2020-04-25
La app sarà un flop. Ma il governo va avanti lo stesso
Giuseppe Conte e Sandra Zampa (Ansa)
Le esperienze di altri Stati mostrano che «Immuni» così come viene proposta è inutile. Sandra Zampa (Pd): «Non ci fermiamo».«Un fallimento». Non hanno usato giri di parole i ricercatori dell'Università di Oxford nel giudicare la via digitale alla guerra al virus. Sul fronte di Singapore il contrattacco con l'algoritmo è velleitario, il sistema Trace Together non sta funzionando perché solo un cittadino su quattro lo ha scaricato, e i contagi di ritorno fanno salire di nuovo i numeri. Dalla Corea del Sud non arrivano risposte confortanti: la app anti-Covid è stata lanciata gli inizi di marzo nella versione Android, solo il 20 nella versione Apple, quindi in coda all'epidemia asiatica con notevoli limiti di valutazione. Correlazione sui risultati di contenimento, quasi zero. Gli scienziati nell'Hubei hanno un parere unanime: «Senza tamponi non serve, senza tamponi non ne saremmo usciti».Dopo la sbornia tecnologica della prima ora il contesto è questo. Ovunque tranne che in Italia dove, tra il fideistico e l'affaristico, è partita la smagliatura di Immuni e nessuno la ferma più. L'effetto piattaforma Rousseau non aiuta e il progetto avanza a grandi passi anche se suscita smorfie di scetticismo e una domanda da quinta elementare o da re nudo: l'app dei miracoli a cosa serve? È evidente che per creare benefici sociali dovrebbe essere scaricata da almeno il 60% della popolazione. Su questo non ci sono dubbi, tanto che il ministro francese per l'Innovazione, Cédric O, ha chiesto a Google e ad Apple di mettersi a disposizione per realizzare una app nazionale di contact tracing. «Senza la loro collaborazione è praticamente impossibile raggiungere milioni di telefonini, quindi milioni di persone».Nel governo di Giuseppe Conte, dove l'approfondimento e il dubbio sono variabili sconosciute, nessuno obietta e si tira dritto «ma senza l'obbligo di scaricarla», ha precisato Palazzo Chigi per non suscitare polemiche sulla privacy nella geolocalizzazione. L'obiettivo è quello di coprire così il 60% degli italiani. Anche se non tutti hanno un cellulare, anche se non sono pochi coloro che per comodità o snobismo continuano a usare i Motorola con patella, anche se il quarto smartphone di famiglia destinato al tredicenne iperconnesso non può fare numero. Mentre tutto il mondo dubita, ieri la sottosegretaria alla Salute, Sandra Zampa, prodiana d'acciaio, ha confermato: «Il progetto va avanti, a maggio si parte. Anche se non si arriva al 60% di copertura è valida lo stesso». Neanche fosse un dogma o un servizio a tesi di Report. La signora dev'essere ancora ferma a quel video di Haaretz, testata israeliana, nel quale alcuni zombie di gesso si sorvegliano con gli smartphone camminando, e verificano così - in un mondo lobotomizzato stile Matrix - se sono entrati nel campo di un contagiato. È il trionfo della rivoluzione digitale da salotto, quella che piace al progressive party all'amatriciana. E continua a non tenere conto di quattro insegnamenti che in queste settimane si sono consolidati.Primo. I modelli di Corea e Singapore ci dicono che Immuni da sola non basta. Servono tamponi e test sierologici. In più, senza una consistenza numerica importante (almeno il 60% della popolazione) la app fortemente voluta dal governo è meno utile di quella di Glovo per farsi portare la pizza. Secondo. In Italia, su indicazione dell'ex rappresentante dell'Oms (l'organizzazione ha preso le distanze) nonché consulente di Palazzo Chigi Walter Ricciardi, nelle prime settimane del contagio i tamponi erano definiti «una strategia marginale». Dopo un mese di incertezze il sistema ha preso piede (ora la Lombardia li usa in modo massiccio), ma necessiterebbe di numeri più importanti per mappare al meglio la popolazione. L'incrocio tampone-test sierologico alla coreana, da noi solleva un problema: i tempi dei laboratori nel processare i campioni. Di questo passo, prima di avere uno scenario attendibile dei positivi potrebbe passare un altro mese. Ma Immuni non può prescindere da questa prima fase.Terzo. Se un cittadino positivo (da tampone) e quindi ufficialmente in quarantena volesse comunque uscire per i fatti suoi come il Paziente 1 a infettare il quartiere, violerebbe la legge. E quindi non sarebbe così sprovveduto da portare con sé il telefonino mentre commette un reato. Possiamo già immagine i sotterfugi all'italiana per sfuggire al monitoraggio.Quarto insegnamento. Non c'è esperto di privacy e di implicazioni psicologiche della stessa sui cittadini che non sottolinei: «Se non è obbligatorio scaricarla, questa app non serve a niente». In una democrazia che per fortuna non è ancora vicina al modello cinese, la domanda a questo punto risuona rispettosa ma lievemente infastidita: Immuni a cosa serve?La pervicacia con cui il governo Pd-Movimento 5Stelle prosegue la marcia verso un algoritmo salvifico solo in termini di marketing è sospetta. La brama di nozioni personali mette il contribuente in allarme. «Il mio regno per un dubbio», direbbe oggi Riccardo III sceso da cavallo. E non regge neppure la filosofia dominante da bar chiuso: «Scaricatela, non fate gli schizzinosi, tanto abbiamo già regalato i nostri dati a Facebook». Immuni si ma sprovveduti non ancora. Fra un'azienda privata che prova a venderti una dentiera e uno Stato con il Fisco dai canini affilati c'è sempre una certa differenza.
Cristian Murianni-Davide Croatto-Andrea Carulli