2019-06-04
Mueller e i dem insistono con il Russiagate contro Trump. Ma ormai è un boomerang
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Ci risiamo. Negli Stati Uniti, si ricomincia a parlare di impeachment contro The Donald. Nonostante il presidente americano sia stato sostanzialmente scagionato dalle principali accuse legate all'inchiesta, le dichiarazioni rilasciate qualche giorno fa dal procuratore speciale hanno innescato l'ennesimo vespaio di polemiche che colpirà il partito di Hillary Clinton.In particolare, durante una conferenza stampa, il procuratore ha dichiarato: «Se avessimo avuto la certezza che il presidente non avesse commesso chiaramente un crimine, lo avremmo detto». Tanto è bastato, per scatenare un putiferio. I democratici sono tornati all'attacco e molti di loro stanno nuovamente chiedendo di mettere Trump in stato d'accusa. La questione continua a ruotare sempre attorno allo stesso problema. Se l'indagine di Mueller ha del tutto scagionato Trump dall'accusa di collusione con il Cremlino ai tempi della campagna elettorale del 2016, restano dubbi sull'altro capo di imputazione: quello di intralcio alla giustizia. Su questo fronte tuttavia il procuratore non è riuscito a reperire prove effettive, limitandosi a non escludere che il presidente possa aver commesso il reato. Una linea ambigua, essenzialmente ribadita dalle dichiarazioni di mercoledì. Il punto è adesso capire che cosa accadrà nel futuro. Trump è veramente nei guai, come sembrano suggerire molti organi di stampa? Forse no.Innanzitutto, l'ambiguità di Mueller sulla questione dell'intralcio alla giustizia lascia non poco perplessi. Nel rapporto da lui consegnato al Dipartimento di Giustizia si fa infatti riferimento a "potenziali" casi di reato ma prove certe e definitive di atti illegali non ce ne sono. Segno di come l'inchiesta Russiagate non sia stata capace di dimostrare una colpevolezza del presidente al di là di ogni ragionevole dubbio. Tanto basterebbe per dichiarare la faccenda chiusa. Eppure così non è. Gli avversari di Trump citano infatti quanto dichiarato dallo stesso Mueller tempo addietro. In sostanza, il procuratore ha affermato di non aver sottolineato eventuali crimini commessi dal magnate newyorchese, in quanto - secondo la Costituzione - un presidente in carica non potrebbe essere incriminato dal potere giudiziario. Un'affermazione che lascia basiti. Che un procuratore speciale non possa mettere sotto accusa un presidente nell'esercizio delle sue funzioni è senz'altro vero. Ma un procuratore può comunque effettuare delle indagini e - nel momento in cui trovi prove certe di reato - inserire il tutto nel rapporto che verrà successivamente valutato dalla Camera dei Rappresentanti. In questo senso, se Mueller avesse reperito evidenze inconfutabili di comportamenti illegali da parte di Trump, avrebbe potuto includerle nel proprio rapporto, dando in tal modo alla Camera i presupposi giuridici per avviare un processo di messa in stato d'accusa contro il presidente. Ma così non è stato.Del resto, basterebbe guardare alla storia. I rapporti dei procuratori speciali statunitensi seguono infatti due modelli differenti. Il primo è quello di Leon Jaworski che, nel 1974, si occupò dello scandalo Watergate: questo modello si propone di esporre i fatti in modo piano e asettico, lasciando totalmente alla Camera la valutazione sull'opportunità di intentare il processo di impeachment contro il presidente. Il secondo è quello di Ken Starr che, nel 1998, indagò sullo scandalo Sexgate: in questo caso, il rapporto avanza una prospettiva che mira a offrire un proprio parere, con l'obiettivo di influenzare la Camera ad agire in un modo o nell'altro. Ebbene, Mueller non ha seguito nessuno dei due modelli, restando fermo in mezzo al guado. Prove di reato non ce ne sono. Eppure il procuratore continua a parlare, alimentando sospetti contro il presidente. Un atteggiamento ambiguo e non troppo professionale, come ha - per esempio - rilevato l'avvocato democratico Alan Dershowitz in un recente editoriale apparso sulla testata The Hill. E' in questo quadro confuso che ci si domanda allora che cosa spinga Mueller a comportarsi così. Possibile che un ex direttore dell'Fbi non si renda conto della gravità di una simile linea? Siccome l'ipotesi che si tratti di un incapace risulta abbastanza improbabile, torna a farsi largo il sospetto che dietro tutto questo possa celarsi una manovra di carattere squisitamente politico. Anche perché non va dimenticato che Mueller graviti storicamente attorno a circoli repubblicani da sempre non poco ostili nei confronti di Trump. I democratici, dal canto loro, sembrano aver trovato nuovo motivo di compattezza. Ciononostante si tratta più di un'illusione che di un reale stato di cose. La questione dell'impeachment sta infatti già scavando nuove divisioni nell'Asinello tra chi chiede di andare avanti e chi - invece - teme un effetto boomerang. D'altronde, non solo i numeri parlamentari per arrivare a una condanna attualmente non ci sono (visto che i repubblicani detengono la maggioranza al Senato). Ma, come insegna il caso di Bill Clinton, un presidente messo in stato d'accusa può talvolta paradossalmente guadagnarne in termini di popolarità. Un'eventualità che, con le presidenziali del 2020 alle porte, i democratici non possono certo permettersi.
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