2021-05-28
L’imprenditore prigioniero in Sudan scarcerato e poi rimesso dentro
Continua l'odissea di Marco Zennaro nel Paese africano in cui è detenuto: due giorni fa è stato liberato, per poi essere fermato nuovamente dai miliziani locali senza alcuna motivazione. La politica si mobilitaSi infittisce sempre più il caso di Marco Zennaro, l'imprenditore veneto imprigionato da due mesi in Sudan da una formazione locale di miliziani. Per qualche istante, nelle ultime 48 ore, la vicenda del nostro connazionale sembrava essere arrivata al punto di svolta positivo, rappresentato dall'ordine di scarcerazione emesso nei suoi confronti. Un atto che, secondo una fonte della Verità, sembrava testimoniare il decadimento di tutte le accuse della giustizia sudanese a carico di Zennaro. Ma il ritorno in libertà dell'uomo d'affari di Marghera è durato molto meno del previsto, dato che dopo essersi allontanato dal commissariato di Khartoum, è stato fermato dai miliziani locali che a bordo di una jeep lo hanno di nuovo portato nella struttura di sicurezza. Sul singolare episodio è intervenuto il fratello minore di Zennaro, Alvise: «Ieri pomeriggio (due giorni fa per chi legge, ndr) […] Marco aveva ottenuto una sentenza che, in accoglimento del suo ricorso, statuiva l'infondatezza dell'accusa (di frode, ndr) e disponeva - dopo oltre 56 giorni di attesa, nelle già note condizioni, contro ogni diritto umano - la sua immediata liberazione. Uscito dal commissariato veniva nuovamente fermato e ivi ricondotto senza alcuna spiegazione né esibizione di alcun provvedimento». «Le informazioni», ha aggiunto il famigliare, «sono confuse e sconnesse. Marco è costretto a passare un'altra notte all'interno del commissariato. Questa mattina (ieri per i lettori, ndr) l'avvocato non ha trovato il procuratore che avrebbe disposto la prosecuzione dell'incarcerazione di Marco e quindi ad oggi resta detenuto senza alcuna evidenza di provvedimento, denuncia, ragione, denunciante…». Oggi e domani «sono giorni festivi in Sudan per cui», ha concluso Alvise, «se ne riparlerà probabilmente non prima di domenica». Il dramma di Zennaro è iniziato lo scorso marzo, quando l'imprenditore di trasformatori elettrici si è recato nel Paese africano per concludere un accordo di fornitura dei suoi materiali con l'intermediario Ayman Gallabi: la trattativa, condotta all'interno di un albergo, dove, a quanto appreso dalla Verità, sostavano dei piantoni, è durata dal 17 marzo al primo aprile, giorno in cui il manager, dopo aver ricevuto il primo bonifico ed essersi diretto verso l'aeroporto, è stato incarcerato. Gallabi avrebbe in seguito rivenduto la merce a Sedc ltd, società nazionale dell'energia elettrica del Paese africano, dietro alla quale ci sarebbero i veri finanziatori dell'affare: il militare Abdallah Esa Yousif Ahamed, sottoposto del potente generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemeti, capo di Rsf (Rapid Support Force), compagine militare protagonista durante il golpe sudanese del 2019. A far scattare l'accusa di frode a carico di Zennaro sono state le lamentele di Gallabi, (in seguito deceduto, secondo la versione ufficiale delle autorità sudanesi, durante un'immersione subacquea nel Nilo), per la qualità dei prodotti, a suo dire non conformi durante il collaudo. Occorre inoltre precisare che le analisi nel laboratorio su caratteristiche tecniche e parametri dei dispositivi sono state effettuate da una ditta concorrente di Zennaro. Il quale nelle ultime settimane dal commissariato in cui è rinchiuso ha chiesto di poter ripetere i test a sue spese in un altro laboratorio. Ma la proposta è stata rifiutata. In questa storia il denaro è un elemento fondamentale: come dimostra il fatto che non sia ancora emersa la cifra concordata dal manager italiano e Gallabi per i trasformatori elettrici; in secondo luogo per il riscatto, di circa 700.000 euro, chiesto alla famiglia di Zennaro. Non bisogna dimenticare che una rilevante novità potrebbe arrivare nelle prossime ore dalla Procura di Roma, competente ad occuparsi dei reati in danno degli italiani all'estero. Le toghe capitoline starebbero valutando l'apertura di un fascicolo a carico di ignoti, con una specifica ipotesi di reato. Da qualche giorno anche il panorama politico si è occupato della drammatica vicenda del nostro connazionale. Sono stati i parlamentari della Lega i primi ad intervenire, con un'interrogazione (presentata lo scorso mercoledì) nei confronti del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, firmata da Massimo Bitonci e Alex Bazzaro. Quest'ultimo alla Verità ha spiegato: «Nelle ultime 24 ore è cambiato totalmente il quadro della situazione. Bisogna attivarsi per riportare a casa un cittadino italiano. Ormai non si tratta più di un rapporto di relazioni internazionali tra due governi». Eppure ieri è emerso che nei giorni scorsi il viceministro degli Esteri, Marina Sereni, ha avuto una lunga conversazione telefonica con il sottosegretario agli Esteri sudanese. All'affaire Zennaro si sta interessando, viste le comuni origini geografiche, anche il deputato dem Nicola Pellicani. Al recente attivismo politico, supportato anche da uno striscione «Marco libero!» apparso durante la finale playoff Venezia-Cittadella, è innegabile ascrivere il merito di aver parzialmente interrotto l'afasia che circondava l'incarcerazione dell'imprenditore di Marghera.