2018-10-30
Roba da matti: per i comitati No Tap
il metano minaccia la democrazia
Strana protesta ambientalista contro metano e gasdotto, cioè il meno inquinante fra tutti i combustibili fossili e un tubo del diametro di 90 centimetri a dieci metri di profondità. Opera ora sostenuta anche dai grillini di governo ma avversata dai soliti comitati per il No.Abbiamo avuto politici che avevano promesso di lasciare la politica se avessero perso il referendum e non avendolo fatto non sono per questo stati messi in croce. Abbiamo sentito presidenti del Consiglio promettere di andare in processione se non avessero liquidato in pochi mesi i debiti che la pubblica amministrazione ha nei confronti delle imprese private e, ovviamente, nonostante ciò non sia accaduto, sono rimasti tranquillamente al loro posto, senza che nessuno li contestasse. Però gli unici politici cui ricordare le promesse mancate, accusandoli di essere dei voltagabbana e richiedendone le dimissioni, sono loro, i 5 stelle. Premessa: non ho molta simpatia per Luigi Di Maio e compagni, ma ancor meno ne ho verso i vari comitati che vorrebbero far chiudere aziende come l'Ilva, far scappare gli investitori stranieri come successe tempo fa in Puglia con un rigassificatore, impedire il passaggio di un gasdotto, cioè di un tubo del diametro di 90 centimetri a dieci metri di profondità.Ovviamente sto parlando del Tap, un'opera che dovrebbe assicurarci forniture sicure di metano nei prossimi anni e che dalle parti di Lecce è osteggiato manco fosse una centrale atomica. I grillini in passato avevano cavalcato la protesta, ma adesso che stanno al governo si sono resi conto di aver fatto una stupidaggine e dunque hanno dato semaforo verde agli scavi. Apriti o cielo. I comitati di zona - quasi tutti capitanati dall'estrema sinistra - li vogliono bruciare e gran parte della stampa, pur accusando i pentastellati di voler bloccare il Paese, partecipa volentieri al rogo, rimproverando alla compagine ministeriale grillina la sorprendente giravolta.Ora, noi siamo stati spesso critici con Di Maio e suoi seguaci, in particolare sul reddito di cittadinanza, la chiusura domenicale dei supermercati e pure sul decreto dignità. Però questa volta dobbiamo riconoscere che ne hanno fatta una giusta e c'è poco da rimproverargli. Che cosa c'è di tanto folle nel voler completare un'opera che ha già attraversato diversi Paesi ed è già stata realizzata per centinaia di chilometri? Quale disastro ambientale si provoca a interrare un tubo sul fondale per poi farlo riemergere a otto chilometri dalla costa? I contestatori replicano parlando di «violenta ferita al territorio», ma in realtà chi promuove la protesta senza nascondersi dietro un dito dice che il Tap non lo vogliono «né lì né altrove». Perché, come ha spiegato uno dei portavoce del comitato, tal Gianluca Maggiore, «la lotta al Tap è una lotta a un sistema che genera e massimizza il profitto per chi costruisce e gestisce le risorse alienate». Per chiarire il suo pensiero, a dire il vero un po' oscuro, il suddetto portavoce in un'intervista ha aggiunto che «l'energia deve essere democratica e il Tap non lo è». Che cosa debba fare l'energia per essere democratica non è chiaro. Forse farsi eleggere oppure non farsi pagare. Sta di fatto che, dopo aver stabilito che anche l'energia debba essere democratica, Maggiore ha tenuto a spiegare quanto a proposito del Tap «sia fuorviante parlare di lotte ambientali. Si tratta invece di emergenze sociali che hanno nella coda la parte ambientale». Tradotto, chissenefrega dell'ambiente. La questione non sono i 200 ulivi che sono stati sradicati e ripiantati un po' più in là e nemmeno la posidonia e i coralli che verrebbero danneggiati. Non sono neppure quei 3.500 metri quadrati su cui sarà costruito il terminale di ricezione, una struttura che in un anno rilascerà emissioni come un centinaio di caldaiette domestiche. No, il problema è che il gas viene reso liquido e, come spiega il rappresentante no Tap, diventa «speculativo quanto il petrolio». Insomma, c'è la speculazione dietro all'opera osteggiata. I grandi interessi del capitale, le multinazionali straniere, il gigantesco complotto della finanza internazionale. Eh, sì. Non è una questione di metano che ci serve per riscaldare casa, cucinare e così via. Si tratta di qualche cosa di assai più losco, che minaccia la democrazia. La spiaggia, il fondale, le pajare, i muretti? Tutti argomenti secondari perché, come spiega Maggiore, il loro vero intento è che le energie, anche quelle «rinnovabili, siano democratiche e distribuite». Ah. E nel frattempo come ci si scalda? Questo non pare un problema che interessi il portavoce del comitato No Tap, il quale ribadisce deciso: «No al furto di risorse, né qui né altrove».E a noi quasi quasi viene voglia di tifare per Di Maio.
Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)
(Ansa)
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Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, Alfredo Mantovano (Ansa)