2019-07-23
Le false accuse di molestie dello psicologo contro l'ex collega innocente
Assolta l'operatrice di una comunità di Asti che secondo Hansel e Gretel aveva abusato di una minore. Il racconto: «Pensavamo fossimo tutte lesbiche. Vedeva violenze ovunque».Jacopo Marzetti: «Servono tutori volontari privati che vigilino sul sistema degli affidi».Il Garante dell'infanzia del Lazio e commissario del Forteto sarà nella squadra speciale promessa da Alfonso Bonafede: «Oggi controllato e controllore coincidono. A volte i servizi sociali non applicano le sentenze». Lo speciale comprende due articoli.Il racconto di Elisa stritola le budella. Benché siano passati anni dai fatti, dalle parole della ragazza il dolore scaturisce pungente, come se parlando rivivesse ogni secondo passato in comunità. La storia di questa ragazza è apparsa di soppiatto, ai primi di luglio, sulle pagine dell'edizione torinese di Repubblica, a firma di Sarah Martinenghi. Un articolo carico di dettagli urticanti, e forse per questo uscito soltanto nella cronaca locale. Elisa, da giovanissima («Avevo tra i 13 e i 14 anni», racconta, «ma c'erano ragazzine anche più piccole»), ha vissuto in una comunità ad Asti gestita da un coop di cui Claudio Foti era direttore scientifico. Lui e Nadia Bolognini «si occupavano di fare psicoterapia alle bambine e alle ragazze vittime di abusi e maltrattamenti».L'articolo di Repubblica non lo dice, ma la comunità in questione è Il nido di Zorba, nel quartiere San Quirico di Asti. Fino al 2012, Foti ne è stato direttore scientifico. Sulla brochure promozionale compariva in bella vista il logo del centro Hansel e Gretel. Poco sotto, nel volantino, c'era una entusiastica descrizione del servizio: «La comunità si propone di essere un luogo di accoglienza del minore», si legge, «in grado non solo di porlo al riparo da comportamenti deprivanti e/o maltrattanti e da condizioni di vita inadeguate e pregiudizievoli, ma anche di rappresentare una zona di transizione in cui il minore possa ritrovare un equilibrio psicologico e affettivo preparando le condizioni per un rientro nella famiglia di provenienza, laddove possibile, o in altro ambito familiare idoneo ad accoglierlo e ottimale per la sua crescita psico fisica». Nello stesso documento si spiega pure che la comunità si occupa di «offrire ai piccoli ospiti l'opportunità di un'elaborazione psicoterapeutica del passato traumatico da cui provengono».Stando ai ricordi di Elisa, tuttavia, nella comunità le cose andavano un po' diversamente. La ragazza racconta particolari raccapriccianti. «Lì dentro non si parlava d'altro, ogni gesto doveva essere legato a un abuso o avere una connotazione sessuale. E se non avevi una storia triste da raccontare non venivi considerata: se non eri sofferente valevi meno. Lui metteva una pressione allucinante». Elisa sembra parlare con cognizione di causa: «Ne ho viste diverse di comunità, ma nessuna era come quella che era coordinata da Foti. Ogni nostra parola o comportamento per loro era legata a una violenza subita. Per loro eravamo tutte omosessuali, al punto che avevano tolto le porte alle camere ed eravamo controllate a vista. Ci dicevano che non eravamo sane, che eravamo patologiche, e avevano comportamenti strani. Io non ero lesbica, avevo anche un fidanzatino, ma non potevo abbracciare un'amica perché per loro significava per forza altro e a un certo punto mi avevano messo persino a dormire in una soffitta».La storia che snocciola sembra incredibile, ma in effetti è simile a quelle di altre persone che hanno vissuto in condizioni simili. «Ogni settimana c'era un gruppo, ci dovevamo sedere in cerchio. Foti pressava parecchio per capire le violenze subite» e «se una diceva che non aveva piacere di parlarne ti accusava di essere uguale alla persona che ti aveva violentata». Pressioni forti, fortissime. Tanto che qualcuna delle ospiti, ogni tanto, reagiva in modo strano. «Avevo un'amica», ricostruisce Elisa, «che non aveva alcun ricordo di abusi subiti. Dopo due mesi di psicoterapia un giorno arrivò in lacrime sostenendo che improvvisamente, in quella seduta, li aveva ricordati». Ovvio: può darsi che Elisa nutra qualche risentimento verso lo psicologo che l'ha seguita in comunità. Il suo racconto potrebbe sembrare a qualcuno poco credibile, magari viziato dal rancore (ma le vittime non hanno sempre ragione, come sostengono certi terapeuti?). Nitidi e chiari, però, sono i fatti. E i fatti riguardanti Il nido di Zorba ci fanno precipitare nel pozzo di una orribile vicenda di abusi inventati e di vite sbriciolate. A prendersi cura di ragazzine come Elisa, in quella comunità, c'erano vari professionisti. Veneria, che oggi ha 54 anni, era un'educatrice tra le più stimate. Nel 2012, Claudio Foti si dimise da direttore scientifico del Nido di Zorba. Pare ci fossero profonde divergenze con i responsabili della struttura. La separazione non fu indolore, e Veneria risultò tra le vittime collaterali. L'educatrice fu accusata di aver maltrattato e molestato alcune ragazzine. Una sua collega, invece, fu rinviata a giudizio perché avrebbe consentito ad alcune minori di guardare siti porno sul pc della comunità.Foti e la sua compagna, Nadia Bolognini, furono tra i grandi accusatori di Veneria, come ha raccontato Antonio Rossitto su Panorama. A parlare di abusi fu una ragazzina problematica, che probabilmente era entrata in conflitto con Veneria. Secondo i due terapisti del centro Hansel e Gretel le parole della giovane erano credibili, e andavano prese sul serio. Durante una seduta con la Bolognini, la ragazza raccontò di essere stata assalita sessualmente dall'educatrice, che le avrebbe bloccato i polsi per palpeggiarla meglio. La violenza sarebbe stata interrotta solo dal brusco ingresso di un'altra addetta della comunità. Sulla base della testimonianza di una seconda adolescente, poi, come ricostruisce un articolo della Stampa di qualche anno fa, l'educatrice fu accusata di «avere approfittato della sua autorità per limitare la capacità di autodeterminazione e di scelta consapevole della ragazza». L'avvocato Aldo Mirate, difensore di Veneria, racconta alla Verità che la sua cliente «all'improvviso venne accusata dalle ragazze di aver compiuto violenze sessuali, quelli che una volta si chiamavano atti di libidine».Fu così che si aprirono le porte dell'inferno. Per una educatrice l'accusa di molestie è un marchio di infamia impossibile da grattare via, non ci si riesce nemmeno se ci si scortica la pelle. Veneria fu licenziata dalla comunità e rischiò di perdere l'abilitazione. Ovviamente, trovare lavoro nello stesso ambiente era impossibile. Da professionista stimata qual era fu trattata come una criminale, fu emarginata e costretta a trovarsi un altro impiego. Finì a lavorare in un'impresa di pulizie, in attesa che i giudici decidessero del suo destino.«Fu una vicenda rovinosa», commenta oggi l'avvocato Mirate. «Per anni non riuscì più a reinserisi nella sua attività». Le accuse le piovvero addosso nel 2012. La sentenza arrivò soltanto cinque anni dopo: assoluzione perché «il fatto non sussiste». Veneria non aveva molestato nessuno. Una sua collega testimoniò a suo favore. «Quello fu forse il momento decisivo», ricorda Mirate. «Quella collega, anche autorevole, disse delle cose che scossero il tribunale, disse che era una operatrice di una grande serietà professionale. Veneria scoppiò a piangere e credo che il tribunale ebbe la sensazione che fosse stata commessa contro di lei una grande ingiustizia».Davanti al perito del gip, inoltre, una ragazza accusatrice non confermò la storia delle molestie. Non esisteva «il minimo riscontro probatorio». Secondo Foti e la Bolognini, però, le giovani che indicavano in Veneria la loro molestatrice meritavano fiducia totale. E tanto bastò per scatenare il putiferio. «Con gli operatori di Hansel e Gretel», dice l'avvocato Mirate, «c'era allora un rapporto di fiducia abbastanza stretto da parte della magistratura piemontese o per lo meno di buona parte di essa. Ma i metodi che usavano mi avevano sempre lasciato perplesso. C'era una superficialità nel valutare queste cose...». Nella vicenda del Nido di Zorba si incrociano due dolori differenti. Da un lato quello di Elisa, ragazza in difficoltà che si trova giovanissima a subire pressioni e sospetti, immersa in un ambiente in cui parlare di abusi sembra un'ossessione. Poi c'è il dolore di Veneria, la cui carriera viene distrutta da accuse false e infamanti, e di nuovo ecco fare capolino la stessa ossessione: abusi, abusi ovunque. Ad Asti come a Bibbiano, a Rignano Flaminio come a Mirandola e Biella. Abusi (falsi) e vite spezzate.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/le-false-accuse-di-molestie-dello-psicologo-contro-lex-collega-innocente-2639305051.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="servono-tutori-volontari-privati-che-vigilino-sul-sistema-degli-affidi" data-post-id="2639305051" data-published-at="1760154433" data-use-pagination="False"> «Servono tutori volontari privati che vigilino sul sistema degli affidi» Sui casi di presunti affidi illeciti della Val d'Enza, il governo ha deciso di fare molto sul serio. Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha annunciato domenica la costituzione di una «squadra speciale di giustizia per la protezione dei bambini», affinché «il sistema giustizia possa avere il monitoraggio costante e serratissimo di tutto il percorso dei bambini affidati». Per poi promettere il pugno duro: «Tutti gli operatori dovranno sentire il fiato sul collo». Secondo il ministro, «il primo passo sarà una banca dati omogenea che attualmente manca. La commissione si confronterà con gli altri ministeri competenti e con la commissione parlamentare che verrà istituita». «Tra gli esperti che faranno parte della squadra speciale», ha aggiunto Bonafede, «ci sarà anche Jacopo Marzetti, commissario straordinario del Forteto, una realtà che sta finalmente rinascendo». Jacopo Marzetti, avvocato, è il Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Lazio. E si sta occupando del Forteto, ovvero di un caso che con la storia di Bibbiano ha molte analogie. Quando lo sentiamo al telefono, Marzetti non ha ancora tutti i dettagli sul lavoro della squadra speciale ministeriale. Gli saranno comunicati a breve, di modo che possa mettersi subito al lavoro assieme ai suoi colleghi. Tuttavia il fatto che sia stato fatto proprio il suo nome dice molto dell'atteggiamento che il governo intende tenere. «Mi hanno scelto perché, come Garante per l'infanzia della Regione Lazio conosco molto bene la materia», dice alla Verità. Che cosa ha a che fare questa chiamata con il suo lavoro al Forteto? «C'è una correlazione fra le due situazioni. In entrambi i casi parliamo di problemi simili, che hanno a che fare con il sistema dell'affido e dei servizi sociali». E come si deve intervenire secondo lei sul sistema dell'affido e dei servizi sociali? «Sicuramente è necessario un sistema con più controlli. E poi l'affido deve sempre essere l'extrema ratio, anzi di più. Deve essere utilizzato soltanto nei casi in cui non si può davvero fare altrimenti. A questo proposito credo che sia molto importante la figura del tutore volontario». Ovvero? «Si tratta di una figura introdotta con la legge 47 del 2017. Ora viene nominato solamente per i minori stranieri non accompagnati, ma noi nel Lazio ci serviamo di questa figura anche per i minori italiani». Che contributo può dare questa figura? «Essendo un privato cittadino, può prendersi cura del minore e segnalare eventuali dubbi sulle sue condizioni». Quindi secondo lei il tutore volontario dovrebbe entrare a sistema anche per i minori italiani? «Oggi i minorenni hanno un tutore pubblico, può essere il sindaco o possono essere i servizi sociali. Essendo queste figure pubbliche, appunto, significa che il controllato e il controllore sono lo stesso soggetto». Le istituzioni pubbliche che gestiscono i minori sono le stesse che devono verificare se sia tutto a posto. «Questo non va bene. Ecco perché potrebbe essere importante introdurre un privato cittadino che segnali all'autorità eventuali problemi e che contribuisca a una migliore integrazione del minore dato in affido. In ogni caso, lo strumento dell'affido deve essere utilizzato il meno possibile, comunque meno di quanto lo si utilizzi oggi». Torniamo un attimo al Forteto. Secondo lei, a livello politico, che legami ci sono tra quella vicenda e quella di Bibbiano? «Guardi, quello che posso dire è che in entrambi i casi se le istituzioni fanno sentire la propria presenza non ci possono che essere buoni risultati. L'intervento delle istituzioni è quello che permette di eliminare le negatività e fa sì che le persone che hanno certi interessi si allontanino dal sistema». Il ministro Bonafede ha parlato della costituzione di una banca dati sui minori. Di che si tratta? «Prima di tutto serve una mappatura dei centri e delle varie case famiglia presenti sul territorio nazionale. Noi nel Lazio l'abbiamo già fatta, ma serve che sia fatta ovunque. E vale anche per le carceri in cui si trovano minori». Non crede che serva anche un maggiore controllo sui soldi che vengono spesi per la gestione dei minori? «Esistono già, per le case famiglia, delle rette definite da Regioni e Comuni. Però, certo, serve una maggiore vigilanza. Nel Lazio ogni due settimane facciamo controlli a sorpresa nelle varie strutture per verificare come lavorino e come si trovino i ragazzi». Forse serve anche un intervento sui tribunali dei minori, no? «Vanno definite bene le competenze fra tribunale dei minori e tribunale ordinario, e fra Procura minorile e ordinaria. Vanno stabiliti protocolli operativi per evitare che ci siano lungaggini e perdite di tempo che vanno a danneggiare i minori. Ricordo che l'Italia è stata già condannata dall'Ue perché i servizi sociali non applicavano le sentenze dei tribunali. Magari un giudice decideva che quella determinata persona dovesse vedere il minore tre volte al mese, ma i servizi sociali non applicavano la decisione, o perché non avevano abbastanza personale oppure perché c'erano problemi di comunicazione. Tutto questo va evitato». Riguardo al Forteto si è parlato di una commissione di inchiesta, che però non è ancora partita. «Aspettiamo la nomina della commissione, speriamo che arrivi quanto prima. Credo che per velocizzare il processo si potrebbe accorpare la commissione sul Forteto a quella nazionale che si occupa di affidi e di case famiglia. Non dico che lo faranno, è un mio auspicio».
«Roast in peace» (Amazon Prime Video)
Dal 9 ottobre Michela Giraud porta in scena un esperimento di satira collettiva: un gioco di parole, sarcasmo e leggerezza che rinnova la tradizione del roast con uno stile tutto italiano.