
Avvenire minimizza il discorso di monsignor Georg Gänswein. Civiltà Cattolica spara ad alzo zero su Rod Dreher. La stampa di curia sembra negare i problemi, ma incassa la stroncatura indiretta del segretario di Ratzinger.«Qualcuno preferisce sparare sul messaggero pur di distruggere il messaggio». Neanche il tempo di fiutare l'aria romana che Rod Dreher ha capito tutto e ha individuato dietro le cupole eterne i cecchini del pensiero curiale, pronti a mettere nel mirino il ragionatore pur di non ascoltare il ragionamento. È la risposta che l'autore del libro Opzione Benedetto dà a padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica, una voce critica ai limiti dell'isteria in queste settimane di tormenti. Prima per il memoriale dell'arcivescovo Carlo Maria Viganò e ora per uno scritto come quello di Dreher, intellettuale laico, che ha ispirato padre Georg Gänswein, segretario di Benedetto XVI, a definire ieri la deriva omosessuale e la pedofilia tollerata come «l'11 settembre della Chiesa».C'è chi chiede verità e chi nega persino l'esistenza del problema. Nel silenzio generale della stampa cattolica, padre Spadaro ha almeno lanciato una sfida, ha definito i benedettini e coloro che auspicano un ritorno alla purezza delle origini come conservatori nemici del progressismo di papa Francesco. Dreher risponde così: «Non capisco perché padre Spadaro ritenga che il mio libro si schieri contro l'appello di papa Francesco di evangelizzare il mondo. Se vogliamo andare nel mondo, dobbiamo avere un messaggio da portare. Qualcuno preferisce sparare sul messaggero pur di distruggere il messaggio».Quale messaggio portare nel mondo? È la grande paura, è la reiterazione di un perdono che Francesco è costretto a ripetere a ogni viaggio pastorale. È il tema di queste settimane, che i media cattolici e i vaticanisti dei grandi giornali generalisti continuano a minimizzare, a banalizzare se non a ridicolizzare. Lo hanno capito i fedeli, lo ha sottolineato padre Georg nella sala Aldo Moro della Camera, all'incontro organizzato dalla Fondazione De Gasperi, quando ha detto, facendo saltare sulle sedie i presenti, che «è scoccata l'ora dei laici forti e decisi» e che il lavoro è affidato ai «nuovi mezzi di comunicazione cattolici indipendenti». Perché «silenzio e preghiera», dietro il quale facilmente si nasconde il potere curiale, non si portano più. Non nel 2018, non nella società della comunicazione, dove nascondere la polvere sotto il tappeto significa abbandonarsi all'omertà.Padre Georg, profondo conoscitore della curia romana e di ogni consuetudine applicata Oltretevere, ha preso spunto da Opzione Benedetto per muovere un attacco frontale al clericalismo. Si affida ai laici per tenere accesa la luce della speranza e lo fa dopo aver constatato la passività, la volontà di oscurare ogni forma di dissenso, mostrate dalle fonti d'informazione ufficiali. Il suo discorso potente e rivelatore è confinato in poche righe a pagina 17 di Avvenire, è sciolto nella piccola cronaca dei siti dei quotidiani, è dimenticato dentro le tastiere dei giornalisti che frequentano tutti i giorni la sala stampa vaticana e fungono da alabardieri del Papa. Tutto ciò, mentre L'Osservatore Romano, Civiltà cattolica e i vaticanisti di complemento che affollano le prime file alle conferenze fra le nuvole di Bergoglio sono impegnati in un fuoco di sbarramento nei confronti del memoriale Viganò e di tutti coloro che dentro la Chiesa lo appoggiano. La Chiesa dei santi e dei martiri è percorsa dai falò di frate Dolcino; ma non sono i benedettini tardomedioevali ad appiccarli, bensì i custodi dello status quo, i protettori di un establishment opulento, secolarizzato, che si percepisce invincibile, affolla gli apericena come le novene, ma almeno appare un po' in imbarazzo. Padre Georg avverte la tristezza nel «vedere l'abominio della desolazione stare nel luogo santo». Una frase estrema, un discorso alto che abbiamo pubblicato in ampi stralci ieri e poi riletto sul Foglio, sul Messaggero. Ma non altrove, come se la censura fosse ancora un'opzione valida. Eppure la Chiesa ha bisogno di trasparenza, di lealtà nei confronti di un popolo che chiede chiarezza. Il segretario di Joseph Ratzinger non ha usato metafore, ha sottolineato quanto oggi i laici (da Dreher fino a un piccolo giornale come questo che dal primo giorno guarda con rispetto e devozione il crocifisso senza infingimenti) siano fondamentali per aiutare il clero a uscire dalla (sua) crisi di valori. E per riempire i vuoti comunicativi di un mondo mediatico più avvezzo a coprire per assuefazione o per ignavia che a illuminare il cammino. «Dreher non è affatto un religioso», ha sottolineato Gänswein, «ma un laico che cerca di conquistare anime al Regno di Dio che Gesù Cristo ha annunciato per noi, non sulla base di un incarico ingiuntogli da altri, quanto sulle ali di un entusiasmo e di una volontà assolutamente personali». Entusiasmo e volontà che evidentemente non vede più dentro i media tradizionali. E il generale silenzio di oggi lo conferma.Mentre il magma ribolle e papa Francesco prova a rispondere con i fatti convocando una Conferenza episcopale mondiale sul tema degli abusi, rimane nell'aria il monito di Willem Jacobus Eijk, cardinale arcivescovo di Utrecht: «Questa è la prova finale che dovrà attraversare la Chiesa». Non la vincerà solo se si lascerà avvolgere dalla penombra, se si abbandonerà dentro il facile e assolutorio silenzio del potere.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.