2021-10-02
La doppia morale rossa assolve Riace ma lincia i nemici al primo passo falso
Media e intellettuali tutti schierati con l'ex sindaco condannato: quando c'è di mezzo un amico, le prove non contano nulla. Per gli avversari politici, anche se innocenti, scatta subito la macchina del fango.Sì, è vero, dovremmo esserci abituati. In fondo parliamo di meccanismi che operano da decenni, e che alla prima occasione utile si rimettono in moto in maniera assolutamente identica e ugualmente perversa. Eppure, sarà una nostra debolezza, continuiamo a provare sgomento e orrore di fronte all'esibizione sfrenata di doppia morale. Osserviamo la ferocia, il disprezzo e l'arroganza con cui viene esercitato il doppiopesismo, e ogni volta un brivido ci sale lungo la schiena. No: abituarsi non si può, non ci si riesce. Quel che più ferisce è probabilmente la mancanza di pudore. Ieri sulle prime pagine dei giornali di area progressista (e non solo su quelle) era un tripudio di commenti a favore di Mimmo Lucano, l'ex sindaco di Riace ed eroe dell'immigrazionismo condannato a 13 anni e due mesi dal tribunale di Locri.Luigi Manconi, sulla Stampa, ha scritto che si tratta di un «processo offensivo» che ha prodotto una «sentenza abnorme». L'editorialista, già al vertice dell'Ufficio nazionale anti discriminazioni razziali (Unar) sostiene che una «giustizia scollegata dalla realtà» abbia trasformato «l'accoglienza in reato». Altro che colpevole, Lucano sarebbe stato l'ideatore di «un esperimento sociale che ha creato un circolo virtuoso in un territorio fragile». Su Repubblica, Francesco Merlo ha parlato di «giustizia rovesciata». A suo dire, la sentenza su Lucano dovrebbe servire a «mostrare tutta la troppità della Giustizia italiana: troppa ideologia, troppa parzialità, troppo corporativismo, troppo protagonismo, troppa irresponsabilità civile, troppa disinvoltura, troppo moralismo, troppa disumanità, troppa iniquità». Il «povero» (sic) ex sindaco, a parere di Merlo, sarebbe in realtà una vittima, poiché il giudice avrebbe abusato in modo «mostruoso» del «potere discrezionale che la legge gli concede». Proprio così: Lucano sarebbe un perseguitato come gli Ugonotti o i Valdesi. Suppergiù sono le stesse idee espresse da Enrico Letta, il quale è convinto che «con la condanna a Mimmo Lucano si dà un messaggio terribile che alimenterà la sfiducia nella magistratura».Il caro Mimmo continua anche in queste ore a ricevere il sostegno di Vip e Vippetti, di illustri intellettuali di sinistra come Gad Lerner e di celebrità come Fabio Fazio. Attorno a lui si è stretto il protettivo abbraccio progressista, pronto a fargli da scudo contro ogni male. Eccolo lì, il metodo. Agli amici, ai compagni, il sostegno non viene mai a mancare. Oddio, può darsi che – in una logica tribale – sia perfino normale. Il punto è che i suddetti amici e compagni non godono soltanto dell'appoggio dei partiti e dei militanti. No, essi hanno dalla loro parte l'intero sistema mediatico o quasi. Lo stesso sistema che, per anni, ha celebrato Lucano come una specie di divinità dell'antirazzismo militante e che ora, anche soltanto per tutelare sé stesso, fa di tutto per sminuire, occultare, negare.Vero, si tratta di una condanna in primo grado, e infatti l'ex sindaco avrà la possibilità di continuare a difendersi nei successivi gradi di giudizio. Ma il tribunale mediatico lo ha già assolto. Di più: lo presenta come un martire. Il Corriere della Sera gli ha concesso un'intera pagina di intervista («Sono un uomo onesto, è stata la mia popolarità a dare fastidio a molti», è il titolo ultra garantista). Le trasmissioni tv pullulano di difensori d'ufficio della «disobbedienza civile», per altro a più riprese rivendicata dallo stesso Mimmo. A sinistra funziona così: se la legge ti consente di fare quel che vuoi, bene; altrimenti diventa un «dovere civile» violarla.Sì, può anche darsi che tutto ciò sia normale, o per lo meno comprensibile: se i progressisti hanno una particolare idea di giustizia in cui rientra anche l'invasione migratoria, è ovvio che continuino a difenderla a ogni costo. Un po' meno normale, tuttavia, è che a tale atteggiamento giustificatorio si accompagni una brutalità inaudita nei confronti dell'avversario politico, anzi del nemico.Il sistema mediatico che appoggia Lucano, per dire, invoca la gogna per il vicequestore Nunzia Schilirò, colpevole di essersi espressa contro il green pass. In quel caso, la «disobbedienza civile» (ammesso che di disobbedienza si tratti e non di legittimo esercizio di un diritto alla libera espressione) non può essere invocata. Anzi, va punita con la massima severità, tanto da richiedere l'intervento del ministro dell'Interno.Lucano, ci dicono, non è colpevole: è un eroe. E mentre lo dicono infieriscono come fiere su Luca Morisi, il quale potrebbe addirittura essere vittima di un ricatto. Lo deridono, lo accusano, lo insultano senza alcuna pietà, senza alcun rispetto non tanto delle sue idee, ma della sua vita, della sua dignità di essere umano. Morisi era un odiatore, urlano, quindi possiamo divertici a odiarlo. È la tremenda legge del contrappasso? Chissà, magari è davvero così, anche se abbiamo seri dubbi. È possibile, tuttavia, che la vicenda di Morisi (giudicata dalla Procura «un fatto banale che lascia indifferenti») sia fatta esplodere nemmeno si trattasse di un attentato alle alte cariche dello Stato, mentre quella riguardante Lucano viene scientificamente ridimensionata?Se si leggono i quotidiani e si guardano certi talk show, sembra quasi che i problemi dell'Italia si riducano agli affari di letto di uno spin doctor (contro il quale si fa largo sfoggio di omofobia) e alla onnipresente «minaccia nera», evocata da un filmato di Fanpage in cui compare l'esponente milanese di Fdi Carlo Fidanza. Investito da una tonnellata di fango, Fidanza - prima ancora che la Procura battesse un colpo - si è autosospeso dal partito. Mimmo Lucano, da indagato, è stato candidato in Calabria, ha scritto libri, ha comiziato ovunque, c'è perfino una fiction tv su di lui che giace da qualche parte negli armadi della Rai.Potremmo abituarci, è vero, e forse dovremmo. Ma non ci riusciamo. L'ipocrisia, l'odio a getto continuo, l'idea che a un certo mondo tutto sia concesso ancora ci ripugna. Per anni hanno gridato «Restiamo umani!». Ma si comportano ogni volta come bestie. Anzi: molto peggio.