2019-09-22
Pakistano schiavizzava gli ospiti della cooperativa degli scandali
Nei campi di Porto Recanati uno straniero beccato a sfruttare richiedenti asilo del Gus, la Onlus a processo per una presunta evasione da 30 milioni. La Procura, invece di chiudere l'azienda, le ha messo un tutore.Teresa Bellanova, titolare dell'agricoltura e capodelegazione al governo del partito di Matteo Renzi, dovrebbe farsi un giro per le campagne del maceratese, nelle «rosse» Marche. Il ministro ha dichiarato qualche sera fa all'adorante Lilli Gruber a Otto e Mezzo su La7: «Mentre venivo qui, mi hanno chiamato molte imprese per dirmi una cosa semplicissima: senza flussi migratori, ben regolati, molte delle nostre produzioni marciscono nei campi, bisogna riaprire i porti per fare del Mediterraneo un mare di pace, anche per aiutare l'agricoltura». Brava ministra. Succede però che in virtù della legge contro il caporalato che anche la Bellanova contribuì a scrivere si sia scoperto che nelle campagne di Porto Recanati e Montelupone, famosa per gli squisiti carciofi, una sessantina di immigrati venivano sfruttati come schiavi. Ma non hanno arrestato l'imprenditore, né hanno posto l'azienda sotto sequestro. No: hanno affiancato al titolare dell'azienda un tutor legale che ogni mattina alza il ditino e dice a questo agricoltore disinvolto: no così non si fa. E sapete perché? Ufficialmente perché così l'azienda non chiude ma forse anche perché il presunto schiavista è a sua volta un immigrato che teneva per 12 ore nei campi pagandoli al massimo 5 euro l'ora, ma più spesso non pagandoli affatto, altri immigrati. Poi si dice l'accoglienza. Questi poveri disgraziati erano ospiti del Gus, la famosa megacooperativa Onlus finita sotto processo che però non finisce mai per una presunta evasione da 30 milioni di euro arrivata ad avere fino a 470 dipendenti e cresciuta da 2,5 milioni di fatturato a oltre 40 milioni di euro in cinque anni grazie ai soldi dei progetti Sprar. Ha conosciuto con i porti chiusi un periodo di magra tanto da dover licenziare un sacco di gente, ma ora si è rimessa in rotta avanti tutta proprio come le navi delle Ong che fanno i traghettatori di profughi. Ma sorge una domanda. Se gli immigrati sottoposti a caporalato erano ospiti del Gus e quindi erano in attesa di vedersi riconosciuto lo status di rifugiati non dovevano partecipare ai corsi d'italiano, a quelli professionali, a tutte le attività di inserimento per le quali la cooperativa riceve i soldi dallo Stato? E com'è che erano finiti a raccogliere le verdure per una manciata di euro? Una domanda che gli inquirenti per ora non si sono posti. Il procuratore Capo di Macerata Giovanni Giorgio - salito agli onori della cronaca nazionale per aver condotto le indagini e il processo per la morte e lo squartamento della povera Pamela Mastropietro per cui sta scontando l'ergastolo il nigeriano Innocent Oseghale anche lui un ex ospite del Gus - due giorni fa ha spiegato alla stampa questa maxioperazione. In soldoni, dopo una serie di controlli i carabinieri hanno scoperto che nell'azienda agricola Girasole tra Porto Recanati e Montelupone lavoravano una sessantina d' immigrati con permesso provvisorio di soggiorno che arrivano dal Pakistan, dall'India, dalla Nigeria, dal Bangladesh e dal Senegal. Il titolare dell'azienda li faceva lavorare anche 15 ore, non li pagava, non dava loro alcun genere di conforto e nelle poche pause questi poveri disgraziati dovevano accontentarsi di dormire sulla paglia e di mangiare quel che racimolavano. In particolare tredici braccianti erano - stando alle accuse - soggetti ad una condizione di totale schiavitù. Allora la Procura per la prima volta chiede, sfruttando una possibilità della legge, al gip Claudio Bonifazi di mettere sotto controllo giudiziario l'azienda per evitare di chiuderla. In pratica al titolare viene affiancato, sotto controllo del tribunale, un commercialista che lo fa stare in riga. Il comunicato della Procura è zeppo di nomi e di elogi, spiega tutto, ma sul titolare dell'azienda dice solo che si chiama Mmohammed Malik. Perché? Comunque per conoscere il signor Mmohammed basta fare un numero di telefono. E lui in italiano un po' claudicante risponde e forse neppure si rende conto che - stando alle accuse- ha ridotto in semi-schiavitù degli altri uomini. «È normale: c'è lavoro, io prendo chi lavora. Io faccio insalata e la faccio con appalto, se chi mi appalta paga poco io pago poco». Parola di Mmohammed che fa un ragionamento semplice semplice per quanto inquietante, ma che dice tutto del perché esiste il caporalato. Forse la ministra Bellanova piuttosto che aprire i porti dovrebbe chiudere le dogane ai prodotti extraUe che arrivano in Italia in dumping, forse invece di fare l'accordo Ceta si dovrebbe mettere d'accordo con la grande distribuzione per evitare le aste al massimo ribasso, forse invece di fare il capodelegazione di Renzi dovrebbe cominciare a spiegare ai consumatori che frutta, verdura e prodotti agricoli non si possono pagare una miseria. Ma questo è un altro discorso. Continuando a chiacchierare con il signor Malik si scopre che lui è arrivato «dal Pakistan nel 2002, mi hanno chiamato i miei amici che già stavano a Porto Recanati». Non vuol dire se è entrato da clandestino e come è venuto in Italia però s'inorgoglisce raccontando: « Ho lavorato tanto in fabbrica senza fermarmi mai, poi ho preso la terra e sono dodici anni che faccio questa impresa e vendo ai grossisti. Questi che ci ho ora nei campi raccolgono insalata. Me la pagano 10 centesimi al chilo». Alla domanda per chi fa l'orto in conto terzi sfruttando gli immigrati Malik sbotta: «Ora basta questa cosa chiedi a mio avvocato» e chiude. E l'avvocato è Francesco Laganà, il legale dei pakistani, lo stesso che ha difeso Muhammad Riaz che sempre nel maceratese nel febbraio del 2018 ha ucciso - sostiene l'accusa -schiacciandola sotto l'auto la figlia di 19 anni Azka Riaz che lui aveva violentato. L'ha ammazzata - lo accusano - per evitare che la ragazza lo denunciasse. Così si scopre che il racket del lavoro nero è in mano, in provincia di Macerata, ai pakistani perché sempre due giorni fa a Castelfidardo hanno pizzicato altri due «caporali» e a Civitanova hanno beccato i reclutatori di immigrati costretti a distribuire volantini per 5 euro al giorno. Ma per il ministro bisogna aprire i porti perché «altrimenti marcisce la merce». Non sarà che di marcio c'è qualcosa d'altro?