2023-10-18
Ma tra i nemici del nostro stile di vita ci siamo spesso pure noi
Oltre agli attentatori, a mettere a rischio il nostro stile di vita siamo noi stessi. Lo facciamo quando emarginiamo il pensiero critico e andiamo a caccia del «fascista» di turno da censurare. Sta avvenendo di nuovo in concomitanza con la crisi palestinese.Ogni volta che si manifesta un evento terroristico, si dice che i militanti assassini vogliono «attaccare il nostro stile di vita». Di conseguenza ogni attentato - l’ultimo quello commesso a Bruxelles lunedì sera - ci interroga obbligatoriamente riguardo alla natura di questo modus vivendi, e dunque all’idea di Europa e del tanto sbandierato Occidente. Ebbene, al cospetto dell’ennesima mattanza di innocenti sulle strade europee tocca forse ricordare che il «nostro stile di vita» comprende anche la (troppo spesso inutilizzata) capacità di provare compassione che conduce (i comuni cittadini, se non altro) a non uccidere passanti inermi. Soprattutto, però, il «nostro stile di vita» è a lungo stato caratterizzato dall’esercizio del pensiero critico, dall’utilizzo armonico della ragione. Nel corso della modernità, questa ragione è stata mistificata, manipolata e traviata, ma ne restano comunque robuste tracce, se non altro perché sopprimerla totalmente è molto difficile.Bisogna prendere atto del fatto che oggi, oltre ai terroristi, a mettere a rischio «il nostro stile di vita» siamo noi per primi. In che modo? Beh, prima di tutto abdicando all’utilizzo della ragione, evitando con decisione il dialogo, eliminando il pensiero (non soltanto quello critico) e contravvenendo così a molti degli imperativi morali che hanno retto l’Europa nei secoli. Alla violenza aberrante e ingiustificabile dei criminali che eliminano il primo che passa per strada o trucidano ragazzi a una festa da ballo si accompagna, purtroppo, un’altra forma di violenza. Certamente meno spaventosa e brutale, sicuramente non assassina, ma comunque ingiusta e inquietante.È la violenza che si esprime tramite la cancellazione del pensiero difforme, tramite la persecuzione surrettizia delle dissidenze, tramite l’emarginazione della differenza. In varie parti del mondo la risposta agli attacchi di Hamas e agli attentati più o meno riusciti di cui abbiamo avuto notizia nel Vecchio Continente ha previsto la censura, la discriminazione, il vilipendio.Parliamo di episodi tutto sommato minuti, per carità, e di cui spesso sono stati protagonisti personaggi che ben facilmente sono in grado di cadere in piedi. Nulla di paragonabile a quanto potrebbe accadere in una monarchia del Golfo o in un totalitarismo teocratico, ovviamente. Il punto, però, è che noi ci vogliamo superiori a questo tipo di regimi, e in molti casi lo siamo, o meglio lo siamo stati. Abbiamo voluto e vogliamo marcare una differenza con gli oppressori e gli intolleranti. Eppure ecco che da una parte si vietano le manifestazioni a favore della Palestina. Dall’altra si cancella l’invito in precedenza rivolto a una scrittrice affinché partecipasse a un importante evento pubblico. E ancora, più vicino a noi, si preme più o meno esplicitamente su un artista come Moni Ovadia perché lasci la direzione di un teatro o si infierisce su questo o quel commentatore televisivo accusandolo di intelligenza con il nemico.A ben vedere, tutto ciò non ricorda per nulla lo «stile di vita» a cui ci eravamo almeno in parte abituati e che ancora continuiamo a incensare come il più perfetto del globo. Questo decadimento perturbante non avviene soltanto in concomitanza con la crisi palestinese: è in corso da tempo, e negli ultimi anni è deflagrato, si è diffuso come un veleno infettando il dibattito pubblico a ogni livello.Non v’è dubbio alcuno: la violenza del jihadismo è notevolmente più esplicita, infinitamente più mortifera. Ma occhio: il terreno su cui talvolta ci incamminiamo è pericolosamente analogo. In fondo, ciò che i miliziani fanno è creare un Nemico Assoluto e cancellarlo fisicamente dalla faccia della Terra. Noi ci limitiamo a cancellare simbolicamente, o più spesso tentiamo di cancellare senza successo. Ma comunque ci proviamo. Anche noi costruiamo un Nemico Assoluto che, il più delle volte, viene identificato con il Fascista Metafisico, una stravagante entità che incarna il Male Totale e di cui ci si può soltanto augurare la sparizione.Proviamo a cancellare i vari «negazionisti», persino per contrastare i jihadisti abbiamo avuto bisogno di creare – e costantemente riproporre (qualcuno lo ha fatto anche in queste ore) – la categoria dell’islamofascismo. Non appena s’affaccia all’orizzonte qualcuno che non ci piace lo definiamo fascio o, nel peggiore dei casi, nazista. È capitato persino a un rapper afroamericano, uno dei musicisti più noti del pianeta che risponde al nome di Kanye West. Ha annunciato un concerto a sorpresa a Reggio Emilia, e subito l’Anpi si è scatenata chiedendo che non gli fosse consentita l’esibizione. West sarebbe appunto un destrorso facinoroso, un nazista addirittura. Lo hanno contestato i partigiani, poi pure il Comune e la stampa locale hanno cominciato a storcere il naso. Il concertone avrebbe dovuto svolgersi il 20 ottobre, ma adesso sembra che verrà rimandato al 27 per problemi organizzativi, e il tira e molla viene attribuito al rapper americano: pure chi non lo tratta da fascistone gli rimprovera l’atteggiamento da padreterno, anche se porterà in una città da 170.000 abitanti circa 100.000 persone paganti e consumanti. Roba su cui, di questi tempi, non conviene fare troppo i difficili.Così siamo diventati: vagamente intolleranti, indisponibili a osservare l’alterità, sempre in cerca di nemici da abbattere, di fascisti immaginari da castigare. Sbandieriamo superiorità e millantiamo uno «stile di vita» inimitabile. Ma talvolta ci comportiamo come l’Isis di noi stessi.