2021-06-30
Non era omofobia. Orlando usato come Seid
Per giorni il suo cadavere è stato trasformato in spot per il ddl Zan. Ora per il giovane buttatosi sotto un treno a Torino salta fuori «l'ipotesi di un ricatto» a sfondo sessuale. Gay o stranieri, l'abuso dei suicidi per fini politici è un riflesso condizionato a sinistra. di Torino, che indaga per un reato del tutto diverso, l'istigazione al suicidio. Repubblica scrive che Orlando «sarebbe finito in una situazione più grande di lui, da cui voleva fuggire», e ventila «l'ipotesi di un ricatto», di «incontri con adulti che potrebbero aver approfittato di lui quando era ancora minorenne». Il pubblico ministero Antonella Barbera e i suoi investigatori, intanto, analizzano le chat del telefonino di Orlando alla ricerca di elementi, indizi, contatti. Suo padre Francesco, in un'intervista alla Stampa, sostiene che il figlio era impaurito, e pare convinto sia stato spinto a uccidersi. «Nelle ultime settimane mi aveva detto che aveva paura di un paio di persone», dice. «Mi aveva raccontato di essere stato minacciato, ma non aveva aggiunto altro, forse per timore. Gli avevo chiesto chi fossero. Gli avevo proposto di incontrarli con lui, di avere un confronto. Ma Orlando minimizzava, diceva che non era il caso. Gli avevo anche chiesto se dovesse dei soldi a qualcuno. Di spiegarmi quale fosse il problema, che l'avremmo affrontato insieme. Però i suoi atteggiamenti non sembravano allarmanti e così gli avevo consigliato di pensare alle vacanze». Al Corriere della Sera suo fratello Mario conferma che «ultimamente Orlando era turbato e aveva paura di qualcuno», ma non si spinge oltre. Tra gli amici qualcuno, senza esporsi, parla di «un brutto giro» e fa rimbalzare per la seconda volta la parola più inquietante della vicenda: «Ricatto». La madre, Anna Screnci, è l'unica a parlare ancora di «bullismo», ma esclude con forza che il suicidio fosse un passo che il figlio avrebbe mai potuto scegliere: «In questi giorni», si dispera, «anche gli amici mi hanno fatto capire che era successo qualcosa, e io non riesco a perdonarmi per non averlo capito». Si vedrà che cosa l'inchiesta scoprirà. Intanto, come accade in certi malinconici dopo-concerto di fine estate, intorno alla drammatica storia di Orlando resta l'impalcatura arrugginita della propaganda politica. Perché il 20 giugno, mentre gli addetti ancora stavano raccogliendo con tutto il possibile rispetto il corpo di Orlando dai binari della linea Chieri-Rivarolo, era già partito l'irrispettoso coro di chi collegava la sua morte alla violenza omofoba. E come se quel dramma fosse uno spot per il progetto di legge del deputato dem Alessandro Zan, il presidente della commissione Giustizia alla Camera Mario Perantoni, del Movimento 5 stelle, aveva messo assieme «le continue violenze omofobe» e «il bollettino quasi quotidiano di casi estremi, come quello del suicidio del giovane Orlando», per incitare alla rapida approvazione del testo di Zan contro l'omotransfobia. Lo stesso aveva fatto l'assessore torinese ai Diritti, Marco Giusta. E sempre a Torino Davide Betti Balducci, candidato sindaco del Partito gay per i diritti Lgbt+, aveva dichiarato che «la lotta al bullismo e alle discriminazioni è uno dei punti principali del nostro programma, proprio per far sì che casi come quello di Orlando non si ripetano più».Giustamente oggi c'è chi, davanti alla morte e soprattutto a quella per suicidio, invita sommessamente a riscoprire l'antico valore etico ed estetico del silenzio. Sulla Verità, ieri, Marcello Veneziani ha ricordato come il suicidio quasi sempre sia un volo imperscrutabile, che nasce da tormenti assai meno banali e superficiali di quelli causati dal bullismo. Il problema è che gli italiani non apprezzano il silenzio davanti alla morte, tant'è che da qualche anno, sconsideratamente, ai funerali si sono messi ad applaudire peggio che a teatro. E non sembrano imparare nulla nemmeno dalle cronache. Eppure la cupa storia di Orlando Merenda pare ricalcata su quella di Seid Visin, il ventenne etiope già promessa del calcio nelle giovanili del Milan, che ai primi di giugno s'è impiccato nella casa vicina a Salerno, dove viveva con la coppia italiana che l'aveva adottato. Meno di un mese fa, come causa della morte di Seid, la politica aveva immediatamente evocato non l'odio omofobo, ma la xenofobia. L'ex presidente della Camera Laura Boldrini aveva proclamato con sicumera che «Seid sentiva il peso infame dello sguardo del razzismo». E il segretario del Partito democratico Enrico Letta aveva pubblicato su Twitter una bella foto del giovane, con la scritta «Chiediamo perdono»: un po' l'antefatto della sua incongrua pretesa d'inginocchiamento collettivo antirazzista per la Nazionale di calcio. A buttarla brutalmente in politica era stato poi Roberto Saviano, che aveva coperto di disprezzo Matteo Salvini e Giorgia Meloni solo perché i due leader della destra avevano cercato di spiegare che in quel caso il razzismo c'entrava poco. «Un giorno farete i conti con la vostra coscienza», aveva scritto Saviano, «perché la sadica esaltazione del dolore inflitto ai più fragili prima o poi si paga. E vi auguro sinceramente che siano i vostri figli a vergognarsi di voi e a non darvi tregua. Per sempre». Poi era accaduto che il padre di Seid, Walter Visin, si fosse giustamente indignato per l'indecorosa appropriazione del cadavere del figlio, e avesse deciso di bollare come «sciacallaggi e speculazioni» le illazioni dei politici sulla causa presunta del suo suicidio: «Macché razzismo!», aveva protestato, «qui Seid era benvoluto da tutti, la chiesa oggi era piena di famiglie in lacrime». Così le strumentalizzazioni erano state riposte. Ma non per vergogna, per resipiscenza o per rispetto del dolore dei familiari: esclusivamente per calcolo di opportunità politica. Ora, forse, i coristi del politically correct taceranno anche per Orlando. Ma solo fino al prossimo, tristissimo caso.
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco