2024-06-14
Oro all’ovvio: niente Olimpiadi all’atleta trans
Lia Thomas (Getty Images)
La nuotatrice (nata uomo) Lia Thomas ha perso la causa legale e non potrà essere a Parigi. Finora aveva stracciato le avversarie per via della muscolatura virile. La sentenza è una sconfitta per tutti: Cio e federazioni, femministe e giornalismo in salsa woke.Sventola la banderuola delle Olimpiadi. Calato il vento woke, in bonaccia (o dedicata ad altro) l’aggressività Lgbtq+, anche i parrucconi del Cio hanno deciso di uscire dalla comfort zone e di prendere atto di ciò che era del tutto evidente: un atleta transgender non può partecipare a competizioni femminili perché biologicamente maschio. Lo dice il buon senso, ma negli anni bui del delirio «non binario» nessuno osava vedere il re nudo e anzi lo premiava, mentre sul podio accanto a lui piangevano di rabbia ragazze ingiustamente sconfitte dagli ormoni altrui.La decisione arriva alla vigilia dei Giochi di Parigi (al via il 26 luglio) e fa rumore: la pseudo-nuotatrice Lia Thomas ha perso la causa legale contro World aquatics (la federazione internazionale di nuoto) presso il Tribunale arbitrale dello sport e non potrà prendere parte alle Olimpiadi. È stata tecnicamente esclusa perché «chiunque abbia attraversato nel corso della vita qualsiasi momento della pubertà maschile non può in alcun caso gareggiare nella categoria femminile». Traduzione: chi ha effettuato una transizione di genere dopo i 12 anni. In realtà Thomas è stata espulsa per evitare al Cio un problema insormontabile in mondovisione durante i Giochi, con un atleta in possesso di muscolatura palesemente maschile che fa messe di medaglie a spese delle concorrenti femmine, coprendo di ridicolo la credibilità stessa della Carta olimpica.Per essere chiari, in questa faccenda hanno perso tutti. Ha perso Lia Thomas che, dopo avere cambiato sesso, ci aveva preso gusto a vincere facile e non provava alcuna vergogna per il trucco (ha lucrato titoli universitari, statali e nazionali americani). Ma ha perso soprattutto lo sport mondiale. Hanno perso il Cio, la Federazione nuoto americana, enti di garanzia che per tre anni hanno messo la testa sotto la sabbia, agevolando con la loro inettitudine lo svilupparsi di un’ingiustizia sportiva così palese da essere irritante, nel nome delle tendenze woke. Hanno perso le associazioni femministe, oggi in grado di difendere ogni battaglia lunare tranne che le donne alla ricerca di pari opportunità reali.Buon ultimo, ha perso il giornalismo (pure di casa nostra), leone da scendiletto nei confronti di una follia modaiola cavalcata - il silenzio assenso è sempre squallido - perfino dai quotidiani sportivi. Da notai dell’esistenza, nelle redazioni cool si prendeva atto. E giornalisti in grado di trasformarsi in 24 ore in economisti bocconiani per tuonare contro bilanci delle squadre di calcio e straparlare di «vendor loan», hanno ritenuto che non fosse il caso di prendere posizione mentre un atleta maschio, che si percepisce femmina, straccia i record femminili.L’iter giudiziario era cominciato nel 2022, quando il netto trionfo della Thomas contro Emma Weyant (già medaglia d’argento olimpica) nei 200 stile libero ai campionati universitari americani aveva messo in allarme l’intero movimento. Con il rischio di una clamorosa ribellione delle nuotatrici durante le competizioni successive. Dopo quel trionfo, la federazione aveva scoperto - bontà sua - che le donne transgender hanno vantaggi fisici notevoli per potenza, resistenza, velocità (praticamente tutto) nei confronti delle colleghe donne. E aveva escluso la scomoda Lia dalle qualificazioni ai Giochi. Nel tentativo di aggrapparsi alla nuova, comoda situazione, Thomas aveva fatto ricorso sostenendo che le regole introdotte dalla federazione internazionale fossero «non valide e illegali» perché violerebbero la Costituzione mondiale degli sport acquatici. Ma il verdetto del Tribunale arbitrale sportivo (Tas) le ha dato torto escludendola dai cinque cerchi parigini.È curioso notare un dettaglio. Poiché negli Stati Uniti la lobby trans è potentissima (e vanta rappresentanti nel Congresso), il tribunale sportivo si è limitato a creare un perimetro sanitario attorno al caso specifico ma si è ben guardato di sollecitare il Cio a emanare nuove regole che valgano per tutti. La marmotta ha fatto capolino dalla tana ma non ha ancora avuto il coraggio di manifestarsi per intero. Al termine della querelle, la Federazione internazionale nuoto ha emesso un comunicato che somiglia a un sospiro di sollievo. «È un grande passo avanti nei nostri sforzi di proteggere lo sport femminile. Ci si impegna a creare un ambiente che promuova l’equità, il rispetto e le pari opportunità per gli atleti di tutti i sessi e riaffermiamo questo impegno. Le nostre politiche vengono continuamente valutate per garantire che siano in linea con questi valori fondamentali».Se avesse vinto il braccio di ferro legale, Thomas avrebbe tentato di raggiungere i tempi minimi per partecipare ai Giochi e presumibilmente ci sarebbe riuscita senza problemi, lasciando a casa atlete già qualificate. Con la conseguenza di presentarsi a Parigi da favorita in ogni prova e costringere le rivali di tutto il mondo a creare uno scandalo planetario davanti a Emmanuel Macron, già impegnato con ben altri cubi di Rubik. Per questo la sentenza fa garrire le banderuole del Cio.
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)