2022-04-29
L’immigrazione di «qualità» sognata dall’Ue è utopia. Il modello vincente è BoJo
Idea grillina di Bruxelles: un cervellone per incrociare domanda e offerta di lavoro. In Inghilterra, invece, il nuovo sistema a punti tiene lontani criminali e sfaccendati.Siamo alle solite: mentre sta per arrivare la bella stagione, l’Italia ha già tutte le carte in regola per essere nei guai con l’immigrazione incontrollata. Il cruscotto statistico del Viminale parla chiaro: dal 1° gennaio al 27 aprile, ci sono stati 9795 arrivi, un numero ancora superiore al dato disastroso dello scorso anno (8950) e quasi triplo rispetto ai 3365 di due anni fa. Figurarsi cosa potrà accadere da maggio a ottobre, periodo propizio per i barconi.Invano, il 25 aprile, il sindaco di Pozzallo Roberto Ammatuna aveva lanciato l’allarme per l’arrivo, in un solo giorno, di 243 migranti: «Siamo appena all’inizio della stagione e si ha purtroppo la sensazione che il governo stia sottovalutando la questione sbarchi».Il quadro è proprio questo. A parole, si dice di voler fermare l’ondata: ma se poi ci si fa travolgere dagli arrivi illegali, salta tutto. Altro che «scegliere» noi: a decidere sono gli scafisti e i trafficanti di esseri umani, a spese sia dell’Italia sia di chi – disperatamente – cerca di migliorare la propria condizione di vita.Ecco perché la prima cosa da fare sarebbe (anche a legislazione esistente, e pur dopo lo smantellamento dei decreti Salvini) dare un segnale di rigore proprio a inizio stagione, come nel Mediterraneo fanno tutti: Grecia (governo di destra), Spagna (governo di sinistra), Francia (governo tecnocratico di centrosinistra). Se invece, come fa l’Italia, si dà subito una prova di lassismo, le conseguenze sono facilmente immaginabili.Non solo: una volta che gli argini siano stati rotti, servono a poco le buone (e comunque burocratiche) intenzioni manifestate da Bruxelles. L’altro giorno, la commissaria Ue agli Affari interni, la svedese Ylva Johansson, e il suo collega greco Margaritis Schinas, vicepresidente della Commissione nonché titolare della surreale delega alla Promozione dello stile di vita europeo, hanno diffuso un documento («Legal migration: attracting skills and talent to the Eu») tutto centrato sulla necessità di gestire l’immigrazione economica legale (quindi né i profughi né i migranti illegali), e di incrociare le necessità del mercato del lavoro Ue con le capacità di chi aspira ad arrivare qui. In particolare, il fiore all’occhiello dell’operazione, secondo Bruxelles, sarebbe il lancio di una specie di piattaforma europea che dovrebbe consentire ai datori di lavoro di cercare il personale di cui hanno bisogno, e contemporaneamente a chi vuole arrivare da fuori l’Ue di trovare opportunità. Contestualmente, proseguirebbe l’opera di armonizzazione delle norme che – Paese per Paese – regolano l’ingresso e la residenza per le persone extra Ue. I singoli Paesi europei restano invece ovviamente liberi di stabilire ciascuno la quantità di immigrati legali che intendono assorbire.Ora, al di là dell’ennesima griglia burocratica che appare destinata a non funzionare (dovessimo fare un esempio italiano, verrebbe da pensare ai famigerati centri per l’impiego alla grillina, che infatti non hanno creato un solo posto di lavoro), a Bruxelles fingono di non vedere l’elefante nella stanza: a che serve parlare di gestione dell’immigrazione legale e regolare se contemporaneamente il lato Sud dell’Ue è travolto dall’immigrazione clandestina e illegale? Da questo punto vista, a Bruxelles e nelle singole capitali Ue farebbero bene a considerare l’esempio britannico. La scorsa settimana, qui sulla Verità, ci siamo occupati delle misure più rigorose adottate in Uk contro l’immigrazione irregolare. Ma altrettanto meritevoli di studio sono le misure volte a «scegliere» l’immigrazione regolare e legale. Londra adotta infatti il cosiddetto sistema «a punti». Per entrare, il candidato deve totalizzare 70 punti: sapere la lingua (10), avere un’offerta di lavoro (20), una specializzazione (20), un salario di un certo livello (20). Naturalmente il sistema non è ottusamente rigido, ma ha dei margini di flessibilità: ad esempio, lo stipendio può essere più basso in settori dove serva più personale.Ma ciò che conta, al di là dei dettagli, sono gli obiettivi: far arrivare in Uk i migliori, tenere i numeri bassi, alzare il profilo di chi giunge. E soprattutto evitare che i lavoratori stranieri a basso costo deprimano il livello dei salari. In sostanza, con questa scelta, si soddisfa sia un’esigenza meritocratica (attrazione dei migliori e numeri contenuti) sia un’esigenza sociale (tutelare la working class britannica).Risultato? Lo ha raccontato il Telegraph qualche giorno fa: alla fine potrebbero esserci perfino più arrivi rispetto al periodo pre Brexit. E non sono pochi quelli che chiedono una revisione ulteriormente selettiva e ancora più rigorosa del sistema a punti. Com’è naturale, l’opinione pubblica è divisa: c’è chi ritiene che la situazione presente offra un buon bilanciamento e valorizzi il potenziale economico dell’immigrazione regolare, e c’è chi invece teme che la selezione non sia ancora adeguata. La si può pensare in un modo o nell’altro, ma una cosa è certa, come spiega Madeleine Sumption, direttrice dell’Osservatorio sull’immigrazione dell’Università di Oxford, che dice che sarebbe «sorpresa» se le cifre dell’immigrazione risultassero superiori al 2016, ma aggiunge di essere ragionevolmente certa che verrà fuori «una restrizione verso i gruppi che il governo considera non desiderabili e una significativa liberalizzazione per i gruppi che il governo considera desiderabili». Non scelgono gli scafisti, appunto: ma il governo e il mercato del lavoro.
(Ansa)
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Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, Alfredo Mantovano (Ansa)