La rivista che dà lezioni di scienza al mondo pubblica un grafico truccato: le vittime delle alte temperature hanno una scala divisa per cinque. Un’illusione ottica per terrorizzare i lettori anche se il gelo è più letale.
La rivista che dà lezioni di scienza al mondo pubblica un grafico truccato: le vittime delle alte temperature hanno una scala divisa per cinque. Un’illusione ottica per terrorizzare i lettori anche se il gelo è più letale.(e non è la prima volta) a Lancet, rivista dell’aristocrazia scientifica, ancora oggi rivestita da un’aura antica di prestigio e autorevolezza. Che errore dopo errore, però, sta precipitando nel girone dei ridolini. E, soprattutto, sta svelando a tutti che cosa è ridotta oggi la scienza: un dogma usato per andare all’assalto della realtà. Lancet in resta, ovviamente. Per rendersene conto basta guardare le due tabelle che pubblichiamo oggi. Sono relative a uno studio sui morti per caldo e per freddo in Europa negli ultimi 20 anni. A sinistra vedete la tabella come è stata pubblicata su Lancet: in blu ci sono i morti per freddo, in rosso quelli per caldo. I morti di caldo appaiono piuttosto numerosi. Peccato che questa impressione sia determinata da una rappresentazione, per l’appunto, taroccata: l’esatta proporzione, infatti, dovrebbe essere quella della tabella di destra. Che però non è mai stata pubblicata. Lancet, infatti, ha optato per la falsificazione dividendo per cinque la scala di riferimento dei morti. Cioè: ogni morto di caldo, per la rivista scientifica (scientifica: si fa per dire), vale cinque morti di freddo. Ve ne rendete conto osservando l’asse orizzontale del grafico: a sinistra (morti di freddo) la scala è cinque volte superiore rispetto alla destra (morti di caldo). È ovvio che non c’è nessuna ragione oggettiva, matematica o numerica per giustificare questa assurdità. Solo ideologia, spacciata per scienza. Immaginiamo infatti il dramma vissuto nella redazione di Lancet, dove evidentemente impera il nuovo dogma del terrorismo climatologico e dell’apocalisse ambientale. Si sa che bisogna dire, per forza, che il riscaldamento del pianeta uccide. Non ci sono dati né scienziati che tengano rispetto alla verità rivelata. E così, quando a Lancet è arrivato il lavoro finale di un nutrito gruppo di studiosi, con la collaborazione del Medical reasearch council della Gran Bretagna, del Joint reasearch dentre dell’Unione europea e di alcuni professori di varie prestigiose università, da Ca’ Foscari all’ateneo di Barcellona, i responsabili della pubblicazione sono andati nel panico: dall’esame dei dati di 845 città europee (fra cui 87 italiane) fra l’inizio del 2000 e la fine del 2019 sono risultati infatti 203.620 morti l’anno per il freddo e 20.173 morti l’anno per il caldo. Cioè: si muore per il freddo dieci volte più che per il caldo. O, se volete dirlo in altre parole, le vittime del clima sono per il 95 per cento determinate dal freddo e solo per il 5 per cento dal caldo. E dunque: come la mettiamo con il riscaldamento del pianeta che uccide? Come la mettiamo con il caldo killer e l’aumento delle temperature che fa strage di anziani? Ovvio: bisogna intervenire subito. Mettiamoci una pezza, si saranno detti: tarocchiamo la tabella. In nome dalla scienza esatta falsifichiamo la realtà. Non è la prima volta, per altro, che il prestigioso (si fa per dire) Lancet inciampa in errori clamorosi. Indimenticabile, per esempio, resta quel meraviglioso numero del 22 maggio 2021, in cui sulla rivista scientifica (si fa sempre per dire) venne pubblicata una ricerca che distruggeva l’uso dell’idrossiclorochina nella cura del Covid. Erano i giorni ruggenti in cui la parola d’ordine non era come oggi il terrorismo climatologico ma il terrorismo sanitario, e sulla graticola non c’erano, come oggi, gli scienziati che non si allineano a Ultima generazione ma i medici che non si allineavano alla folle circolare di Roberto Speranza (tachipirina e vigile attesa) e pretendevano persino, pensate un po’, di curare i malati, anziché lasciarli morire. Il dogma allora era: per il Covid non esistono cure, esiste solo il vaccino. E così Lancet-in-resta si incaricò subito di distruggere una delle possibili cure del Covid, l’idrossiclorochina, appunto. Peccato, però, che per farlo si dovette affidare a una ricerca realizzata da una società, Surgisphere, di cui facevano parte uno scrittore di fantasy e una pornostar. Non scherzo: il fondamentale studio realizzato dalla società dello scrittore di fantasy e della pornostar è stato pubblicato con tutti gli onori su Lancet e ha immediatamente portato l’Organizzazione mondiale della Sanità a vietare l’uso dell’idrossiclorochina, salvo poi accorgersi che quello studio era una minchiata e aprire una (ormai inutile) indagine al riguardo. A loro parziale giustificazione va detto che quelli di Lancet non sono gli unici, fra i maestri della scienza ufficiale, a comportarsi così. Anzi, la tendenza è piuttosto diffusa. La rivista Nature, per esempio, a inizio pandemia, ha pubblicato uno studio fornito da una società privata californiana che escludeva in modo assoluto e definitivo ogni possibilità di origine artificiale, cioè in laboratorio, del virus del Covid: «L’origine può essere solo naturale», era il dogma allora. Dogma poi smentito dai fatti, come fu smentita quella ricerca farlocca. Anche sul taroccamento dei grafici, per altro, Lancet non è sola: all’Agenzia italiana del farmaco, infatti, sono dei campioni assoluti nella specialità, come dimostrato dall’inchiesta di Fuori dal Coro. Per esempio nel sesto rapporto Aifa, pubblicato nel giugno 2021, viene data una rappresentazione degli effetti avversi volutamente sbagliata: nell’immagine la percentuale di chi si è ammalato dopo il vaccino risulta piccola piccola, proprio minuscola, assolutamente sproporzionata rispetto alle cifre reali. E gli esperti che hanno curato il rapporto lo sapevano benissimo, anzi lo chiedevano esplicitamente («l’area del cerchio delle manifestazioni gravi non sia proporzionale», dicevano. E aggiungevano: deve essere «più piccola»). È la dimostrazione che sta trionfando non la scienza ma la pseudoscienza, o meglio la «corruzione della scienza» come ha detto il premio Nobel per la fisica John Clauser, non a caso bollato come «negazionista» dai maestri del pensiero scientifico. Che però, giorno dopo giorno stanno dimostrando di scientifico hanno solo il metodo, quello sì, scientifico con cui manipolano la realtà.
Lirio Abbata (Ansa)
La Cassazione smentisce i rapporti Cav-Mafia? «Repubblica»: «La sentenza non c’è».
(Stellantis)
Nel 2026 il marchio tornerà a competere nella massima categoria rally, dopo oltre 30 anni di assenza, con la Ypsilon Rally2 HF. La storia dei trionfi del passato dalla Fulvia Coupé alla Stratos alla Delta.
L'articolo contiene un video e una gallery fotografica.
Lo ha annunciato uno dei protagonisti degli anni d'oro della casa di Chivasso, Miki Biasion, assieme al ceo Luca Napolitano e al direttore sportivo Eugenio Franzetti: la Lancia, assente dal 1992 dalla massima categoria rallystica, tornerà protagonista nel campionato Wrc con la Ypsilon Rally2 HF. La gara d'esordio sarà il mitico rally di Monte Carlo, in programma dal 22 al 26 gennaio 2026.
Lancia è stata per oltre quarant’anni sinonimo di vittoria nei mondiali di Rally. Un dominio quasi senza rivali, partito all’inizio degli anni Cinquanta e terminato con il ritiro dalle competizioni all’inizio degli anni Novanta.
Nel primo dopoguerra, la casa di Chivasso era presente praticamente in tutte le competizioni nelle diverse specialità: Formula 1, Targa Florio, Mille Miglia e Carrera. All’inizio degli anni ’50 la Lancia cominciò l’avventura nel circo dei Rally con l’Aurelia B20, che nel 1954 vinse il rally dell’Acropoli con il pilota francese Louis Chiron, successo replicato quattro anni più tardi a Monte Carlo, dove al volante dell’Aurelia trionfò l’ex pilota di formula 1 Gigi Villoresi.
I successi portarono alla costituzione della squadra corse dedicata ai rally, fondata da Cesare Fiorio nel 1960 e caratterizzata dalla sigla HF (High Fidelity, dove «Fidelity» stava alla fedeltà al marchio), il cui logo era un elefantino stilizzato. Alla fine degli anni ’60 iniziarono i grandi successi con la Fulvia Coupè HF guidata da Sandro Munari, che nel 1967 ottenne la prima vittoria al Tour de Corse. Nato ufficialmente nel 1970, il Mondiale rally vide da subito la Lancia come una delle marche protagoniste. Il trionfo arrivò sempre con la Fulvia 1.6 Coupé HF grazie al trio Munari-Lampinen-Ballestrieri nel Mondiale 1972.
L’anno successivo fu presentata la Lancia Stratos, pensata specificamente per i rallye, la prima non derivata da vetture di serie con la Lancia entrata nel gruppo Fiat, sotto il cui cofano posteriore ruggiva un motore 6 cilindri derivato da quello della Ferrari Dino. Dopo un esordio difficile, la nuova Lancia esplose, tanto da essere definita la «bestia da battere» dagli avversari. Vinse tre mondiali di fila nel 1974, 1975 e 1976 con Munari ancora protagonista assieme ai navigatori Mannucci e Maiga.
A cavallo tra i due decenni ’70 e ’80 la dirigenza sportiva Fiat decise per un momentaneo disimpegno di Lancia nei Rally, la cui vettura di punta del gruppo era all’epoca la 131 Abarth Rally.
Nel 1982 fu la volta di una vettura nuova con il marchio dell’elefantino, la 037, con la quale Lancia tornò a trionfare dopo il ritiro della casa madre Fiat dalle corse. Con Walter Röhrl e Markku Alèn la 037 vinse il Mondiale marche del 1983 contro le più potenti Audi Quattro a trazione integrale.
Ma la Lancia che in assoluto vinse di più fu la Delta, che esordì nel 1985 nella versione speciale S4 sovralimentata (S) a trazione integrale (4) pilotata dalle coppie Toivonen-Wilson e Alen-Kivimaki. Proprio durante quella stagione, la S4 fu protagonista di un drammatico incidente dove morì Henri Toivonen assieme al navigatore Sergio Cresto durante il Tour de Corse. Per una questione di giustizia sportiva il titolo piloti fu tolto alla Lancia alla fine della stagione a favore di Peugeot, che era stata accusata di aver modificato irregolarmente le sue 205 Gti.
L’anno successivo esordì la Delta HF 4WD, che non ebbe rivali con le nuove regole del gruppo A: fu un dominio assoluto anche per gli anni successivi, dove la Delta, poi diventata HF Integrale, conquistò 6 mondiali di fila dal 1987 al 1992 con Juha Kankkunen e Miki Biasion. Lancia si ritirò ufficialmente dal mondo dei rally nel 1991 L’ultimo mondiale fu vinto l’anno successivo dal Jolly Club, una scuderia privata appoggiata dalla casa di Chivasso.
Continua a leggereRiduci