
A contendersi l'incarico sono il democratico Terry McAuliffe (che è stato già governatore dell'Old Dominion State dal 2014 al 2018) e l'ex Ceo di Carlyle Group, il repubblicano Glenn Youngkin. La sfida, che si terrà il prossimo 2 novembre, sta vedendo una campagna elettorale particolarmente agguerrita. E questo è chiaro innanzitutto dagli ingenti investimenti che sono stati condotti sul fronte degli spot televisivi: secondo Cnbc i due candidati hanno speso a tal proposito un totale di 47 milioni di dollari, con McAuliffe che ha fatto la parte del leone, sborsando circa 25 milioni. In tale contesto, i temi su cui i due avversari stanno battagliando sono numerosi: dall'aborto all'indottrinamento scolastico, passando per l'uso delle mascherine e la criminalità.
Al momento i sondaggi fotografano una situazione aperta: nonostante le iniziali difficoltà, nelle ultime settimane Younking è progressivamente salito nei consensi. Mercoledì scorso, una rilevazione condotta dalla Monmouth University ha registrato un testa a testa tra i due contendenti che risulterebbero appaiati al 46%. Un altro sondaggio, pubblicato pochi giorni prima da YouGov, aveva dato a McAuliffe un vantaggio del 3%, ma all'interno di un margine di errore del 4,1%. Una buona notizia per i repubblicani che, in Virginia, si trovano a dover camminare su un terreno scosceso. Dal 2002 ad oggi, lo Stato ha sempre avuto infatti governatori democratici (eccezion fatta per il quadriennio di Bob McDonnell dal 2010 al 2014). Tutto questo, mentre – anche a livello di elezioni presidenziali – l'Old Dominion State – un tempo area saldamente repubblicana – dal 2008 è passata ai democratici. Più nello specifico, poi, si tratta di uno Stato in cui Donald Trump ha tradizionalmente riscosso non eccessive simpatie dal punto di vista politico. Se Younking dovesse quindi riuscire a vincere, si tratterebbe di una significativa inversione di tendenza.
D'altronde, lo scontro in Virginia avrà prevedibilmente delle conseguenze sul piano nazionale. Non sarà del resto un caso che diversi big di entrambi i partiti abbiano voluto intervenire in questa campagna elettorale. Trump ha dato il proprio endorsement a Younking, mentre lo scorso 24 ottobre Barack Obama ha tenuto un comizio a Richmond in favore di McAuliffe, accusando il candidato repubblicano di "coltivare il sostegno di coloro che cercano di abbattere la nostra democrazia". Parole dure, che tradiscono – se vogliamo – un certo nervosismo nel campo dell'Asinello. Del resto, che questa sfida governatoriale sia finita sotto i riflettori nazionali è dovuto anche al fatto che, il prossimo 2 novembre, l'unica altra tornata simile si terrà in New Jersey, dove è quasi certa una vittoria dei democratici, con la riconferma del governatore uscente Phil Murphy.
Insomma, lo scontro in Virginia viene letto come un'anticipazione delle elezioni di metà mandato che si terranno a novembre del 2022. E, in tal senso, i repubblicani cercano la riscossa, con l'obiettivo di riuscire a guadagnare terreno. Va senza dubbio detto che le elezioni governatoriali spingano i votanti a seguire logiche di scelta differenti rispetto a quelle presidenziali e a quelle per il Congresso: questo per dire che, nonostante la sua importanza, la sfida virginiana non andrebbe caricata di significati che di fatto non ha. Il punto tuttavia è che, psicologicamente parlando, l'esito di tale battaglia non potrà non essere interpretato in chiave nazionale, soprattutto alla luce delle recenti difficoltà in cui versa la Casa Bianca e del clima politico generale sempre più polarizzato negli Stati Uniti. Se i repubblicani dovessero spuntarla, per Joe Biden suonerebbe l'ennesimo campanello d'allarme. Dovessero invece vincere i democratici, sarebbe Trump a veder scricchiolare la sua presa sull'Elefantino. Tutto questo, tenendo comunque sempre bene a mente che lo snodo fondamentale non ci sarà prima di novembre 2022.