2022-09-14
L’inchiesta sulle mazzette in Puglia innesca il fuggi fuggi da D’Alema
Massimo D'Alema. Nel riquadro, Roberto De Santis (Ansa)
Dopo l’arresto dell’imprenditore Roberto De Santis, considerato un fedelissimo, il deputato dem Dario Stefàno corre a smentire la vicinanza politica a Baffino. Gli indagati non si fermarono nonostante sapessero delle microspie.L’arresto di Roberto De Santis, fedelissimo di Massimo D’Alema, per fatti risalenti al 2018, a pochi giorni dalle elezioni politiche dice molto dello stato di salute del dalemismo in Italia. Una declinazione del potere che sino al secondo governo Conte non era mai uscita dall’abecedario della politica. Dalla merchant bank di Palazzo Chigi sino alla gestione emergenziale della pandemia. Per anni gli è stata attribuita una battuta che esprime meglio di un saggio la sua Weltanschauung: «Capotavola è dove mi siedo io». A Baffino per oltre 30 anni sono stati riconosciuti, soprattutto dai suoi presunti nemici, sagacia e velocità di pensiero. E lui su questa nomea ha costruito la sua rendita politica. Sino al compimento del settantatreesimo genetliaco quando, dopo la grottesca vicenda della vendita delle armi alla Colombia, si è capito quale sottobosco di scappati di casa ruotasse intorno al Nuovo Migliore. Ma adesso a certificare il crepuscolo del dalemismo non sono tanto i domiciliari a De Santis, bensì la rettifica in un italiano rivedibile del deputato Dario Stefàno che abbiamo definito (senza pensare di offenderne l’onore) «il politico a lui (D’Alema, ndr) considerato più vicino nel Pd». Invece il parlamentare si è adontato e ha vergato la scomunica che segue: «È un’affermazione priva di qualsiasi verità oggettiva e aderenza alla realtà politica che anima il Salento e la Puglia». Già questa sembra un’inequivocabile presa di distanza, ma a Stefàno non basta: «Nel mio cursus politico di quasi 18 anni non ho mai partecipato o ricevuto alcun endorsement da parte dell’ex premier D’Alema. Tanto più, sono stato espressione di una sua vicinanza nel mio impegno politico». La scelta della locuzione «tanto più» non ci permette di comprendere se Stefàno voglia farci sapere di non aver mai ricevuto sostegno da D’Alema o, al contrario, di averlo ricevuto. Comunque ci pare chiaro che ritenga un’offesa essere considerato un discepolo dell’ex premier. E questo la dice lunga sull’appannamento della stella dell’ex ministro degli Esteri. Ma ritorniamo a occuparci dell’inchiesta che ha portato ai domiciliari oltre a De Santis anche i fratelli Cariddi, Pierpaolo e Luciano, sindaco ed ex sindaco di Otranto.Neppure il ritrovamento di una microspia nell’ufficio del primo cittadino mise un freno alla presunta cricca dei villaggi vip e dei parcheggi per auto sulla costa.«Spregiudicatezza e pervicacia a delinquere», secondo gli inquirenti, emergerebbero proprio dal fatto che il ritrovamento della strumentazione per le captazioni ambientali «non ha costituito una remora per gli indagati». Mentre ha fatto scattare subito la caccia allo spione. Come si evince da questa intercettazione. Il sindaco Pierpaolo Cariddi telefona a un luogotenente dei carabinieri. Il tono è confidenziale. Il primo cittadino cerca di capire quale sia il cavo da staccare per spegnere i microfoni della Procura. Il carabiniere consiglia: «Prova quello verde». Cariddi domanda: «Provo di qua?». Alla fine i due pensano di aver risolto il problema microspia, ma la captazione continua. E il primo cittadino viene registrato mentre fa sapere di sospettare di «qualcuno dell’opposizione». Nel frattempo Roberto De Santis brigava per ottenere la concessione per il Twiga, il villaggio vip che doveva nascere sul mare e che inizialmente aveva attirato perfino Flavio Briatore (che si è sfilato dall’affare prima del terremoto giudiziario che ha portato al sequestro dell’area sulla quale doveva nascere il progetto, poi naufragato). Stando agli atti dell’inchiesta, De Santis indicava al Comune «gli step» da seguire per ottenere la revoca del divieto di balneazione ordinato dalla Capitaneria di porto, considerato lo scoglio da superare. E per questo stila una vera e propria tabella di marcia: «Noi dovremmo vedere se per metà luglio riusciamo a fare il consiglio comunale che fa l’interpretazione autentica [...] immediatamente dopo la società tramite i suoi legali che cosa fa? Fa una richiesta al pubblico ministero dicendo: essendo intervenuti questi elementi di novità [...] ti chiedo il dissequestro». Il secondo passaggio era tutto a vantaggio di De Santis: «La destinazione di zona diventa turistico ricettiva?». Il sindaco conferma: «Doppia destinazione...». L’ultima carta da giocare è una diffida alla Capitaneria. A pensarla, insieme a un ingegnere, è De Santis. «Partorivano», scrivono gli investigatori, «l’idea di una lettera da far firmare, tuttavia, al vicesindaco, per evitare l’eccessiva esposizione del primo cittadino». Poi, annotano sempre i finanzieri, dopo aver «concordato» la soluzione «in Regione», De Santis detta «letteralmente», la missiva. Peccato che l’amico di Baffino non avesse considerato che proprio in Capitaneria qualcuno stesse per mandare un dossier in Procura. Facendo saltare il banco.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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