2021-10-02
Merck presenta una pillola e anche le nostre virostar scoprono le cure anti Covid
Il colosso Usa chiede l’autorizzazione per un farmaco «efficace», ma non immune da complicazioni. Entusiasti anche Burioni e Bassetti: le terapie non sono più un tabùContrordine compagni, le terapie ci sono e possono essere integrate con il vaccino. Il cambio improvviso della narrazione è stato imposto ieri dalla Merck, multinazionale americana: ha annunciato che chiederà «il prima possibile» l’autorizzazione di emergenza negli Stati Uniti per la prima pillola anti Covid basata sul molnupiravir. I test clinici condotti - afferma il colosso farmaceutico - hanno mostrato che il farmaco orale riduce del 50% il rischio di ricoveri e decessi quando somministrato a persone ad alto rischio (con diabete, obesità o età avanzata) nelle fasi iniziali dell’infezione. L’obiettivo dell’azienda, che ha sviluppato l’antivirale in partnership con la Ridgeback Biotherapeutics di Miami, è quello di produrre 10 milioni di cicli di trattamento entro la fine dell’anno. Il governo degli Stati Uniti ha firmato un accordo per ottenerne circa 1,7 milioni (a 700 dollari l’uno). La pillola va assunta due volte al giorno per cinque giorni da chi si è visto diagnosticare di recente il Covid-19. E ha dimostrato un’«efficacia consistente» nei confronti di numerose varianti del nuovo coronavirus, compresa la Delta. Merck ha poi aggiunto che il molnupiravir non è in grado di indurre cambiamenti genetici nelle cellule umane, «ma gli uomini arruolati nei suoi studi devono astenersi dai rapporti eterosessuali o accettare di usare la contraccezione. Le donne in età fertile non possono essere incinta e devono anch’esse usare dei metodi contraccettivi». Questo perché il farmaco agisce sulla polimerasi del virus, l’enzima che promuove la replicazione. In questo modo esso induce errori nella copia del codice genetico e le copie non sono funzionali. Lo stesso però può accadere anche nella replicazione di altri codici genetici. Ecco spiegata la prudenza. La società farmaceutica sta comunque conducendo due studi di fase tre sull’antivirale - uno per il trattamento per il Covid e un altro come preventivo. E stima di terminarli all’inizio di novembre.La notizia è stata però già accolta dal plauso generale. Persino Albert Bourla, presidente e Ceo di Pfizer, si è congratulato su Twitter con la casa farmaceutica concorrente. Lo stesso Bourla, del resto, aveva cinguettato un mese fa che «il successo contro il Covid probabilmente richiederà sia vaccini che trattamenti», annunciando l’avvio di uno studio clinico di fase due e tre su un antivirale orale, specificamente progettato per combattere il virus in adulti non ospedalizzati e a basso rischio. Ma dichiarazioni ancor più sorprendenti sono arrivate qui in Italia. Ricordiamo, infatti, che il ministero della Sanità è andato avanti per mesi fermo sulla propria linea. I pazienti non si curano. Vigile attesa fino alla terapia intensiva. Il messaggio è sempre stato quello di attendere i vaccini. Adesso che quasi il 79% degli italiani over 12 ha fatto le due dosi, ci si ammala in forma meno grave, ma resta sempre l’incognita degli effetti collaterali o della combinazione con altre patologie. La sfida - lo abbiamo scritto più volte - è accoppiare al vaccino le terapie corrette. Ma a prevalere fin qui è stata la polarizzazione del dibattito tra i fideisti del vaccino (e del green pass) e chi strepita contro le Big Pharma e cerca strani intrugli senza passare dai necessari iter clinici. Il punto è sempre lo stesso: evita di ammalarti gravemente vaccinandoti ma se ti ammali quali terapie (ospedaliere, ambulatoriali e non solo domiciliari) possono aiutarti? La risposta può arrivare dalle terapie a cui stanno lavorando le case farmaceutiche. Gli attuali approcci generalmente si concentrano sugli antivirali, che impediscono al virus di moltiplicarsi, e sugli immunomodulatori, che aiutano il sistema immunitario a combattere il virus o a impedire che reagisca in modo eccessivo e pericoloso. Tutte le terapie funzionano in un approccio integrato con il vaccino, non sono un’alternativa a esso. Eppure, con la smania del pandemically correct, approfondire il tema delle terapie è diventata per mesi quasi un’eresia. Fino a ieri. Quando anche per il virologo Roberto Burioni è arrivata la «fantastica notizia» della pillola anti Covid della Merck. «Se il molnupiravir verrà approvato, finalmente avremo delle cure domiciliari», ha aggiunto Burioni, sottolineando comunque «che il trattamento con questo farmaco costa 700 dollari, mentre la vaccinazione qualche decina di dollari. Per cui vi prego di non fare gli interessi di Big Pharma e vaccinarvi». Quindi, la frecciatina ai no vax: «Se approveranno M», scrive Burioni identificando il farmaco con l’iniziale, «uno dei vantaggi sarà che non potranno diventare no molnupiravir perché è una parola troppo difficile per loro, sia da scrivere sia da pronunciare». Alza i calici anche Matteo Bassetti: «Sono molto orgoglioso, perché nel nostro centro a Genova è stato arruolato l’unico paziente italiano nello studio sul molnupiravir. Eravamo diversi centri in competizione e siamo stati l’unico a trovarlo, e grazie anche al paziente», ha detto il direttore della clinica di malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova. E ancora: per Giovanni Maga, direttore dell’Istituto di genetica molecolare del Cnr di Pavia, «cominciamo ad avere un arsenale da gestire» e la pillola «potrebbe essere assunta anche a casa, sotto controllo medico. O usata anche come profilassi. Ma questo va validato e studiato». E al ministero della Salute che dicono? Il direttore della Prevenzione, Gianni Rezza, è tiepido: «i risultati», ha detto, «sembrano promettenti, dobbiamo vederli per valutarli con attenzione. È chiaro che abbiamo bisogno anche di antivirali». Così chiaro, però, fino a ieri non sembrava.