2022-08-14
L’agguato a Rushdie porta ai servizi iraniani
L’attentatore è un libanese che sui social inneggiava a Khomeini e Soleimani. Spunta la pista del Vevak, l’organizzazione segreta di Teheran specializzata in omicidi dei dissidenti. Lo scrittore respira solo grazie alle macchine: perderà un occhio.È ricoverato in condizioni gravi Salman Rushdie, saggista indiano naturalizzato britannico, che lo scorso 12 agosto è stato accoltellato all’addome e al collo, nel corso di un festival letterario nello Stato di New York. L’autore de I versi satanici, dopo essere stato trasportato in ospedale con l’elicottero, è stato sottoposto a un lungo intervento chirurgico e attualmente respira grazie all’ausilio delle macchine. Delle sue condizioni ha parlato ieri l’agente dello scrittore, Andrew Wylie: «Le notizie non sono buone. Salman è attaccato a un respiratore, in questo momento non è in grado di parlare, i nervi del suo braccio sono stati recisi e il suo fegato è stato ferito e danneggiato». Inoltre, è quasi certo che Rushdie perderà un occhio. L’uomo che ha tentato di ucciderlo è stato identificato in Hadi Matar, libanese di 24 anni, nato negli Stati Uniti da genitori emigrati da Yaroun, un villaggio di confine nel Libano meridionale. Hadi Matar, al momento dell’arresto, aveva nelle sue tasche un telefono cellulare e una patente di guida falsa intestata a Hassan Mughnyah, stesso cognome del terrorista e capo degli Hezbollah Imad Mughnyah ucciso dal Mossad nel 2008. Come è potuto accadere che nella sala che ospitava la conferenza di un uomo che vive semi-blindato dal 1988 per paura di essere ucciso dagli estremisti islamici, sia sciiti che sunniti (anche i talebani ne hanno chiesto la morte), le misure di sicurezza siano state così inadeguate? Matar è entrato dall’ingresso principale con regolare biglietto ed è addirittura arrivato alle spalle di Rushdie, riuscendo a pugnalarlo «da dieci a quindici volte», come descritto da alcuni testimoni. Come è possibile che nessuno gli abbia controllato lo zainetto che indossava dove c’era il coltello utilizzato nell’attacco? Domande che restano ancora senza riposta.Intanto, mentre una parte della stampa liberal americana evita accuratamente di parlare delle possibili motivazioni religiose che hanno spinto Hadi Matar a tentare di uccidere Rushdie, in ossequio alla fatwa che nel 1989 l’ayatollah Ruhollah Khomeini emise contro di lui e tutti coloro che collaborarono alla stesura de I versi satanici, chi è riuscito come noi a consultare (prima che venisse oscurato) il profilo Facebook dell’attentatore libanese ha le idee chiare su come la pensasse. Come foto di profilo aveva utilizzato l’immagine di Khomeini, dell’attuale guida suprema Ali Khamenei e del generale Qassem Soleimani, terrorista globale, capo della Niru-ye Qods (l’unità delle Guardie della Rivoluzione), ucciso da un missile lanciato da un drone nei pressi dell’aeroporto di Baghdad il 3 gennaio 2020. Il New York Post, citando fonti nelle forze dell’ordine, ha reso noto che «i primi indizi suggeriscono che Hadi simpatizzi con il governo iraniano e i pasdaran».A proposito di Teheran, alcuni giornali iraniani come Kayhan hanno espresso la loro gioia per l’attentato: «Congratulazioni a quest’uomo coraggioso e consapevole del dovere che ha attaccato l’apostata e vizioso Salman Rushdie. Baciamo la mano di colui che con un coltello lacerò il collo del nemico di Dio» mentre Khorasan ha titolato: «Satana torna all’inferno». Ma chi è davvero questo fanatico libanese? Un lupo solitario che ha puntato al bersaglio grosso per diventare famoso? Oppure il braccio armato del temibile servizio segreto iraniano Vezarat-e Ettela’at va Amniat-e Keshvar (Vevak), responsabile di decine omicidi di scrittori, intellettuali e politici iraniani dissidenti, sia all’interno che all’esterno del Paese? L’ipotesi non è certo da scartare visto il costante attivismo dell’intelligence di Teheran anche negli Usa. Lo scorso 10 agosto il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha accusato Shahram Poursafi, membro delle Guardie rivoluzionarie iraniane, la forza militare più potente dell’Iran, di aver tentato di uccidere tra l’ottobre 2021 e il marzo 2022, John Bolton, politico repubblicano ed ex consigliere per la sicurezza nazionale statunitense tra il 2018 e il 2019, noto per le posizioni durissime contro il regime degli ayatollah. Per uccidere Bolton, secondo il dipartimento di Giustizia, Poursafi, attualmente latitante, avrebbe ingaggiato alcuni killer ai quali avrebbe versato una prima tranche di 300.000 dollari. Dopo Bolton la cellula aveva intenzione di colpire l’ex segretario di Stato Mike Pompeo ma una talpa ha fatto saltare tutti i piani. Nel luglio 2021 venne scoperto un piano per rapire e riportare in Iran Masih Alinejad, autrice ed attivista per i diritti umani, iraniano-americana che vive da 12 anni a New York e che riuscì a fuggire dall’Iran nel 2009 dopo la rielezione di Mahmoud Ahmadinejad che ne aveva chiesto l’arresto. Poco prima che Masih Alinejad venisse rapita gli uomini dell’Fbi arrestarono nei pressi della sua casa di Brooklyn un uomo armato di kalashnikov e con molte munizioni, identificato come Khalid Mehdiyev. Possibile che Hadi Matar sia stato facilmente reclutato dal Vevak che, facendo leva sul fanatismo espresso sui social, gli abbia prospettato la gloria eterna che attende chi obbedisce ad una fatwa lanciata dall’ayatollah Khomeini. D’altronde a chi negli anni chiedeva a Teheran di annullare la fatwa veniva data sempre la stessa riposta: «La freccia ormai è stata scoccata e il proiettile non si fermerà fintanto che non raggiungerà il target». In attesa della gloria eterna, Hadi Matar passerà il resto dei suoi giorni in un penitenziario di massima sicurezza come l’Adx-Florence (Colorado) che per la sua posizione e l’impenetrabilità è stata soprannominata l’Alcatraz delle Montagne rocciose.