2021-07-01
Dignità e rispetto in carcere per tutti, non solo per qualcuno
Il trasferimento lampo del terrorista e i pestaggi di Santa Maria Capua Vetere degenerazioni del sistema. Gli agenti meritano rispetto per le condizioni di lavoro allucinanti. La politica deve prendere posizioneSpostamento anticipato di tre giorni in concomitanza con l'arrivo della Bruno Bossio. Dubbi sui costi e la sicurezza per portare (in auto) l'ex Pac dalla Calabria a FerraraLo speciale contiene due articoliLa storia del trasferimento di Cesare Battisti che andiamo raccontando da alcuni giorni è strettamente legata a un'altra pessima vicenda di cui ora emergono sconcertanti dettagli. Parliamo di ciò che è avvenuto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile del 2020. Fatti documentati da inchieste giornalistiche e da video diffusi dal quotidiano Domani, per cui sono indagati 52 agenti di polizia, tutti raggiunti da misure cautelari di vario tipo e sospesi dal servizio (il Dap sta valutando azioni anche nei confronti di altri indagati). Che cosa sia accaduto è presto detto. In pieno lockdown, lo scorso anno, i detenuti del carcere campano hanno dato il via a una robusta protesta quando hanno saputo della presenza di un positivo al Covid all'interno della struttura. La reazione degli agenti, stando a quel che si vede nei video in possesso della Procura, è stata brutale. Manganellate, schiaffi, insulti. Detenuti costretti a inginocchiarsi e a subire percosse. Altri che, in maglietta e calzoncini, vengono colpiti da frotte di poliziotti. Ci sarebbe stato persino un carcerato sodomizzato con un manganello. Non è a Abu Ghraib, ancora, ma fa spavento lo stesso. Lo sguardo che si deve rivolgere a queste scene è lo stesso con cui dobbiamo osservare la vicenda che coinvolge Battisti. È uno sguardo che deve cercare dignità e di rispetto: per tutte le parti in causa, non per una soltanto. È uno sguardo che deve per forza superare le incrostazioni ideologiche e gli slogan sulla difesa di questa o quella categoria.Dignità e rispetto merita, prima di tutto, lo Stato. Uno Stato dignitoso, che rispetti sé stesso e i propri valori, stabilisce una pena giusta, anche molto severa, e vigila affinché sia scontata. Ma non infierisce sul detenuto oltre il dovuto. Non bastona, non sputa, non calcia e non picchia. Se possibile, non umilia. Perché anche il peggior criminale non va ripagato con i suoi stessi metodi, e perché chi sta dietro le sbarre rimane un essere umano, meritevole di rispetto. Non per peloso buonismo o garantismo da talk show. Ma perché il male esiste, può intaccare chiunque, tuttavia una scintilla di umanità - che anche debolezza ed errore - è sempre presente in ogni corpo e in ogni mente. E non è compito di un giudice, un poliziotto o di chiunque altro spegnerla.Allo stesso modo, però, meritano dignità e rispetto gli agenti che in carcere trascorrono gran parte della loro esistenza, quasi immersi in un universo a parte, un arcipelago dalle cui logiche talvolta è molto difficile emanciparsi.È noto da anni: il sistema carcerario italiano è sovraffollato. A fronte di una capienza massima di 44.475 posti, al 21 giugno i detenuti erano 53.661. A queste cifre fa da corollario la carenza di organico della polizia penitenziaria, e la penuria di mezzi con cui da troppo tempo convive. Sui detenuti, lo sappiamo, gravano alcuni pregiudizi: c'è chi vorrebbe semplicemente buttar via le chiavi, sorvegliare, punire e vendicare. Sugli agenti aleggiano pregiudizi se possibile ancora peggiori. C'è chi, a sinistra, le carceri vorrebbe solo abolirle, chi considera le guardie una manica di torturatori senza scrupoli. Tutti spietati, tutti potenziali assassini, anche più feroci di quelli che stanno in cella. Il combinato disposto delle contrapposte visioni e l'ormai fisiologica mancanza di spazi e mezzi adeguati hanno creato una sorta di coltre permanente di tensione. Gli agenti, se interrogati, lo raccontano. Di fronte alle rivolte si sentono impotenti, in balia dei detenuti. I quali a loro volta, compressi come sono, si accendono più facilmente. Il risultato - non giustificabile, ma spiegabile - sono episodi come quelli di Santa Maria Capua Vetere. La tensione produce frustrazione, la frustrazione talvolta esplode in violenza. Poche volte, per fortuna, perché la gran parte dei poliziotti è paziente, e fa il proprio dovere con onore. Quando accade, però, guardare altrove non si può, minimizzare non si deve. Tale grumo di ingiustizie, tuttavia, non si scioglie intervenendo solo quando i riflettori sono accesi. Non si può privilegiare Battisti perché sul suo caso è in corso da anni un dibattito avvilente. Anche lui - costa dirlo, ma è così - merita dignità. Non, però, corsie preferenziali. Per un motivo semplice: privilegiare Battisti significa offendere tutti gli italiani e trascurare gli altri detenuti, contribuendo ad alimentare tensioni e sofferenze.Il Pd che si preoccupa del terrorista è una rilevante forza di governo in un esecutivo il cui ministro della Giustizia, Marta Cartabia (che ieri ha parlato di «tradimento della Costituzione» riguardo gli agenti campani), ha promesso di occuparsi delle carceri con rapidità e umanità. Sia fatto, allora. Invece di velocizzare solo le pratiche per il terrorista piagnone, si velocizzino pure quelle per i carcerati più fragili, e per la messa in sicurezza delle strutture e del personale. Altrimenti quelle di Enrico Letta sugli «abusi intollerabili» di Santa Maria Capua Vetere rimarranno ciò che sono: ciance. Facili commenti indignati di chi non ha fatto nulla per cambiare le cose, anzi ha inasprito i conflitti. Di nuovo: dignità e rispetto. Battisti per lo Stato non li ha avuti, ma lo Stato deve averli per i poliziotti, per i detenuti. E per sé stesso: cioè per noi, che di spettacoli odiosi ne vediamo troppi.