L’accordo di pace firmato a Washington fra Repubblica Democratica del Congo e Ruanda del 27 giugno potrebbe mettere fine ad oltre 30 anni di una guerra che ha causato quasi 5 milioni di morti e tra 11 e 12 milioni di sfollati.
Fortemente voluto dall’amministrazione Trump questo trattato è frutto del lavoro del Segretario di Stato Marco Rubio che per mesi ha tessuto la tela diplomatica per mettere allo stesso tavolo i due ministri degli Esteri. Therese Kayikwamba Wagner per la Rdc e Olivier Nduhungirehe per il Ruanda hanno firmato in rappresentanza dei propri Paesi, ma è stata indubbiamente risonante l’assenza dei due presidenti che in passato hanno avuto scontri durissimi. La rappresentante della politica estera di Kinshasa ha dichiarato che questo trattato non è soltanto una vittoria diplomatica, ma anche un trionfo per l'intero popolo congolese, mentre il suo omologo ruandese ha ribadito che l'accordo si basa sull'impegno assunto di porre fine in modo irreversibile e verificabile al sostegno statale del Congo alle milizie ruandesi, alle FDLR e alle milizie associate che minacciano il legittimo governo di Kigali. Frasi di circostanza che vorrebbero mettere i due paesi africani sullo stesso piano, ma in realtà il Ruanda, piccola e organizzatissima realtà dei Grandi Laghi, addestra ed arma le milizie che occupano ormai da mesi tutte le province orientali della Repubblica Democratica del Congo. Si prevede la cessazione delle ostilità, il ritiro delle truppe e la fine del sostegno ai gruppi ribelli che operano nel Congo orientale entro 90 giorni. Ma il vero cuore di questo faticoso accordo include una partnership mineraria con gli Stati Uniti, che garantisce un accesso privilegiato elle riserve di cobalto, litio, tantalio, coltan e le ormai famosissime terre rare.
Kinshasa aveva firmato un accordo ventennale con la Cina per lo sfruttamento minerario delle province meridionali ed orientali, ma aveva ben presto perso il controllo di oltre il 60% delle miniere che erano finite sotto le milizie sostenute dal Ruanda che esportava illegalmente i minerali congolesi. Nel documento firmato a Washington c’è una specifica clausola denominata “Minerali critici per la sicurezza e per la pace” che consente alle aziende statunitensi di investire nell’estrazione e nella lavorazione di questi minerali sotto la governance congiunta di Congo e Ruanda. Nelle province orientali del Nord e Sud Kivu, totalmente sotto controllo dei ribelli, la ricchezza mineraria è stimata in più di 24mila miliardi di dollari. il presidente congolese Felix Tshisekedi non ha mai nascosto la sua simpatia per la Cina che in questi anni ha assunto un ruolo determinante. Le aziende del Dragone, infatti, controllano oltre l’80% delle miniere di rame della Repubblica Democratica del Congo e vantano una simile posizione di predominio anche nell’estrazione di cobalto e litio. La Rdc è da anni l’epicentro degli investimenti cinesi nel continente africano, la maggior parte dei diritti estrattivi sono ad appannaggio di società di Pechino come la Huayou Cobalt, la Chengtun Mining, China Molybdenum e la China Nonferrus che da un decennio hanno preso il posto delle aziende francesi e belghe. Fino ad oggi le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) compravano le armi dalla Cina ed erano i droni di Pechino che colpivano le basi dei ribelli del movimento M23, gli autentici padroni delle regioni orientali. Da mesi questo gruppo ha preso il controllo delle due capitali regionali Goma e Bukavu, costringendo 2 milioni di civili a fuggire dalle zone di combattimento. L’M23, che la Nazioni Unite ritengono una creatura politico-militare del Ruanda, non è stato coinvolto in questa trattativa e tramite Corneille Nangaa, il suo portavoce, ha lanciato pesanti minacce. «Ridurre la crisi in Congo a un semplice conflitto tra Kigali e Kinshasa è un inganno inaccettabile per il popolo. Questo impegno copre solo una minima parte della vera causa del conflitto. Le legittime richieste dell'M23 rimangono. Noi vogliamo andare avanti con i colloqui di Doha mediati dal Qatar che ci riconoscono come un attore principale. Il presidente Tshisekedi deve riconoscere il nostro ruolo perché non prendiamo ordini dal Ruanda, ma combattiamo per i congolesi».
Intanto Donald Trump sta lavorando per un incontro diretto fra Felix Tshisekedi ed il presidente ruandese Paul Kagame, fedelissimo dell’occidente e uomo di fiducia di Parigi e Bruxelles. L’ultima mossa del tycoon americano rimette in gioco gli equilibri africani vanificando anni di investimenti cinesi e dichiarandosi pronto a nuovi investimenti che possano arginare l’enorme progetto della Via della Seta che sta lentamente strangolando le economie africane.


