tra gli altri, con un’analisi costi-benefici. Che almeno finora non pare proprio esserci stata. Ad avere aperto le audizioni di ieri in Senato è stato però Pasquale Stanzione, presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali. Secondo il Garante, la norma che prevede la consegna del green pass al datore di lavoro «altera profondamente la ratio del sistema, volta appunto a garantire la massima riservatezza al presupposto di rilascio della certificazione verde» e andrebbe valutata «l’opportunità di una sua abrogazione». Con la previsione della facoltà di consegna da parte dei dipendenti di copia della certificazione verde al datore di lavoro «si consente infatti a quest’ultimo di evincere anche il presupposto di rilascio della stessa», ha sottolineato Stanzione, e ha spiegato che «esso è agevolmente desumibile dal dato relativo alla scadenza della certificazione, dal momento che ciascun presupposto di rilascio (tampone, guarigione, vaccinazione) determina un diverso periodo di validità del green pass».