2020-02-13
L’armata giallorossa pugnala Salvini ma non si fa vedere
Il Senato manda alla sbarra l'ex ministro sulla Gregoretti. Vuoti i banchi del governo, la Lega abbandona l'Aula prima del voto.«Cancellare Salvini». Era la feroce parola d'ordine della democrazia dei buoni e dei giusti annunciata con il punto esclamativo su Repubblica. E il Senato puntualmente esegue con la diligenza impiegatizia che i funzionari sovietici riservavano ai dissidenti (verdetto finale: 76 favorevoli, 152 contrari, nessun astenuto); dev'essere stato gratificante per gli uomini e le donne del Pd, del M5s, di Leu e di Italia viva far rivivere nel 2020 dentro una casa delle istituzioni i fantasmi dei loro cupi eroi con il pugno chiuso e la bava alla bocca. Cancellare Matteo Salvini, il centrodestra e la maggioranza del Paese. È il sogno indecente dell'egemonia ideologica degli infallibili. E il modo più semplice è quello di sempre: mandarli a processo.La mozione di Fi e Fdi (con Giorgia Meloni a seguire dalla tribuna) contro la decisione della giunta per le immunità viene bocciata, il via libera per il caso Gregoretti era scontato. Come, nelle ultime ore, la decisione della Lega di uscire dall'Aula. Così l'accusa di sequestro di persona mossa dal tribunale dei ministri di Catania per aver tenuto 131 migranti tre giorni sulla nave diventa ufficialmente capo d'imputazione. L'imputato accoglie il voto con perplessa serenità: «Lo sapevo. Sono assolutamente tranquillo e orgoglioso di quello che ho fatto e rifarò appena tornato al governo. Difendermi in Senato è stato surreale. Ho giurato sulla Costituzione che prevede che difendere la patria è dovere di ogni cittadino. Io ho difeso l'Italia. Ho scelto io contro il mio quieto vivere di andare davanti a un tribunale. Orgoglioso di avere salvato migliaia di vite umane». Poi una stoccata politica destinata a fare male. «Siamo antropologicamente e culturalmente diversi dalla sinistra: mai manderei a giudizio i loro leader».Il lato più surreale dev'essere stato parlare a un governo di sedie vuote con il vellutino rosso perché nessun ministro - nessuno di coloro che hanno deciso di mandarlo davanti ai giudici (tantomeno chi, come Giuseppe Conte, era stato suo premier, quindi tecnicamente complice) - era al proprio posto. Tutti in ordine sparso fra i banchi, se non nascosti sotto. Con Matteo Salvini a sottolineare: «Se c'è qualcuno che scappa non è tra la Lega, ma tra i banchi del governo. Non hanno neanche avuto il coraggio di guardarmi negli occhi». Una scena triste, giustificata dalla presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, con la motivazione che «questo non era un atto dell'esecutivo, ma del Parlamento, quindi dell'Aula». Nel suo discorso, Salvini conferma la tesi di fondo: «La difesa della patria è un sacro dovere. In quell'Aula non andrò a difendermi ma a rivendicare quello che, non da solo ma collegialmente, abbiamo fatto. Ormai il re è nudo, potete andare avanti qualche settimana o qualche mese ma in democrazia il giudizio lo dà sempre il popolo. Non ne posso più di passare per criminale, c'è un limite a tutto. Sono convinto che alla fine sarà archiviazione. C'è bisogno di una cavia? Eccomi. Ma chi vota oggi pensando di vincere sarà sconfitto dalla Storia». Unica preoccupazione, quella per i figli. «Mi spiace per quello che i miei figli domani leggeranno sul giornale. Mi hanno scritto un sms: “Forza papà"».Mentre il Pd sceglie la strategia della sardina (fa il pesce in barile mandando avanti Dario Parrini a dire che «ci furono abusi»), letteralmente scatenata contro l'ex ministro è Emma Bonino, risvegliatasi manettara per coerenza politica: il suo partito si chiama +Europa, per lei è normale che la sovranità dell'Italia venga decisa a Bruxelles. «È ridicolo sostenere che una nave italiana fosse una minaccia per la patria. Voto a favore dell'autorizzazione a procedere per dare la possibilità a Matteo Salvini di difendersi come tutti i cittadini nel processo e non dal processo». Lapidario Matteo Renzi, che alla vigilia aveva fatto trapelare non poche perplessità («Fatico a vedere un reato»), ma che al momento di schierarsi, secondo abitudine ordina di alzare la manina dalle retrovie. «Salvini vuole essere processato? Lo accontenteremo». Una posizione davanti alla quale si ferma con disgusto un vecchio lupo di mare come Pier Ferdinando Casini, a sorpresa contrario al processo. Le parole del senatore del gruppo Misto gelano l'Aula: «La ruota gira. Quello che oggi succede a Salvini, un giorno potrà riguardare Nicola Zingaretti o qualcun altro. Si tratta di decidere se i principi sono validi sempre o solo a seconda delle persone. Il giudizio politico lo danno gli elettori e non può essere delegato a un magistrato». Per Giulia Bongiorno la faccenda è più semplice del previsto: «L'avvocato vero di Salvini non sono io, è Conte. Lo è quando dice: noi della presidenza del Consiglio abbiamo lavorato per ricollocare e consentire poi lo sbarco. Sono queste le sue parole e non parliamo di correità degli altri membri del governo perché non c'è nessun reato».Innocentisti per la Diciotti ma colpevolisti per la Gregoretti, i 5 stelle affidano la requisitoria via Facebook a Vito Crimi, coscienza inquieta e stipendio fisso, perfetto simbolo del Movimento. «Da mesi il capo della Lega vive in uno stato confusionale», la butta sul cabaret il nuovo capo politico. «Quello della Gregoretti è diventato un caso per un suo capriccio, una sua esclusiva e personale forzatura. Semplicemente voleva orientare il tema immigrazione sul blocco nonostante fossero già stati compiuti tutti i passi necessari per procedere alla redistribuzione dei migranti». Conclude beffardo e autolesionista: «Salvini lasciaci lavorare e non farci perdere tempo». Era l'unico che da piccolo, guardando Zorro, faceva il tifo per il sergente Garcia.
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