
Giornali e intellettuali minimizzano l’insulto della virostar a una ragazza disabile. Se il responsabile fosse stato un «non allineato», la condanna sarebbe feroce. A chi sta dalla parte «giusta», invece, tutto è concesso.Per un attimo, guardando di sfuggita la doppia pagina che La Stampa ha dedicato alla discriminazione ai danni delle donne, si siamo illusi che avremmo trovato proprio lì il commento indignato che ci aspettavamo. Ma non c’era. A Roberto Burioni il quotidiano torinese ha dedicato giusto un corsivetto a pagina 16, in cui si sosteneva che la nota virostar avesse rivolto un’offesa «tanto sciocca quanto banale» a «una sostenitrice della Lega ostile alla quarta dose». In realtà, le cose non stanno esattamente in questi termini. Burioni non ha rivolto una offesa sciocca e banale a una leghista «no vax» (così l’ha definita, domenica, un altro quotidiano): il simpatico telemedico ha insultato ferocemente una ragazza gentile e indifesa, irridendola per il suo aspetto fisico.La ragazza in questione si chiama Alessia, racconta di avere una disabilità, ed è piuttosto attiva sui social. Commenta i fatti di attualità, non fa mistero delle sue simpatie leghiste, ma non usa i toni aspri e irritanti che caratterizzano tanti attivisti digitali (di ogni colore politico). Semplicemente, Alessia si è permessa di mostrare apprezzamento per un esponente della Lega che Burioni stava attaccando su Twitter, e tanto è bastato perché il castigatore di somari la investisse con il suo astio. Qualche ora dopo, travolto dallo sdegno via social, il medico ha tentato di cavarsela rimuovendo il tweet e abbozzando delle scuse. La formuletta che ha utilizzato è tipica di questi tempi: «Se Alessia si è sentita offesa…». Solo che Alessia non «si è sentita offesa»: è stata violentemente messa alla berlina in pubblico da un uomo più vecchio, più potente e molto più visibile di lei. Il quale, nel tentativo di passarla liscia, le ha attribuito la responsabilità del risentimento: se «ti sei sentito offeso», magari sei troppo sensibile, non hai capito, ti turbi per un nonnulla, comunque la colpa è in gran parte tua. Fin qui, tuttavia, nulla di strano: l’arroganza e il narcisismo di Burioni sono proverbiali (a un certo momento è riuscito pure a lagnarsi di aver subito «una crocifissione eccessiva»). Il punto è il modo in cui questa vicenda schifosa è stata digerita dal sistema politico-mediatico. La Stampa, dicevamo, ha liquidato tutto con un corsivetto. Repubblica ha passato la mano. Il Corriere della Sera ha risolto con un articolo di cronaca leggermente sbilanciato. Il titolo era: «Burioni, il tweet diventa un caso e lui si scusa con una ragazza». Ah, dunque la notizia è che Burioni si è scusato? Ma pensa. Secondo il Corriere, il virologo è stato «accusato di bodyshaming». Capito? Non ha fatto bodyshaming, lo hanno solo accusato di farlo: del resto oggi è pieno di gente che «si sente offesa», mica si può credere a tutti…Ora, sappiamo che rischiamo di risultare banali, o faziosi. Ma ci tocca ripetere il ragionamento perché ogni maledetta volta la realtà si dipana nello stesso modo. Provate a pensare se, al posto di Burioni, ci fosse stato un professionista, un intellettuale, un politico o un giornalista estraneo al «Circolo dei Buoni». Potete immaginare che sarebbe accaduto? Staremmo ancora leggendo commenti infuocati sul patriarcato e sul machismo italico. Si sarebbero mobilitate in blocco le vestali femministe. Forse avrebbe preso la penna anche qualche scrittrice attenta ai problemi della disabilità. Insomma: il putiferio. Del resto Burioni le ha inanellate tutte: dal razzismo al bodyshaming passando per il mansplaining. Eppure, dal lato degli Illuminati silenzio quasi assoluto. Per i più si è trattato di uno scivolone, di un’uscita notturna poco elegante: passata l’estate, passerà anche questa, sarà dimenticata, e potremo serenamente ritrovare il faccione del somarologo in prima serata, ben pagato per allietare i telespettatori di Fabio Fazio. È questa superficialità a disgustare. Con Burioni non ci arrabbiamo, non più: ha dei problemi, bisogna aiutarlo (per esempio tenendolo lontano dalla tv pubblica). A sconcertare, piuttosto e per l’ennesima volta, è la macchina mediatica. L’ipocrisia vomitevole con cui - sempre - a chi sta dalla parte giusta viene perdonato tutto. Chiaro: si sbaglia a tutte le latitudini, spesso anche i commentatori cosiddetti «anti sistema» travalicano i limiti e si rendono colpevoli di spettacoli spiacevoli. Però è raro che vengano risparmiati o sfuggano alla gogna, e comunque parliamo di persone che non maneggiano il potere, che non decidono - o decidono solo in parte - delle vite altrui. Sì, tutti sbagliano o esagerano. Ma per gli «eletti» non esistono limiti all’orrore. Possono mentire, offendere, discriminare, rimediare figuracce clamorose. Però continuano a rimanere in sella, a godere di privilegi, a ottenere pulpiti solitamente ben retribuiti per sdottoreggiare in libertà. Non finiscono nelle liste di proscrizione, non sono oggetto di editoriali alla cartavetrata sui media più pomposi, non vengono oscurati o censurati. Finché restano aderenti al discorso dominante, il resto è orpello, compreso l’insulto feroce a una ragazza delicata. Il caso Burioni, per quanto risulti particolarmente urtante, purtroppo non è un’eccezione: è la regola. È , al peggio, una faccenda «sciocca e banale», una storia di diritti calpestati di cui frega poco a pochi. Alessia, la ragazza attaccata, è «leghista» e «no vax», dunque la sua dignità non conta agli occhi dei «correttissimi» custodi della morale, quelli che amano pasteggiare a buone cause e superiorità antropologica. Ma sapete che c’è? C’è che nell’era in cui tutti piangono senza motivo, Alessia non ha piagnucolato nemmeno un po', della compassione degli ipocriti lei non ha bisogno. Non si scusino con lei, dunque, ma la ringrazino di aver nobilitato con dolcezza il loro schifo.
Il Tempio di Esculapio, all’interno del parco di Villa Borghese (IStock)
La capitale in versione insolita: in giro dal ghetto ebraico a Villa Borghese, tra tramonti, osterie e nuovi indirizzi.
John Lennon e la cover del libro di Daniel Rachel (Getty Images)
Un saggio riscrive la storia della musica: Lennon si ritraeva come il Führer e Clapton amava il superconservatore Powell.
L’ultimo è stato Fedez: dichiarando di preferire Mario Adinolfi ad Alessandro Zan e scaricando il mondo progressista che ne aveva fatto un opinion leader laburista, il rapper milanese ha dimostrato per l’ennesima volta quanto sia avventata la fiducia politica riposta in un artista. Una considerazione che vale anche retrospettivamente. Certo, la narrazione sul rock come palestra delle lotte per i diritti è consolidata. Non di meno, nasconde zone d’ombra interessanti.
Gianrico Carofiglio (Ansa)
Magistrato, politico in quota Pd per un breve periodo e romanziere. Si fa predicatore del «potere della gentilezza» a colpi di karate. Dai banchi del liceo insieme con Michele Emiliano, l’ex pm barese si è intrufolato nella cricca degli intellò scopiazzando Sciascia.
(IStock)
Pure la Francia fustiga l’ostinazione green di Bruxelles: il ministro Barbut, al Consiglio europeo sull’ambiente, ha detto che il taglio delle emissioni in Ue «non porta nulla». In Uk sono alle prese con le ambulanze «alla spina»: costate un salasso, sono inefficienti.
Con la Cop 30 in partenza domani in Brasile, pare che alcuni Paesi europei si stiano svegliando dall’illusione green, realizzando che l’ambizioso taglio delle emissioni in Europa non avrà alcun impatto rilevante sullo stato di salute del pianeta visto che il resto del mondo continua a inquinare. Ciò emerge dalle oltre 24 ore di trattative a Bruxelles per accordarsi sui target dell’Ue per il clima, con alcune dichiarazioni che parlano chiaro.






