Morto in silenzio Duilio Poggiolini. Il vecchio «re Mida» della sanità distrutto da Tangentopoli

Qualora vi accada di chiedervi quale sia stato il destino terreno di Duilio Poggiolini non troverete risposta. Le ultime notizie pubbliche su colui che, a partire dal 20 settembre 1993, quando fu raggiunto con un mandato di cattura e arrestato in una clinica di Losanna, in Svizzera, sotto la falsa identità di Giovanni Lini, risalgono al 2019. Nella primavera del 2019 l’ex-direttore generale del servizio farmaceutico del ministero della Sanità, finito nel mirino di Mani Pulite, doveva affrontare l’ultimo storico processo, presso il Tribunale di Napoli, che si protraeva da 23 anni. Era accusato, con altri imputati, di epidemia colposa e omicidio colposo plurimo per la vicenda degli emoderivati infetti, plasma di dubbia origine utilizzato per trasfusioni negli ospedali italiani, cui furono correlati vari decessi, tra i quali alcuni forse a causa dell’Aids, di pazienti emofilici.
In base alle indagini, l’ex-potente della sanità italiana avrebbe favorito aziende per mettere in commercio sacche di sangue infettate e poi utilizzate. Tuttavia, in quel processo, Poggiolini era contumace, date le sue precarie condizioni di salute. Aveva perso pressoché completamente la vista e, probabilmente colpito dalla malattia di Alzheimer, non era presente a sé stesso. Pertanto non poté essere consapevole della sua assoluzione, nella sentenza di primo grado, «per assenza di elementi probatori e perché il fatto non sussiste». Per questo un quotidiano titolò: «Il fantasma di Poggiolini non sa di aver vinto». Da allora di lui non si seppe più nulla e nessun giornale se ne occupò più. Ancor oggi Wikipedia, solitamente puntuale nel dare aggiornamenti in tempo reale sulla morte di un personaggio pubblico, lo considera ancora vivente. Nell’enciclopedia online figura solo la sua data di nascita, 25 luglio 1929, a Roma. E, da una ricerca sul Web, non risulta alcuna notizia posteriore al 2019.
Che fine ha fatto, dunque, l’uomo assurto tra i simboli più negativi della corruzione? In concomitanza del suo fermo in Svizzera, le forze dell’ordine, quando perquisirono la sua villa presso il quartiere Eur di Roma, trovarono un tesoro costituito da lingotti d’oro nascosti all’interno di un divano, il famoso pouf, che ancor oggi gli italiani dai 50 in su ricordano nitidamente, insieme ad altri beni di valore, come monete auree antiche, orologi di pregio, tele di Picasso e De Chirico, oltre ad altri valori chiusi in una cassaforte, derivanti da tangenti e regalie di case farmaceutiche in cambio della garanzia di inserimento, da parte sua, nel Prontuario nazionale di farmaci a prezzi di favore. La risposta a questa domanda giunge dall’avvocato Luigi Ferrante, l’ultimo legale di quello che fu appellato «Re Mida» della sanità italiana. Lo difese anche nell’ultimo processo a Napoli sugli emoderivati, con la gratificazione di registrarne l’assoluzione. «Lo conobbi nel 1993» spiega «quando era detenuto a Poggio Reale. Lo difendevo con l’avvocato Vincenzo Maria Siniscalchi, mio zio, deceduto, per l’indagine per corruzione e associazione. Per l’associazione fu assolto ma fu condannato per un’altra serie di reati. All’epoca del processo per gli emoderivati non lo sentivo da qualche anno ma continuavo ad assisterlo, come legale di fiducia, senza percepire alcun onorario. Ritenevo ciò un dovere etico. Lo avevo difeso con mio zio, il mandato sopravviveva, innanzi al Tribunale. Non ritenevo giusto mandarlo da un difensore d’ufficio. Percepiva forse una modesta pensione, decurtata».
Famigliari o parenti? «Credo che la moglie e il figlio siano deceduti, il figlio prima di tutti. Aveva un fratello, penso l’unico, Fabio Massimo Poggiolini, stimato architetto romano, con cui ho avuto rapporti fino a circa 15 anni fa. I due figli dell’architetto non s’interessavano delle vicende legali dello zio». L’ultima volta che sentì Duilio Poggiolini? «Quando, con altri degenti, fu tradotto via da una casa di cura - e credo che già allora fosse incapace di deambulare e non vedente - ne parlarono anche i giornali, provai a chiamarlo sul telefonino, ma era spento». L’episodio cui si riferisce il legale risale al 2015. Al commissariato di Primavalle, a Roma, per incuria e irregolarità, fu segnalata una casa di riposo abusiva in via Casalino. Tra i degenti della struttura vi era anche l’ex-alto dirigente della sanità pubblica. Questa casualità non sfuggì alla stampa. A documentare quella contingenza resta una fotografia che lo ritrasse accanto a un’ambulanza, avvolto in un cappotto malconcio color cammello. Poi, della sua persona, non si seppe più nulla se non la presa d’atto della sua assenza al processo di Napoli del 2019. Quindi, avvocato Ferrante, qual è stato suo il destino? «Il professor Poggiolini è deceduto. Non l’ho saputo da familiari o parenti ma per via indiretta e incidentale. Non saprei indicare la data esatta del decesso. Per essere certi sarebbe necessario un certificato di morte».
Con il supporto dell’ufficio stampa del Comune di Roma e della Direzione anagrafe, riusciamo ad ottenere il certificato che ne attesta il decesso, avvenuto a Roma il 24 novembre 2020 (atto numero 03873). Era quello un momento assai convulso, tra i più cupi dell’epidemia di Covid 19. Si registravano mille vittime giornaliere. Le terapie intensive degli ospedali erano sovraffollate e quasi in preda al caos. Difficile dire come siano stati i suoi ultimi momenti e se avesse contratto il Covid, se sia deceduto in un nosocomio oppure in un’altra casa di riposo. Forse pochi o nessuno si avvidero che, all’età di 91 anni, l’esistenza terrena di un noto personaggio ebbe fine. Ai giornali e alle agenzie non fu comunicata alcuna notizia. È forse per questa ragione che, ancor oggi, non se ne trova traccia e per Wikipedia risulta ancora vivente. Conosciuta la data del decesso, Ama Cimiteri Capitolini, abilitata a fornire informazioni al pubblico sull’ubicazione di una tomba in uno degli 11 cimiteri della Capitale, fornisce l’informazione richiesta. La salma di Duilio Poggiolini riposa presso il cimitero Flaminio, riquadro 59, cappella n. 2.
Funzionario dello Stato, era considerato una stimata autorità nel suo settore ma divenne un oscuro monarca nel sistema dei corrotti. Si laureò in Medicina nel 1954, divenne ordinario in microbiologia, chemioterapia e igiene alla Sapienza di Roma, poi direttore generale del servizio farmaceutico del ministero della Sanità. Nel 1981 fu nominato rappresentante dell’Oms per il programma sui farmaci essenziali e, nel 1991, presidente della commissione europea sui farmaci. Fu rinchiuso a Napoli, in custodia cautelare, nel penitenziario di Poggioreale, dove Antonio Di Pietro l’interrogò. Condannato, in primo grado, a 7 anni e mezzo di reclusione, la pena fu ridotta, in appello, a 4 anni e 4 mesi. In carcere, di fatto, trascorse alcuni mesi e poi fu rinviato ai domiciliari e ai servizi sociali.
Pur essendo stato assolto per l’imputazione di «associazione a delinquere», la condanna per corruzione è bastata a deprivarlo di ogni bene materiale. La sentenza n. 44 della Terza sezione centrale di appello della Corte dei Conti dell’11 febbraio 2011, gentilmente inviata dall’ente statale, ha condannato Poggiolini al pagamento di 5 milioni 164.000 euro più interessi «per danno d’immagine alla pubblica amministrazione». Tuttavia, com’è indicato nel documento, la pena inflitta dallo Stato all’imputato, con ordinanza depositata il 19 settembre 1995, è stata il sequestro dei beni mobili e immobili «sino alla concorrenza di 250 miliardi di lire», ossia 125 milioni di euro e la loro confisca. Ci si può chiedere quale destinazione abbia avuto questo capitale. I celeberrimi lingotti d’oro da mezzo chilo cuciti nei divani, le tele d’autore e altro sono stati affidati, in custodia giudiziaria, alla Banca d’Italia, come anche un baule di lire ormai andate in prescrizione. La villa all’Eur e altri immobili sono finiti in aste sovente andate deserte, come ha confermato l’Avvocatura dello Stato. Le cospicue somme nei conti correnti sono state convogliate, da Bankitalia, al Fondo unico di giustizia, gestito da Equitalia Giustizia. Anche la moglie di Poggiolini, Pierr Di Maria, biologa siciliana, vedova che sposò in tarda età, non molto prima di Tangentopoli, fu condannata alla prigione e le furono confiscate ingenti cifre. Tuttavia, le furono concessi i domiciliari, per assistere il figlio cerebroleso avuto con il primo marito. Il loro rapporto non era idilliaco, pare vivessero in due case diverse e che, come spesso accade in questi casi, gli si sia rivoltata contro quando finirono in tribunale.
Resta il mistero anche psicologico di quest’uomo, Duilio Poggiolini, gran signore della sanità pubblica, sembra non dedito a sperperi e gozzoviglie, adeguatamente retribuito per i suoi prestigiosi incarichi statali, afflitto da una brama di accumulazione che lo portò a violare gravemente le leggi. Il suo conto con la giustizia l’ha pagato non tanto con la breve incarcerazione, quanto con la deprivazione di ogni suo avere, con la solitudine e la malattia degli ultimi anni di vita. Ogni titolo onorifico che gli era stato conferito fu cancellato, «per indegnità», con decreto del presidente della Repubblica del novembre 2014.






