2019-12-04
La mafia nigeriana dilaga in Italia: «Intaccata anche l’economia legale»
Operazioni a tappeto contro i clan africani: sequestrati 80 milioni di euro provento di droga e prostituzione. La zona più colpita è la fascia fra Abruzzo e Marche, proprio dove fu massacrata Pamela Mastropietro. Torna a suonare l'allarme sulla mafia nigeriana. In due operazioni distinte, negli ultimi due giorni, sono stati arrestati 41 appartenenti ai «cult» (si chiamano così le cosche dei neri) tra Puglia, Sicilia, Campania, Calabria, Lazio, Abruzzo, Marche, Emilia Romagna e Veneto (oltreché Germania, Francia, Olanda e Malta). Si sono accertati traffici per 80 milioni di euro e soprattutto si è scoperto che la mafia nigeriana ha fatto un salto di qualità: sta inquinando l'economia legale, soprattutto lungo la costa Adriatica tra Marche e Abruzzo. Ora è evidente che la mafia nigeriana - che la Dia qualifica come la più pericolosa e feroce delle organizzazioni criminali che operano in Italia - ha ramificazioni in tutto il Paese dove gestisce i suoi traffici basati sulle cosiddette «tre d»: droga, donne e denaro. Significa prostituzione, spaccio, racket dell'accattonaggio. Lungo la costa adriatica, come aveva fatto emergere al processo per l'uccisione e lo scempio della povera Pamela Mastropietro - la diciottenne romana ammazzata a Macerata il 31 gennaio del 2018 - il pentito di 'ndrangheta Vincenzo Marino (che aveva raccolto in carcere le confidenze di Innocent Oshegale, il nigeriano condannato all'ergastolo per quel delitto), ora si ha la certezza che la mafia nigeriana stia infiltrando anche l'economia legale. L'operazione più imponente è quella scattata ieri a Bari a seguito di un'inchiesta della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo pugliese, coordinata dal pool composto dalle pm Simona Filoni e Lidia Giorgio, con il procuratore Giuseppe Volpe e l'aggiunto Francesco Giannella. L'inchiesta ha preso le mosse da una denuncia partita dal pastore protestante del Cara di Bari. Il religioso ha chiesto la protezione della polizia, spiegando che i nigeriani avevano trasformato il centro di accoglienza migranti in una centrale criminale e di reclutamento di pusher e di ragazze da far prostituire. Un appello accorato in cui si diceva: «Intervenite, siamo ostaggio dei criminali, le nostre vite sono in pericolo». Da lì è partita l'inchiesta che ha individuato oltreché nel Cara di Bari Palese - che doveva essere chiuso già nella primavera scorsa, ci sono stipati oltre 500 migranti quasi tutti nigeriani ed è già stato oggetto di blitz contro la mala nera - anche nel quartiere Libertà il fulcro dell'attività mafiosa di due nuove organizzazioni: Supreme vikings confraternity-Arobaga e Supreme eyie confraternity. Entrambe le gang - che hanno stretto un patto di non belligeranza con la malavita pugliese, alla quale forniscono manovalanza criminale - sarebbero una filiazione dei Black axe, le «asce nere», la più potente famiglia mafiosa nigeriana: quella che organizza i traffici di esseri umani e infiltra l'Italia con finti profughi stipati sui barconi. In particolare ragazze da avviare alla prostituzione vengono fatte arrivare in Libia e da lì - dopo essere state violentate e sottoposte a riti voodoo - vengono portate a Castelvolturno, in Campania, dove c'è la base operativa dei «cult» e poi smistate in tutta Italia. Nelle indagini condotte dalla Mobile di Bari nell'arco di due anni si è scoperto che sono stati spediti in Nigeria oltre 74 milioni di euro frutto di spaccio, di prostituzione - 17 ragazze sono state violentate - e del racket delle elemosine fuori dei centri commerciali. L'indagine barese ha portato all'arresto di 32 nigeriani, mentre gli indagati complessivamente sono 50. Ma ha anche documentato i riti di affiliazione che venivano praticati nel Cara e negli appartamenti usati dalle prostitute. Consistevano nel far bere sangue umano agli affiliati e a costringere le donne ad avere rapporti con i capi, peraltro abilissimi nell'utilizzo delle armi bianche. Sembra di rileggere i faldoni del processo per la morte di Pamela Mastropietro, tuttavia a Macerata la Procura mai ha voluto parlare di mafia nigeriana. Eppure una seconda indagine in questi giorni coinvolge pesantemente le Marche. L'ha portata avanti la Direzione antimafia abruzzese tra Teramo, Ascoli, Fermo e appunto Macerata. Nove gli arrestati (cinque uomini e quattro donne) tutti accusati di far parte dell'associazione mafiosa, di sfruttamento della prostituzione e di racket dell'accattonaggio. Questa inchiesta ha rivelato che la cosca abruzzese-marchigiana ha avviato un'attività finanziaria: raccoglie, oltre ai proventi criminali, i soldi dai connazionali e da altri immigrati irregolari per investirli in Nigeria. L'indagine ha documentato oltre 100 viaggi aerei verso la nazione africana con cui sono stati trasferiti oltre 7,5 milioni in nove mesi con il sistema della «awala» (una sorta di riciclaggio fiduciario). Gli inquirenti sospettano che i nigeriani abbiano intrapreso tra Marche e Abruzzo anche l'attività di «lavanderia» del denaro. Sembrano profetici gli appelli di Marco Valerio Verni, l'avvocato dei famigliari di Pamela Mastropietro nonché zio della vittima, a indagare la mafia nigeriana radicata nel Centro Italia per spiegare la morte di sua nipote. Il procuratore di Macerata, Giovanni Giorgio, ha sempre risposto che dalle indagini nulla è emerso. Meglio pensare che Oseghale fosse un cane sciolto? Magari, ma solo fino a ieri.