
È una madre giovane, semplice, dolce, il cui pianto non diventa piagnisteo e che insegna l'importanza della riflessione interiore.Per capire come possa parlare al cuore di così tante persone, ancora oggi, e per avvertire tutte le sfumature della devozione che suscita basta anche soltanto guardare la meravigliosa Madonna Aldobrandini di Raffaello (1510), un capolavoro magistralmente illustrato da Rosa Giorgi nel bel volume appena uscito Le Madonne di Raffaello (Terra Santa). Vediamo una ragazza molto giovane, semplice, dolce. Con i capelli raccolti e quel vestito azzurro che, da sempre collega Maria all'acqua, simbolo di rinascita, di vita e di purificazione. Abbiamo di fronte una donna, dunque, e pure molto bella. Di una bellezza particolare, che colpì lo scrittore Vasilij Grossman: «La bellezza della Madonna è legata saldamente alla vita terrena. È democratica, umana; è la bellezza di tante, tantissime persone - gialli con gli occhi a mandorla, gobbi con il naso lungo e pallido, neri con i capelli crespi e le labbra tumide. È universale». Però Maria è anche una madre, accomodata in una posa informale, che con la destra protegge il Dio bambino, con la sinistra tiene stretto il piccolo Giovanni Battista, come nella poesia di Hölderlin: «Il fanciullo divino e intorno a lui/ il figlio dell'amica, chiamato Giovanni».Entrambi i piccoli reggono in mano i segni di ciò che avverrà: Gesù ha un garofano, il fiore che nascerà dalle lacrime versate da sua madre sotto la croce, la quale invece è retta da Giovanni. Ecco un altro attributo di Maria, dopo la bellezza di ragazza e la dolcezza di madre: il pianto. Scriveva Charles Péguy ne La passione di Maria: «Da tre giorni piangeva. / Piangeva, piangeva./ Come nessuna donna ha mai pianto./ Nessuna donna». È lo stesso scrittore francese a notare che Maria non piange invano, anche se l'iconografia è piena di «madri dolorose», non abbiamo di fronte una donna facile alle lacrime. E questa è la prima grande lezione per i nostri contemporanei: in questo mondo dove il pianto è così abbondante da tramutarsi in piagnisteo, ecco una roccia che sopporta, che fronteggia il dolore prima di tutto con coraggio. Ella sa quanto ogni singola lacrima sia importante, dunque evita di versarne se non per ciò che veramente lo merita. Contemporaneamente, questo pianto di Maria è ciò che forse più di ogni altra cosa l'avvicina a noi, ciò che la rende così immediatamente comprensibile. Nel suo pianto, che è quello di ogni mamma per il suo bambino che soffre, c'è un carattere fondamentale della Madonna, il fatto di essere «la Madre che salva». Così la descrive il filosofo Salvatore Natoli in un bellissimo libro appena pubblicato da Morcelliana intitolato semplicemente Maria. Natoli non è un devoto cattolico, anzi negli anni ha elaborato una raffinata forma di «neopaganesimo», che propugna la riscoperta del pensiero greco e, in qualche modo, la ripresa di una concezione tragica della vita. Eppure egli vede nella Madonna una figura universale, capace di essere un punto di riferimento per tutti, fedeli o no che siano. La sua tesi, estremamente suggestiva, diviene ancora più rilevante se si considera la forma che la nostra civiltà sta prendendo. Ha scritto il pensatore russo Aleksandr Dugin che viviamo immersi nel «logos di Cibele», cioè in un'epoca notturna in cui a dominare sono le oscure profondità della terra. Stiamo vivendo, non da oggi, un ritorno del femminile (per rendersene conto basta osservare quanto sia diffuso il dirsi «femminista», anche fra gli uomini). Eppure si tratta di un femminile per lo più negativo, talvolta perverso, che spesso va a discapito delle stesse donne. La femmina che trionfa, di questi tempi, è una Lilith nera e aggressiva, che si impone con rabbia. Oppure è una Grande Madre avvolgente, che avviluppa i figli in una rete appiccicosa, al fine di imprigionarli e farli restare per sempre bambini. Pensiamo soltanto al carattere materno dello Stato, che ci tratta come fossimo infanti, ci rinchiude in casa come se ci inghiottisse in un ventre di balena (a questo proposito sono fondamentali le riflessioni di Laura Pigozzi nel saggio Troppa famiglia fa male, Rizzoli). Ebbene Maria è l'unico, potente antidoto a questo catramoso avvelenamento. Non soltanto per i cattolici. E non perché chiamarla a modello per i non credenti serva in qualche modo a rinverdire antichi stereotipi sulla donna che obbedisce silente. Tutt'altro. Sì, in effetti la Madonna parla poco, nei testi sacri. Eppure, come ha notato la filosofa Luce Irigaray ne Il mistero di Maria, questo silenzio è fondamentale. È l'assenza di caos che ci permette di ascoltare il dipanarsi del respiro, e il vuoto che viene riempito dalla parola. Quanto bisogno abbiamo del silenzio, in questo mondo che pare esserne terrorizzato? Maria ci insegna la riflessione interiore, l'esame profondo. La ragazza che accoglie il figlio di Dio, dunque, non è affatto chiusa in un silenzio di sottomissione, anzi è più libera che mai. La sua è una adesione partecipe al progetto di Dio. «Ella», scriveva Romano Guardini, «ha creduto, e in un tempo in cui nessuno altro ancora credeva, nel senso proprio e pieno della parola». Quando l'angelo le annuncia che sarà la madre di Dio, la ragazza giudea ha un attimo di riflessione che non è incertezza né paura. Poi reagisce, dà quella che Joseph Ratzinger definisce «la risposta essenziale di Maria: il suo semplice sì». È stato Bernardo di Chiaravalle a mettere in luce questo particolare aspetto di libertà, spiegando che Dio ha bisogno del «sì» di Maria: una risposta libera di una creatura libera. Quella della Madonna è una «libertà per», non una «libertà di». È una libertà che ha uno scopo più grande, non fine a sé stessa. È, in fondo, rivoluzionaria. Pensate alle parole del Magnificat (che infatti fu proibito da Napoleone): grazie al suo «sì», accade qualcosa che cambia il mondo: il Signore «ha rovesciato i potenti dai troni, /ha innalzato gli umili». Rivoluzione, appunto. Maria è vergine, ma prima che per dogma lo è per spirito: non è corrotta né si fa corrompere, il suo animo è di una nobiltà irraggiungibile. È libera, e coraggiosa. Crede, e rende tutto possibile. È donna, e anche madre. Soffre, ma combatte. È il femminile più luminoso, più vero, più dolce e più fulgido possibile: quello che non dobbiamo perdere.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».
Antonio Scoppetta (Ansa)
- Nell’inchiesta spunta Alberto Marchesi, dal passato turbolento e gran frequentatore di sale da gioco con toghe e carabinieri
- Ora i loro legali meditano di denunciare la Procura per possibile falso ideologico.
Lo speciale contiene due articoli
92 giorni di cella insieme con Cleo Stefanescu, nipote di uno dei personaggi tornati di moda intorno all’omicidio di Garlasco: Flavius Savu, il rumeno che avrebbe ricattato il vicerettore del santuario della Bozzola accusato di molestie.
Marchesi ha vissuto in bilico tra l’abisso e la resurrezione, tra campi agricoli e casinò, dove, tra un processo e l’altro, si recava con magistrati e carabinieri. Sostiene di essere in cura per ludopatia dal 1987, ma resta un gran frequentatore di case da gioco, a partire da quella di Campione d’Italia, dove l’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti è stato presidente fino a settembre.
Dopo i problemi con la droga si è reinventato agricoltore, ha creato un’azienda ed è diventato presidente del Consorzio forestale di Pavia, un mondo su cui vegliano i carabinieri della Forestale, quelli da cui provenivano alcuni dei militari finiti sotto inchiesta per svariati reati, come il maresciallo Antonio Scoppetta (Marchesi lo conosce da almeno vent’anni).
Mucche (iStock)
In Danimarca è obbligatorio per legge un additivo al mangime che riduce la CO2. Allevatori furiosi perché si munge di meno, la qualità cala e i capi stanno morendo.
«L’errore? Il delirio di onnipotenza per avere tutto e subito: lo dico mentre a Belém aprono la Cop30, ma gli effetti sul clima partendo dalle stalle non si bloccano per decreto». Chi parla è il professor Giuseppe Pulina, uno dei massimi scienziati sulle produzioni animali, presidente di Carni sostenibili. Il caso scoppia in Danimarca; gli allevatori sono sul piede di guerra - per dirla con la famosissima lettera di Totò e Peppino - «specie quest’anno che c’è stata la grande moria delle vacche». Come voi ben sapete, hanno aggiunto al loro governo (primo al mondo a inventarsi una tassa sui «peti» di bovini e maiali), che gli impone per legge di alimentare le vacche con un additivo, il Bovaer del colosso chimico svizzero-olandese Dsm-Firmenich (13 miliardi di fatturato 30.000 dipendenti), capace di ridurre le flatulenze animali del 40%.





