2022-11-13
Annalisa Minetti: «Con “Déjà Vu” ritorno alla musica. È come risorgere dalle ceneri»
La cantante e campionessa paralimpica: «Sentivo il bisogno di tornare, l’avevo messa da parte per fare sport. Sì, sono patriottica: quando gareggio mi sento come la bandiera del mio Paese che corre verso il traguardo».Annalisa Minetti torna con un nuovo brano per rilanciarsi nella musica dopo i suoi grandi successi sportivi. Il titolo, Déjà Vu, rimanda a qualcosa di già vissuto, ma Annalisa vuole rinnovarsi e offrire una nuova immagine di sé. Un ennesimo cambiamento per una donna in costante divenire che non si è mai posta dei limiti, se non come traguardi da superare.Cosa rappresenta il nuovo brano nell’ambito della sua carriera canora? «È come risorgere da alcune ceneri. La musica era stata messa da parte da me perché avevo bisogno di applicarmi nello sport, che in quel momento mi stava dando molte soddisfazioni ed era un ottimo mezzo di comunicazione per dare alle persone un po’ di volontà a trovare la loro motivazione. Adesso ho sentito il bisogno di tornare appieno, con una ricerca diversa, una voglia di metamorfosi, per diventare una sorta di farfalla».In questa ricerca continua di nuovi traguardi, è difficile sintetizzare le sue attività perché ha una capacità poliedrica di fare di tutto. «Io ho trovato il modo per sintetizzare. Quando mi chiedono che lavoro fai, rispondo: “La Minetti”. È un lavoro! Tantissime fatiche, non immaginate quante». Non ha mai problemi d’identità? «Sicuramente non sono una persona che psicologicamente può entrare in una fase di stress perché fa sempre le stesse cose. Sono sempre a palla!». Riesce a caricare anche gli altri con questo suo entusiasmo travolgente. «Sono molto brava a spingere le persone a creare il proprio destino. Da circa un anno sono al fianco di Gerardo Leone, un grande motivatore, e stiamo lavorando utilizzando spiritualità, psicologia e l’aspetto motorio per riabilitare le persone alla vita. Questo progetto si chiama “Io creo il mio destino”». In questo ambito racconta anche le sue esperienze personali? «Spesso parto con la mia esperienza personale, utilizzando la psicologia del senso comune e acquistando credibilità da ciò che ho vissuto. Riesco a portare le persone a vivere sé stesse attraverso di me». Un’altra sua frase coinvolgente è: «La vita è atletica e io mi alleno a vivere tutti i giorni». «È la volontà di indossare metaforicamente la maglia della mia nazionale e di dire: “Ok, anche oggi, per me stessa, farò questo tipo di allenamento”. Mi alleno a vivere, anche perché la vita non si propone mai in maniera ordinaria. Io tendo a essere straordinaria. Anche se una cosa può apparire apparentemente ordinaria, è come la si vive a renderla straordinaria». Quando ha cominciato a fare atletica? «L’atletica l’ho scoperta molto tardi, verso i trent’anni, e in pochi anni ho raggiunto le Olimpiadi. Prima è arrivata la palestra, quindi l’amore per il ciclismo e altre discipline». Come le è venuta la spinta a correre? «Stavo pedalando quando un maresciallo della finanza che mi vedeva tutti i giorni in spiaggia, mi ha chiesto se quella resistenza aerobica l’avrei potuta mettere nella corsa e io gli ho detto: “Guarda, sono non vedente, per cui la corsa per me è molto faticosa”. Lui allora mi ha domandato: “Hai mai sentito parlare del cordino che porta le persone a correre? Se vuoi, ti insegno a correre con il cordino e ti faccio fare questa esperienza”. Mi ha fatto fare un test sui 1500 metri insieme a Andrea Giocondi, che era un ottimo ottocentista, e in due anni mi ha portata alle Paralimpiadi di Londra nel 2012. Sono arrivata prima dei non vedenti e poi in Francia, l’anno dopo, ho vinto i Mondiali». Cosa ha provato la prima volta che ha corso? «Ho visto tutti i santi e Gesù Cristo che mi accoglievano con le braccia aperte perché a 20 metri dall’arrivo stavo morendo. Mi sono detta: “Ma chi me lo ha fatto fa’?! Mai più nella vita”. Invece, quando sono arrivata al traguardo e non respiravo quasi più, mi sono alzata e mi sono ripresa. A quel punto ho detto: “Che figata!”. Giocondi mi ha domandato: “Sei pronta a far diventare queste gambe da miss gambe da atleta?”. Gli ho risposto di sì e lui: “Dovrai sputare veleno”. “Vabbè, imparerò a farlo”». Cosa hanno rappresentato per lei i Giochi paralimpici? «È come per Giorgia Meloni, oggi, essere presidente del Consiglio: ti senti, come donna, di rappresentare tutto il tuo Paese. È come se avessi prestato quell’esperienza, quel tempo, quel cronometro, quelle gambe per il mio Paese. Non ero io che correvo, ero io e il mio Paese: ero una bandiera che correva verso il traguardo». L’ha sentita in questo modo? «Sono assolutamente patriottica». Ha uno spirito molto competitivo, poco alla De Coubertin «Sono molto competitiva, soprattutto se mi sfido con degli uomini, mamma mia, mi sale proprio il nervo!». Proseguirà l’attività sportiva? «Adesso sto facendo una nuova esperienza, nel senso che non lascio l’atletica, ma mi sto preparando per le prossime Olimpiadi anche nel triathlon, quindi ho aggiunto l’amore per la bici e per la corsa al nuoto. Mi accingo a fare un test sulle tre discipline per arrivare a Parigi nel 2024 ancora più forte». Già nuotava? «No, ho iniziato da un anno a nuotare. Non avevo mai nuotato in vita mia, ho fatto un test sui settecento metri ed è andato molto bene. Sapevo solo rimanere a galla, a rana e fare paperella in piscina... noi lo chiamiamo lo stile Torvajanica! Non ho mai fatto stile, invece nelle gare è obbligatorio». È stato difficile? «È stato per me complicatissimo, l’acqua forse è il mio peggior nemico perché non ho orientamento: dover andare dritta, dosare le forze a destra e sinistra in egual modo perché altrimenti dai un tocco a destra e uno a sinistra e poi sapere quando fermarsi prima del bordo della piscina. Fidati, è l’esperienza più difficile, ma come tutte le esperienze difficili, poi diventano straordinarie». In mare aperto come fa a seguire una rotta? «Nuoto con il cordino: ho un cordino attaccato alla coscia sinistra che si attacca alla coscia destra del mio atleta guida, come nella corsa». Il mare torna nella clip della sua nuova canzone, girato su una spiaggia. «Il mare è un elemento che amo, di cui ho avuto tanta paura da sempre, ma è come se fossi tornata a livello embrionale». Metaforicamente, è come rientrare nel ventre della madre. «Sì, infatti quando sono in una grande crisi respiratoria nella mia testa, a parte le classiche frasi storiche tipo: “Sei una campionessa, adesso ti deve piacere la gara, ora che stai soffrendo”, quella che mi ripeto è: “Non avere paura dell’acqua perché è da qui che sei arrivata, quindi rilassati dentro”. Cerco di rilassarmi e di riprendere energia». La bicicletta è più naturale? «La bicicletta è molto più naturale, sto dietro, non devo muovere il volano perché comunque c’è chi lo gestisce davanti, io devo soltanto spingere. È una questione di potenza, che non mi manca, infatti penso che la mia prossima esperienza sarà il body building. Sono molto forte, molto muscolare, quindi per la bicicletta sono perfetta». Invece l’amore per la musica com’è nato? «Attraverso mio zio, al quale piaceva cantare. Aveva un suo gruppetto e ogni tanto mi portava a vedere i suoi spettacoli. Da lì a poco sono salita sul palco con lui e ho scoperto che mi piaceva». Quando ha cominciato? «A 16 anni. L’anno dopo ho cominciato a fare piano bar, come secondo lavoro, perché il mio primo lavoro era andare a scuola. Poi ho continuato finché non mi hanno dato la possibilità, dopo Miss Italia, di partecipare a Sanremo». Come si è realizzata questa grande occasione? «Enzo Mirigliani (il patron di Miss Italia, ndr) aveva aperto le porte alla musica. Me lo disse proprio: “Prendi questa come un’opportunità: canta qui e vedrai che le persone ti busseranno alla porta”. Ed è stato così». Ha vinto il Festival di Sanremo nel 1998, in entrambe le sezioni, campioni e giovani. «L’anno dopo Miss Italia. I big accoglievano i giovani nell’ultima serata». La paura del palco non l’ha avvertita? «Assolutamente non ce l’avevo. Ero soltanto una ragazzetta che pensava a portare il premio a casa da papà. Quando gli dicevo che volevo fare la cantante, mi diceva: “No, ti ho chiesto cosa vuoi fare di lavoro”». Era puro spirito di rivalsa… «Esatto. Gli ho detto: “Vedi che questo è un lavoro?”». Poi ha partecipato con Toto Cotugno. «Nel 2005 sono tornata a Sanremo con Toto e poi ho duettato con lui nel 2008. Ha combattuto parecchio per portarmi sul palco perché facevano altri nomi e lui ribatteva: “No, io voglio proprio lei”».Tra le tante sue esperienze, si è esibita davanti a papa Giovanni Paolo II. «Un momento meraviglioso. Giovanni Paolo II mi ha dato una grandissima opportunità, è lui che mi ha scoperta come presentatrice perché mi ha fatto presentare il Giubileo dei disabili nel 2000, insieme ad Al Bano e a Giovanna Milella, ed è stato veramente pazzesco». Un ricordo del pontefice? «Era un uomo prima di essere il Papa… Anzi, era un santo, ancor prima che lo facessero, però era apparentemente normale, anche se, appena ti diceva una cosa, sentivi lo stomaco che si chiudeva. Se c’era qualcosa che non avevi detto o un’emozione che non avevi espresso, sbottavi a piangere perché lui sapeva che cosa non stava andando. Uso un termine un po’ infantile, per me era magico». Aveva la dote dell’ironia. «Assolutamente sì. Per esempio, quando arrivava con la sua carrozzina, diceva: “Sono arrivato automunito” e noi scoppiavamo a ridere. Prendeva anche in giro i ragazzi disabili: “Eh, motorizzati anche voi”. Era molto simpatico».