2022-11-20
Il candidato al Pirellone pronto alla rivoluzione dalla villa sul lago di Como
Pierfrancesco Majorino (Ansa)
Il dem Pierfrancesco Majorino, in corsa per la Lombardia, è perfetto per strappare i voti della Ztl milanese: paladino Lgbt, pro cannabis e immigrati. Con lauto stipendio da eurodeputato.«È simpatico come un chewing-gum fra i capelli». L’affezionato avventore dello storico bar pasticceria ex Manzoni di Menaggio - come diceva Piero Chiara, «nei paesi i luoghi di culto cambiano la ragione sociale, mai il nome» - non offre un parere ma una sentenza. Si riferisce a Pierfrancesco Majorino, habitué in birkenstock con calzino fra villeggianti vip e basilischi, immusonito il giusto la domenica d’estate nella parte dello statista in relax davanti a un maritozzo con glassa di zucchero. Ma cosa ci fa il protettore di migranti, antagonisti e centri sociali, teorico del ritorno al rosso antico non solo nel senso del vermut, spaparanzato nel cuore di quel ramo del lago di Clooney dove un bilocale ha prezzi da quadrilatero della moda?La domanda ci accompagnerà per qualche riga perché la cronaca incalza: l’europarlamentare del Pd è candidato a governare la Lombardia. Pur di dribblare l’equivoco politico determinato dalle eccentricità di Letizia Moratti, il Nazareno ha scelto lui per l’ortodossia del pedigree leonka. Ex numero uno della Rete studentesca incline alle okkupazioni, ex assessore ai Servizi sociali nella giunta arancione di Giuliano Pisapia, ex avversario di Giuseppe Sala alle primarie del 2016 (perché «troppo di destra»), inventore della «Milano senza muri» che ha visto arrivare 130.000 profughi destinati alla schiavitù e al degrado, è considerato l’uomo giusto dal dimissionario Enrico Letta. «Giusto per trasformare la Lombardia in un grande campo profughi» sostiene Riccardo De Corato, da sempre suo avversario sui banchi di Fratelli d’Italia. «Fra cannabis libera, ius scholae e gay pride ha idee contrapposte alla storia e ai valori della nostra regione», rincara la dose Stefano Bolognini, commissario della Lega. Più o meno la pensa allo stesso modo Carlo Calenda nella prima polemica tutta gauchiste: «Majorino è molto radicale, si porterà dietro Vittorio Agnoletto, il capo del fronte anticapitalista. Arriverà terzo». La risposta dell’interessato è lapidaria: «Calenda si occupi delle elezioni nel Lazio». Gli ingenui che fino all’ultimo hanno provato a far digerire al Pier (in Comune lo chiamano così) la cognata dell’ex presidente dell’Inter non sapevano che negli anni morattiani sotto la Madunina lui ha tenuto su Affaritaliani una rubrica dal titolo: «Senza Letizia». Cane e gatto, altro che campo largo. Milanese nato in Porta Romana 49 anni fa, nipote di un poeta editore, diplomato in informatica, Majorino avrebbe tutte le chiavi per aprire le porte della Ztl «cultural milionaria inclusiva» perché in fondo a quel mondo appartiene. Non solo per i 19.000 euro al mese di Bruxelles e per l’exception culturelle (è autore di libri dal titolo Santa rivoluzione e Milano come Lampedusa?, per lui una speranza) ma grazie all’ascensore matrimoniale. Si torna a Menaggio, buen retiro di banchieri e top manager, borgo testimone degli ozi di Spartacus nella villa con vista mondiale su Bellagio della moglie Caterina Sarfatti, figlia di Gino, che fu geniale designer e fondatore di Arteluce. E pronipote di Margherita, facoltosa amante di Benito Mussolini. Il corto circuito del Pier fra tendopoli e bowindo, fra sacco a pelo e chaise longue è nel solco della tradizione milanese della resilienza in cachemire. Non a caso il suo giornalista di riferimento (ricambiato nell’affetto) è Gad Lerner.L’assalto del rivoluzionario al caviale a palazzo Lombardia è cominciato quasi tre anni fa, quando sembrava che il virus fosse un alleato politico più affidabile del Movimento 5 Stelle. «Si devono dimettere tutti», ripeteva Majorino nei mesi più duri della pandemia mentre si clonava in Tv e organizzava manifestazioni con i sindacati e le bandiere rosse. Lo gridava contro l’ospedale in Fiera (rivelatosi indispensabile), contro la «strage silenziosa» al Pio Albergo Trivulzio (rivelatasi una bufala), contro ogni decisione di Attilio Fontana. Oggi è costretto ad ammettere che la sanità lombarda «è potenzialmente straordinaria». Allora, mentre i Carc minacciavano di morte il governatore, lui auspicava la spallata. Dopo avere costruito un’immagine di distruttore di istituzioni, dovrà convincere gli artigiani delle valli bergamasche e gli imprenditori delle pianure industriali bresciane d’essere l’uomo giusto a rappresentarle. Dalla sua per ora ha la parte politicizzata del terzo settore e lo zoccolo duro della sinistra radicale; Nicola Fratoianni gongola, cosa non proprio positiva per la regione con un pil da Land della Germania. «È simpatico come un chewing-gum fra i capelli», avrebbe potuto dirlo anche Dario Fo. L’icona della sinistra alla cotoletta nel 2016 lo incenerì definendolo (al pari di Sala) indegno di Milano. «Il più indegno forse è Majorino», disse il Nobel. «Quando mi presentai come sindaco (nel 1996 - ndr) lui mi rubava le battute. Facevo i comizi e il giorno dopo sentivo da lui gli stessi impianti, le stesse situazioni. Dicevo: recitale meglio, almeno, le battute». Dura la vita feriale dell’alternativo, mai una gioia. Per fortuna arrivano i weekend sul lago.
Eugenia Roccella (Getty Images)
Carlotta Vagnoli (Getty Images)