2025-05-23
Netanyahu è diventato un problema. Le mosse per sostituirlo con l’ok Usa
Bibi Netanyahu (Getty Images)
Il presidente israeliano Herzog è orientato a opporsi al prossimo rimpasto e indire le elezioni. Si scalda l’ex generale Eizenkot, pronto a una svolta che toglierebbe terreno alla propaganda antisemita in Occidente.Benjamin Netanyahu è stato il grande escluso dalla visita di Trump in Medio Oriente. La Casa Bianca ha posto l’accento sulle due grandi economie sunnite, Emirati e soprattutto Arabia Saudita, e ha fatto anche una importante tappa in Qatar. Una apparente contraddizione rispetto al grande piano di affidare l’intera area al potere di Mohammed bin Salman con tanto di riorganizzazione geografica e geopolitica della grande penisola. Il Qatar è, infatti, nemico di questo progetto. Probabilmente il pragmatismo del tycoon passa sopra a queste sfumature immaginando che Doha possa essere utile nel breve periodo. S’intende quindi la possibilità che i qatarini possano mediare con gli Usa per trovare una soluzione a Gaza che sia diversa da quella che Netanyahu sta portando avanti in totale dissidio con la comunità internazionale. Al di là delle polemiche dell’altro giorno, dopo che la comitiva di diplomatici in Cisgiordania è stata bersaglio di raffiche laterali, la difficoltà di gestire gli aiuti alla popolazione palestinese della Striscia per via nella nuova ondata militare che va sotto il nome di «carri di Gedeone» sta diventando un problema politico per Israele. E anche per gli Usa che, ribadiamo un’altra volta, puntano ad affidare quel pezzo di terra ai sauditi. Direttamente o indirettamente. È chiaro che qualcosa tra i gabinetti di Bibi e Trump si è rotto. Il primo non ha più nulla da offrire al numero uno della Casa Bianca. Il quale a sua volta sta a guardare con vivo interesse quanto può accadere nei prossimi mesi a Gerusalemme. Tradotto: la fine del governo Netanyahu. Figure di spicco come il presidente Isaac Herzog stanno alla finestra. Pronti a dire no al prossimo rimpasto e a indire elezioni. Ci sono uomini di peso che sarebbero pronti a scendere in campo. In molti vorrebbero un nome altisonante come quello di Gadi Eizenkot. Già ministro e capo di stato maggiore fino al 2019, ha perso un figlio a Gaza e l’ha pianto pubblicamente. Lo scorso anno ha rilasciato una pesantissima intervista criticando le scelte politiche del centro destra che hanno - a suo dire - deviato il percorso militare dell’Idf. Il generale è oggi uno degli uomini più rispettati dell’establishment e sarebbe in grado di dare una svolta anche politica. Influenzando in positivo le ricadute negative della postura di Bibi. Postura che facilita tutti coloro che confondono governo e Stato e alimentano il grande calderone fangoso dell’antisemitismo. Calderone ogni settimana sempre più profondo e alimentato sapientemente in Occidente da attori che possono spostare ingenti fondi. I report diffusi in Francia sull’influenza del Qatar sono solo una parte del tutto. Milioni spesi ad alimentare gli algoritmi che agevolano la visione di una Gaza devastata aiutano a creare una propaganda a senso unico. Per questo gli Stati Uniti sanno che il dialogo attuale con Doha è scivoloso. Così come gli sciiti sanno che fino a che c’è Benjamin Netanyahu al governo possono pestare il piede sull’acceleratore dei social e delle influenze online. Si chiama guerra ibrida ed è pericolosa tanto quanto quella tradizionale fatta di armi, fucili e missili. L’interrogativo che dobbiamo porci non è tanto su Israele che si sta avviando verso una riorganizzazione politica e un inserimento rafforzato nel futuro scacchiere medio orientale, ma sull’Italia, l’Europa e gli Usa. L’uccisione dei due diplomatici a Washington e gli episodi in Italia che vedono la costante fusione tra pro Pal, centri sociali e la fascia estrema che ha contatti con le vecchie Br non sono campanelli di allarme, ma il segno che si sono già rotti degli argini. L’Ue ha progressivamente ceduto la propria stabilità in cambio di soldi e finanziamenti che arrivano dall’area sciita. Pagheremo la debolezza, anche se in molti sperano nel nuovo Papa. Che muove la diplomazia già in modo solido e che usa le parole con un mix di fede, fermezza e lungimiranza. Basti pensare che dopo aver riavviato il dialogo con Gerusalemme non ha citato il luogo come Terrasanta ma espressamente con il termine Israele. A indicare il ruolo geopolitico di quello Stato. Due decenni di frammentazione della società Ue sono però difficili da ricomporre sia nelle relazioni esterne che in quelle interne. Ecco che i prossimi mesi sono un po’ una cruna di un ago nella quale si infilano nodi e problematiche.Benjamin Netanyahu appare dunque più un ostacolo che una opportunità e questo spiega la reazione di Donald Trump. Il tycoon vuole rivoluzionare la Striscia e con una eccessiva presenza militare dell’Idf diventa più difficile. Così come diventa più complesso avviare manovre laterali come quelle che nel silenzio dei media sono state messe a terra in Libano. Lì il nuovo presidente è una sorta di espressione saudita. E acconsentirà alla creazione di uno Stato cuscinetto a motore druso, elemento fondamentale per riequilibrare i rapporti anche con la Siria. Il mondo non è mai stato complesso come in questi mesi. Le tematiche economiche, politiche e religiose si incrociano in modi fino a poco tempo fa inimmaginabili. Il ventre molle rimane l’Europa che non dirige o prende mai una strada definita, ma si limita a giocare di rimessa.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.