
L’ex segretario generale riformula una proposta già avanzata da un funzionario di Stoltenberg. La resistenza però vuole combattere fino al 2025. Josep Borrell annuncia altri esborsi: «Gli aiuti Ue si sostituiranno a quelli Usa».Eravamo rimasti ai 186 miliardi che servono per far entrare Kiev nell’Ue. Che si aggiungono agli 83 miliardi già spesi per gli aiuti al Paese invaso dalle truppe di Vladimir Putin. E ai 681 miliardi che gli Stati dell’Unione hanno sborsato per limitare l’impatto della crisi energetica. Ebbene: pare che tutto ciò non basti.L’Alto rappresentante di Bruxelles, Josep Borrell, ha capito che Washington mollerà la causa gialloblù. Quindi, «noi europei, che abbiamo i mezzi necessari per farlo, dobbiamo essere pronti politicamente e materialmente ad aiutare l’Ucraina e persino a sostituirci agli Stati Uniti se, come forse è probabile, il loro sostegno dovesse diminuire». Tradotto: alla faccia della stanchezza dell’opinione pubblica, il conto della guerra per procura di Joe Biden non è stato ancora tutto saldato. Anzi, è destinato a diventare più oneroso. E graverà integralmente sulle spalle del Vecchio continente, che peraltro, se vuole indurre Volodymyr Zelensky a sedersi al tavolo delle trattative - assunto che un accordo si prende in due ed è dunque necessaria la collaborazione dello zar - non potrà limitarsi a concedere una contropartita monetaria. L’ex attore esigerà garanzie sulla sicurezza. Difficile assicurargli l’ingresso nella Nato. È più plausibile che siano i grandi eserciti Ue a impegnarsi nella difesa della nazione, una volta cessate le ostilità con Mosca, sulla falsariga dell’«ombrello» offerto qualche mese fa da Emmanuel Macron. D’altra parte, il Trattato di Lisbona prevede la mutua assistenza tra i membri dell’Unione, nell’eventualità di un attacco a uno di essi. A proposito di Nato. Mentre il presidente ucraino, nel tentativo di isolare la Russia sullo scacchiere, chiede invano un summit di pace a febbraio, l’ex segretario generale dell’Alleanza atlantica entra a gamba tesa nella querelle sui negoziati. Anders Fogh Rasmussen, alla guida dell’organizzazione tra il 2009 e il 2014, ha suggerito di includere nel club l’Ucraina, senza i territori occupati dagli aggressori. Un’ipotesi che, ovviamente, il politico danese vende quale esibizione muscolare nei confronti del Cremlino, ma che equivale a uno smembramento della nazione e a una cessione di fatto, all’aggressore, delle zone che esso ha conquistato a colpi di artiglieria. Chilometri quadrati che sarà arduo strappargli con un’altra controffensiva.L’idea di Rasmussen colpisce, perché ricalca quella formulata a metà agosto da Stian Jenssen, direttore dell’ufficio privato dell’attuale segretario generale Nato, Jens Stoltenberg. Il funzionario norvegese, in quell’occasione, aveva spiegato che una possibile via d’uscita dallo stallo era l’alienazione di alcune regioni allo zar, in cambio dell’ingresso di Kiev nell’Alleanza. Era stata la stessa Nato a smentire le improvvide affermazioni, travolta dall’indignazione dell’entourage di Zelensky. Ma adesso il consiglio si ripresenta. Stavolta, per bocca di un uomo che ha avuto, in passato, un ruolo ufficiale nell’organizzazione e che oggi gode della libertà di parola tipica degli «ex». L’Ucraina, invero, pare confermare la propria volontà battagliera, assorbiti i dissapori del suo leader con i vertici militari. In primis, col capo delle forze armate, Valery Zaluzhny. Stando al reportage uscito ieri su Repubblica, la popolazione si è anzi sentita quasi sollevata dalle ammissioni all’Economist del generale, il quale ha parlato di operazioni belliche congelate e del vantaggio strategico di cui beneficerà il nemico. «Iniziano a trattarci da adulti», commenta uno psicologo, certificando che il popolo è stufo dei toni parossistici di certa propaganda.Intanto, esperti sentiti ieri dal Guardian lasciano intendere che la resistenza si starebbe preparando a un lungo attrito, a una guerra che si potrebbe protrarre addirittura fino al 2025. È un proposito che, comunque, stride con l’insofferenza degli americani e di molte cancellerie europee. A stento celata dalle sortite di Borrell, dai proclami del cancelliere tedesco, Olaf Scholz («Putin non deve vincere»), che comunque ha raddoppiato le sovvenzioni all’Ucraina, o dai moniti del presidente della Repubblica polacco, Andrzej Duda, che denuncia la bulimia dell’imperialismo russo.La prospettiva di un’opposizione sul campo a oltranza cozza, in particolare, con la penuria di risorse umane e materiali. Giusto ieri, un funzionario dell’Ue ha riconosciuto che l’Europa, finora, ha consegnato agli ucraini solo il 30% delle munizioni in calibro 155 per cui s’era impegnata, pur ostentando ottimismo sul completamento delle forniture entro marzo. Di sicuro, se negli arsenali scarseggeranno i proiettili, sarà complicato arginare i russi, qualora riprendessero l’iniziativa in inverno.Rattrista che il vento del dialogo inizi a soffiare con un ritardo di troppe centinaia di migliaia di morti. E con Kiev in posizione di relativa debolezza. Fino a non molti mesi fa, azzardarsi a parlare di pace significava beccarsi la reprimenda degli europeisti progressisti, gli stessi che ieri, a Roma, sventolavano le bandiere arcobaleno, invocando una tregua a Gaza. Ormai, è stato Sergio Mattarella a sdoganare la tesi che la grande stampa avrebbe altrimenti etichettato come «putiniana»: non si deve umiliare la Russia. Curiosamente, a 24 ore dalla sortita del Quirinale, Repubblica ospitava un’ampia intervista al vice di Sergej Lavrov, il quale ha accusato l’Occidente di aver causato la guerra in Ucraina, con tanto di strascichi inquinanti. Di qui a rialzare la cornetta del telefono rosso è un attimo.
«It – Welcome to Derry» (Sky)
Lo scrittore elogia il prequel dei film It, in arrivo su Sky il 27 ottobre. Ambientata nel 1962, la serie dei fratelli Muschietti esplora le origini del terrore a Derry, tra paranoia, paura collettiva e l’ombra del pagliaccio Bob Gray.
Keir Starmer ed Emmanuel Macron (Getty Images)
L’intesa tra i due leader acciaccati per contenere le migrazioni sta naufragando. Parigi non controlla più la Manica e gli irregolari «dilagano» nel Regno Unito.






