2021-12-08
Le figuracce di Letta capro espiatorio dell’operazione Conte e i mal di pancia Pd
Giuseppe Conte e Enrico Letta (Ansa)
Il segretario non ne azzecca una. Gli errori più recenti: cedere al trio Bettini-Zingareti-Franceschini e fare irritare Sergio Mattarella«Roma Nord è come il Vietnam» anche per Enrico Letta. L’iperbole dell’attore, regista e figlio d’arte Pietro Castellitto diventa improvvisamente realtà per il segretario del Pd, che avverte «l’odore del napalm a colazione» aprendo i giornali. Nessuno gli perdona il pasticcio sul seggio vacante lasciato libero da Roberto Gualtieri, offerto come un tributo biblico a Giuseppe Conte e da quest’ultimo rifiutato. Il frontale con la realtà ha conseguenze imbarazzanti: Matteo Renzi vede fallire «il campo largo» e se la ride, Beppe Grillo ha la conferma della subalternità psicologica del Nazareno nei suoi confronti. E Carlo Calenda passeggia sulle rovine dell’accordo: «Prima di fare un’altra figuraccia, sentiamoci». Il leader di Azione ha un ego che soffre di solitudine, è normale che dopo il pasticcio affondi il coltello fra le scapole del presunto amico. «È da tre settimane che Letta ci prende in giro, dicendo che avremmo parlato. Questo modo di procedere dimostra che non c’è nessun Ulivo 2.0 ma solo un Conte 2 riveduto e corretto. I dem sono rimasti lì». Li rappresenta come vedove inconsolabili e descrive il loro leader come un pasticcione nato. In realtà Letta ha perso due volte: la prima per avere regalato a Conte un seggio senatoriale senza averne piena disponibilità, la seconda perché non ha neppure deciso lui. triumviri al comando Condizionato dal suo chiodo fisso, il segretario avrebbe voluto candidare una donna: la presidente Cecilia D’Elia o l’ex segretaria della Cisl, Annamaria Furlan. Al solo sentire i due nomi, la triade che a Roma governa voti e alleanze ha scosso la testa: Dario Franceschini, Goffredo Bettini e Nicola Zingaretti hanno lanciato Conte, nella speranza di cementare il rapporto con i grillini in vista della battaglia per il Quirinale, consapevoli che l’avvocato del popolo avrebbe controllato meglio dall’interno l’armata Brancaleone. Cornuto e mazziato, Letta non solo si è intestato il no contiano diventando il bersaglio della furia centrista, ma ora deve inghiottire anche il candidato alternativo: è l’ex Margherita Enrico Gasbarra, già presidente della Provincia e sopravvissuto rutelliano dopo l’eclissi di Francesco Rutelli. Lo vuole l’altro proconsole del pd romano, Claudio Mancini, lo stesso che aveva imposto Gualtieri a Letta, provocandogli il primo mal di pancia al rientro da Parigi.Sono le regole del potere, alle quali i dem sono soggetti più che alla sacralità della mamma. Regole che hanno portato alla recente rissa verbale fra Bettini e il sindaco per le nomine. Il segretario porta la croce e canta, passando da una gaffe a un ponce alla livornese con la disinvoltura di Mister Bean. Stesso copione sulla corsa al Colle e sul goffo tentativo di costringere Sergio Mattarella ai tempi supplementari sino a fine legislatura. Letta si è trovato a dover sostenere il progetto di legge costituzionale per abolire il secondo mandato presidenziale firmato dai tre piddini Dario Parrini, Luigi Zanda e Gianclaudio Bressa. Con la clausola bizantina: finché non viene approvata, il capo dello Stato resta lui. il rebus quirinaleIl gioco delle tre carte ha irritato il Quirinale - costretto a far sapere che mai avrebbe avallato un simile pasticcio -, e ha spiazzato il Nazareno, dove qualcuno scherza: «Se ancora insistono gli manda i corazzieri a citofonare a casa e li fa arrestare. Ormai il presidente è entrato in modalità Cossiga». Il Pd non ha un candidato suo per il Colle, anzi ne ha troppi. Sgomita Paolo Gentiloni, si fa sentire Romano Prodi, rumoreggia Walter Veltroni, tace in modo sospetto Franceschini detto malignamente «Giudario» per la sua capacità di materializzarsi alle spalle all’ultimo momento. Tutto ciò è un mal di testa permanente per Letta, che non può puntare neppure su Marta Cartabia come gli altri centristi radical perché considerata troppo garantista dall’ala rossa; sarebbe causa di uno strappo con i grillini orfani di Alfonso Torquemada Bonafede. Roma sarà anche diventata un Vietnam, ma l’alleanza con i pentastellati deve andare avanti, costi quel che costi. Conte e i suoi lo hanno capito benissimo e alzano la posta anche nei territori dove si vota nel 2022: a Lodi, pur con il 2%, hanno chiesto di mettere il loro simbolo dentro la coalizione e hanno fatto sapere che non accetteranno «un candidato imposto». sciopero e caos vacciniQuello che nuota come un pesce pilota dietro la balena Draghi è un Pd debole, con un segretario che naviga a vista. Anche lo sciopero generale (16 dicembre) di Cgil e Uil dimostra incapacità di manovra. La situazione è sfuggita di mano al ministro del Lavoro, Andrea Orlando, considerato un big del Nazareno. Ora lui ripete a nastro: «Sono sorpreso, credo ci sia spazio per un dialogo», ma a nessuno sfugge che la pace sindacale è affar suo. Nel frattempo qualcosa scricchiola perfino nelle redazioni dove vige la pax piddina: il caos vaccinale per la terza dose a Roma, con attese di ore e la gente rimandata a casa con il megafono (roba che in Lombardia avrebbe ottenuto edizioni straordinarie) non è stata coperta dal consueto servile silenzio. Qualcuno ne parla e pubblica video. Il governatore Zingaretti non è più il numero uno del partito, si può fare. Letta deglutisce e ordina un altro ponce.