2018-05-05
Tra Palermo e Roma si riapre la guerra del tonno rosso
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Il ministro Maurizio Martina ha decretato l'aumento delle quote. La decisione favorisce tutti, tranne i piccoli pescatori. Così la Regione Siciliana minaccia il ricorso al Tar contro il governo. Ma mentre la burocrazia strangola il settore, cresce il traffico illegale controllato dalle mafie. E a rischio ci sono anche le alici di menaica e lo spada.Se non fosse che di mezzo ci sono la sopravvivenza dei pescatori, loschi appetiti delle mafie e macroscopiche incompetenze si potrebbe liquidare la faccenda come un fogliettone di «tonno e spada» che mette alla berlina per l'ennesima volta l'inconsistenza dei nostri governi e l'insipienza dei nostri burocrati. Il caso pesca rischia di diventare invece gigantesco; riguarda certo il tonno, ma ora sta diventando critica la gestione del pesce spada mentre paradossale è quanto sta accadendo per le alici: in pratica i piccoli pescatori non possono più catturarle. È la burocrazia che trionfa sull'ecologia. In un Paese che ha i famosi 8.000 chilometri di costa e però dipende per il proprio fabbisogno al 70% dall'import c'è da domandarsi come sia possibile perdere in 10 anni un terzo della flotta e dei posti di lavoro con appena oggi 25.000 occupati su 12.000 barche. Le cause? Caduta dei prezzi, pesca illegale e troppa burocrazia. Il che è un paradosso perché l'Ue - che pure ci penalizza con quote di prelievo, regolamenti assurdi come quello finalmente emendato sul calibro delle vongole e accordi mediterranei - minaccia di aprire contro l'Italia la procedura d'infrazione per l'inefficacia dei controlli. E ora sulla cattura del re del Mediterraneo, il tonno rosso, si riapre l'ennesimo contenzioso tra la Regione Sicilia e il governo italiano con la minaccia a questo punto niente affatto velata di un ricorso a Tar della giunta palermitana contro Roma. La faccenda è semplice. L'Ue ha deciso di aumentare del 20% nel prossimo triennio le quote di tonno rosso che si può pescare portando la quantità riservata all'Italia per l'anno in corso a 3.894,13 tonnellate con un aumento di poco inferiore alle 600 tonnellate rispetto alla scorsa campagna di pesca. Ebbene, la Sicilia non ci sta a veder premiate ancora una volta le flotte dei grandi pescherecci che peraltro hanno come porti d'armamento quelli campani. Gli assessori regionali siciliani per la pesca mediterranea, Edy Bandiera, e per le attività produttive, Mimmo Turano sostengono che la ripartizione dei nuovi quantitativi penalizzi ancora una volta la piccola pesca e le attività delle barche siciliane dedite soprattutto alla pesca con il palangaro (i palamiti che catturano i tonni con gli ami) a vantaggio di chi pesca con le grandi reti. Proprio Edy Bandiera fin da febbraio aveva chiesto che venisse aumentata la quota riservata alla pesca col sistema del palangaro (pari al 14%) al fine di non penalizzare ulteriormente la flotta peschereccia siciliana, già in grave crisi, e di diminuire la quota assegnata al sistema di pesca della circuizione (quello dei pescherecci grandi e per lo più campani pari al 75%). Ma questa richiesta è caduta nel vuoto, così ora Bandiera e Turano sostengono che ci sono «fondati motivi per impugnare il decreto del governo che assegna le nuove quote di pesca». I due assessori chiederanno di aprire un vero contenzioso contro il ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, e il premier, Paolo Gentiloni, che a parere dei siciliani sul caso pesca dovrebbero essere come i tonni «rossi sì, ma di vergogna» perché stanno dalla «parte dei monopolisti». La verità è che l'Italia sulle quote tonno ha fatto un pasticcio. Da quando sono state introdotte è il paese più penalizzato in Europa (Spagna e Francia si spartiscono la quota maggiore) senza contare che Turchia e Tunisia stabiliscono unilateralmente i limiti alla quantità di tonno rosso che pescano. Ma solo in Italia le quote sono ripartite tra i diversi sistemi di pesca. Ciò ha determinato che i pescherecci d'altura hanno circa l'80% di quota di mercato. Così sono sparite le tonnare da postazione fissa (quelle per capirci dell'epopea del Rais, delle Camera della Morte, delle dinastie come i Florio: di tonnare attive oggi in Italia ce ne sono solo tre e tutte in Sardegna che peraltro non ha nuove quote da anni) ed è stata marginalizzata la piccola pesca. DI conseguenza questo ha fatto aumentare la pesca illegale controllata dalle mafie (l'anno scorso a Catania sono state arrestate 31 persone e sequestrate quattro società di export di tonno in mano alle cosche). Il sistema in un mercato che vale 130 miliardi di euro (a tanto ammonta il business mondiale del tonno) è collaudato: si spingono i pescatori a fare catture di frodo dietro misero compenso, si subisce il sequestro delle catture illegali, poi si partecipa con dei prestanome all'asta giudiziaria che smaltisce il pesce ricomprando a prezzi inferiori, tangenti comprese, rispetto al mercato legale. Questo grazie all'eccesso di burocrazia che sta, su di un altro fronte, uccidendo il mercato della pregiatissima alice di menaica. Sempre per il sistema delle autorizzazioni le piccole barche che non hanno la patente per un determinato tipo di pesca non possono più calare le reti che catturando le alici le dissanguano rendendo il pesce pregiatissimo. Non esiste nella legislazione la tipologia menaica e così i piccoli pescatori non possono avere la patente mentre i grandi pescherecci a strascico sterminano i branchi di pesce azzurro che sono anche le prede dei tonni che rischiano l'estinzione non solo per le tante catture, ma anche per la mancanza di cibo. E l'ultima perla riguarda il pesce spada: anch'esso è stato contingentato. E ancora una volta l'Italia si è fatta sorpassare nelle quote da Spagna e Francia che hanno una tradizione assai più debole nella pesca allo spada. Ma da noi va così. Ogni pesce in Italia è un pesce d'aprile.