2019-02-27
Lo spray che aiuterà la lotta al male oscuro
Dopo 33 anni di stallo nelle cure contro la depressione, in arrivo la prima vera novità terapeutica dopo il Prozac. È la ketamina: un allucinogeno, che però nei test si è dimostrato potente e veloce. E c'è chi profetizza che il futuro sarà dei francobolli lisergici.C'è qualcosa di dantesco nelle voci delle anime prigioniere del nulla. Provengono da un mondo lontanissimo e il loro lamento ripete, con parole quasi uguali, la stessa irrimediabile disperazione. Daniele, 23 anni: «Mi fa schifo tutto, non amo più la vita, mi sento assente». Anonima, 40 anni: «Penso che farei meglio a non esserci, a non vivere». Giovanna, non indica l'età: «Prego il Signore di darmi la forza di uscire da questo dolore». Michele, 41 anni: «Sto male. Sono disperato. Aiutatemi, voi che leggete». Antonella, 55 anni: «Sono all'inferno».Le loro storie, raccolte sul sito dell'Associazione per la ricerca sulla depressione, sono una lettura angosciante per chiunque non abbia un cuore di pietra. Ma una sofferenza così abissale da sfiorare, a tratti, l'insensatezza, difficilmente trova vera comprensione in chi mai l'ha provata. Andrew Solomon, giornalista americano pluripremiato (finalista al Pulitzer), racconta così la sua depressione nello splendido libro Il demone di mezzogiorno: «È un dolore che prende il sopravvento su tutte le altre sensazioni fino ad annientarle. Corrode la psiche come la ruggine il ferro, fino a provocare un cedimento strutturale dell'anima».Definire questo dolore, come è stato fatto mille volte, il «malessere dei nostri tempi», finisce con il banalizzarlo: se siamo tutti un po' «depressi», in fondo, che sarà mai? Prova con il Prozac. Lo Zoloft. Il Paxil. L'Effexor. Ma che «la pillola della felicità» non esista, è ormai chiaro da tempo. Gli psicofarmaci qualcosa fanno, e quel qualcosa a volte è tanto, la differenza fra vivere e sopravvivere. Ma un inibitore del re-uptake della serotonina non funziona come un antibiotico che uccide un batterio. Modifica di sicuro la chimica del cervello. Poi, è tutta da vedere. Sta creando quindi molte aspettative una notizia degli ultimi giorni: uno spray alla ketamina che la Fda americana dovrebbe o potrebbe approvare il prossimo 4 marzo. Ventotto milligrammi di una singola dose da inalare nei casi di depressione grave resistente agli psicofarmaci. È la prima vera novità terapeutica per la depressione dopo 33 anni di stallo, ossia dall'avvento del Prozac.Ma la ketamina non è una droga? In medicina viene usata come anestetico ma, di fatto, è un allucinogeno che provoca stati psichedelici, allucinazioni ed euforia. Da tempo viene studiata proprio per la sua azione potente sul tono dell'umore. Potente e veloce. Mentre gli antidepressivi impiegano settimane, la ketamina agisce subito. Non sulla serotonina (il target principale degli antidepressivi) ma su un altro neurotrasmettitore, il glutammato. Il problema è il rischio di dipendenza patologica. E il suo effetto sul cervello, meravigliosamente immediato, scompare rapidamente.Le sue potenzialità sono però così promettenti che, dopo i test su sicurezza ed efficacia, la Janssen Pharmaceutical company ha ora presentato domanda per commercializzare il primo spray alla ketamina. E due panel indipendenti di specialisti si sono espressi a favore del via libera: i benefici, tra cui la prevenzione del suicidio, sarebbero superiori ai rischi per i pazienti che non rispondono alle cure. La ketamina, del resto, non è l'unica molecola psichedelica su cui si sta orientando la ricerca di nuovi trattamenti. Lauren Slaten, psichiatra americana soggetta a fasi di «up e down» (il disturbo bipolare) e che ha sperimentato su di sé, sotto controllo medico, trattamenti a base di sostanze psichedeliche, si dice convinta che «il futuro della psichiatria sarà in piccoli francobolli lisergici e in dosi calibrate di psilocibina (il principio attivo dei funghi allucinogeni, ndr). L'idea, naturalmente, non è quella di organizzare viaggi lisergici collettivi dove uscire di testa; bensì di mettere a punto una molecola che abbia lo stesso effetto della droga o dei funghi allucinogeni, ma prolungato nel tempo e che non dia assuefazione. E che non porti con sé gli effetti collaterali degli antidepressivi. Nel frattempo, riporta il New York Times, alcune cliniche americane offrono iniezioni in vena di ketamina antidisperazione (3.000 dollari al trattamento, che può durare giorni o settimane): i pazienti ne riportano benefici rapidi, se pur non duraturi. È presto per dire se la salvezza sarà davvero in uno spray (se tutto va bene, da noi potrebbe arrivare nel 2020). La sofferenza psichica è qualcosa di complesso e magmatico, irrisolvibile con un approccio semplicistico. «Intanto chiariamo che cosa non è. Non è tristezza o demoralizzazione. E non è una condizione omogenea» avverte Claudio Mencacci, psichiatra e presidente della Società italiana di neuropsicofarmacologia. «C'è una forma sottosoglia, una forma lieve-moderata, e una grave, in base all'intensità dei sintomi, su una scala da zero a 10. La depressione grave è 10». Anche sul perché, a un certo punto, il mal di vivere prende in ostaggio alcuni di noi, mentre altri sembrano immuni, non tutto è chiaro. Alessandra, 50 anni, lasciata dal compagno, è sprofondata in stato di apatia quasi catatonica. Tutto, nella sua vita, si è come rallentato: il modo di parlare, di camminare, di pensare. Gabriele, 45 anni, ha appena perso la moglie per un tumore ma il dolore non ha fatto deragliare i binari della sua vita. «Nella genesi della depressione intervengono fattori genetici, biologici, psicologici e sociali. La familiarità pesa per un terzo, potremmo dire, il resto è legato all'interazione fra geni e l'ambiente. Non è mai causata da un singolo evento, ma sempre interagisce con una vulnerabilità individuale» spiega Mencacci, autore fra l'altro del recente Viaggio nella depressione (Franco Angeli). Nel suo studio milanese, Mencacci osserva un aumento del 20 per cento di casi negli ultimi dieci anni. «Non solo nelle donne, la fascia più colpita, ma anche nei giovani, dove i disturbi d'ansia diventano spesso depressione».Depressione e stress, del resto, innescano gli stessi cambiamenti biochimici, inducendo l'organismo a rilasciare cortisolo. Ormone che, nel breve periodo, è bene che faccia suo lavoro, ossia aumentare la vigilanza di fronte a un pericolo percepito. Ma il suo rilascio cronico è devastante: peggiora sonno, appetito, energia, tono dell'umore, tutti i sintomi di chi è depresso. con cui cospargersi tutto il corpo.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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