2021-11-12
Messina dà le carte da grande elettore: Draghi resti a Chigi e Mattarella al Colle
In un'intervista, il ceo di Intesa esterna «da cittadino italiano». Lo status quo è uno scudo anti spread per la banca di sistema.Gli appassionati delle ultime puntate del «romanzo Quirinale» sono già impegnati da giorni a districarsi tra una raffica di interviste, retroscena e innumerevoli ipotesi più o meno suggestive sui papabili a prendere il posto di Sergio Mattarella sul Colle. E le puntate sono destinate ad aumentare nelle prossime settimane. Sullo sfondo, i fan e le groupies di Mario Draghi - il partito di Twitter, il team Brunetta-Gelmini-Carfagna, i liristi dei giornaloni che agitano quotidianamente l'aspersorio al passaggio del premier - che ogni giorno lo supplicano di restare a Palazzo Chigi in saecula saeculorum. Ieri mattina, però, sulle pagine de La Stampa si è letto un appello che ha fatto assai più rumore rispetto al liturgico brusio di sottofondo che accompagna da sempre la vigilia delle elezioni del presidente della Repubblica. In un'intervista al quotidiano torinese, infatti, l'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo ha espresso il suo auspicio: «Ritengo che oggi abbiamo un presidente della Repubblica integerrimo, un galantuomo che ha gestito le fasi difficili del populismo e della pandemia in modo unico, un personaggio irripetibile. A Palazzo Chigi c'è un uomo che è il meglio che l'Italia possa esprimere in credibilità, cose fatte e reputazione. Togliere questo tipo di prospettiva al nostro Paese lo considero un fattore che indebolirebbe di molto il nostro Paese. Ritengo che il presidente del Consiglio, rimanendo al suo posto, possa fare il bene del nostro Paese». Insomma, meglio che Draghi resti dov'è e anche Mattarella sarebbe bene non cambiasse indirizzo. È il pensiero di un «cittadino italiano», sia chiaro, e non di un banchiere («perché non vorrei che venisse equivocato», ha subito precisato con una excusatio non petita). Fatto sta che l'appello è arrivato forte e chiaro. E a parlare è comunque il timoniere dell'unica banca di sistema del nostro Paese nonché big europea del credito. Che a Messina piaccia Draghi non è certo una novità né tantomeno una sorpresa. Perché arriva dallo stesso mondo dell'ex governatore della Bce. E conosce bene gli alfieri di quella finanza cattolica in cui Draghi si è formato. Da banchiere guida, infatti, l'istituto il cui presidente emerito è tutt'oggi quel Giovanni Bazoli che insieme all'ex patron delle Fondazioni e della Cariplo (storica azionista di Intesa), Giuseppe Guzzetti, è sempre stato perfettamente allineato con la cultura andreattiana che ha ispirato anche il presidente della repubblica, Mattarella. E che ha accompagnato con grande plauso l'arrivo di super Mario a Palazzo Chigi. Ecco perché le parole di Messina hanno un peso importante. E lasciano un solco assai più profondo rispetto alle solite esternazioni o agli appelli di politici, esperti, sondaggisti e cortigiani vari sul toto Quirinale. Chissà se gli stessi Draghi e Mattarella ieri hanno avuto un sussulto leggendo l'intervista dell'ad di Intesa. Il primo avrà rimesso sconsolato nell'armadio il trolley già pronto per il viaggio verso l'aria fresca del Colle lontano dalle baruffe dei partiti? E il secondo, che ha più volte ribadito di non essere disponibile a un nuovo mandato, si starà chiedendo se alla fine non si ritroverà costretto ad accettare una rielezione? Non siamo in grado di rispondere, chiaramente. Ma è evidente che al pressing per mantenere lo schema dello status quo ieri si è aggiunto un peso massimo. Del resto, il gruppo Intesa Sanpaolo può essere considerato un importante stakeholder del governo Draghi il quale è considerato anche una sorta di scudo anti spread per la banca di sistema guidata da Messina. Nonché una specie di polizza per il corretto utilizzo dei fondi che ci arriveranno dall'Europa, per l'esecuzione delle riforme necessarie alla crescita del Pil e alla sostenibilità del debito pubblico (2.700 miliardi, 750 miliardi dei quali ce li finanzia la Bce). Intesa ha in pancia milioni di Btp e di fatto è il secondo creditore dello Stato. Non solo. L'istituto, che presidia circa un quinto del mercato finanziario nazionale, ha preso l'impegno di attivare, nell'arco quadriennale del Pnrr, erogazioni a medio lungo termine per oltre 410 miliardi, di cui 270 miliardi destinati alle imprese. «Se non cresceremo di più il nostro debito pubblico si troverà su livelli che non sarebbero sostenibili. Oggi abbiamo la reputazione di Mario Draghi che ci protegge, ma in futuro andrà attivato un chiaro percorso di riallineamento dei parametri di finanza pubblica», ha detto di recente lo stesso Messina. E nell'intervista di ieri ha ribadito che «abbiamo un'occasione unica per attivare la crescita e lavorare sui punti di debolezza del nostro Paese: da un lato il debito pubblico, dall'altro la povertà. Se questo non accadrà, torneranno in evidenza gli elementi fino ad oggi non più considerati come elemento di attenzione. Ricordiamoci che il nostro Paese ha un debito pubblico di 2.700 miliardi, 750 miliardi dei quali ce li finanzia la Bce. Se non riusciremo a crescere, perché non attiveremo i motori, esso diventerà un fattore di grandissima attenzione internazionale». Secondo Messina è una questione di fiducia: «per poter realizzare dei percorsi di investimento le imprese devono vedere delle prospettive di sostenibilità nei loro investimenti. Quindi se il piano Next generation Eu non dovesse avere un'accelerazione, «ci troveremmo con un ulteriore freno agli investimenti e ciò, in termini di prospettive del Paese sarebbe drammatico».