
«Vendetta, tremenda vendetta». La frase ricorreva da giorni sulle labbra dei colonnelli del Movimento 5 stelle, beffati dal salvataggio di Radio Radicale ottenuto con i voti decisivi della Lega. E vendetta è stata, ieri mattina, quando in commissione di Vigilanza è passata la mozione grillina votata dal centrosinistra, che propone l'incompatibilità del doppio incarico di Marcello Foa come presidente della Rai e al tempo stesso di Raicom, la consociata che si occupa della diffusione dei canali. La ritorsione è andata a segno, anche se a proporre il doppio incarico - a titolo gratuito e senza cariche operative - era stato proprio l'amministratore delegato Fabrizio Salini, nominato in quota pentastellata.
Fabio Fazio
Molta acqua è passata nell'ultimo anno sotto i ponti radio e fra i ripetitori della tv di Stato, dove le promesse di cambiamento sono annegate nella solita palude dominata dai coccodrilli rossi, specie anfibia indistruttibile che nuota dai tempi della Prima Repubblica, abile nelle mutazioni apparenti ma garante dei privilegi e dell'immobilismo. La votazione del documento del grillino Primo Di Nicola non ha lasciato margini: 21 favorevoli (14 grillini, sette fra piddini e Leu), quattro astenuti (Forza Italia) e nove contrari (Lega e Fratelli d'Italia). I responsabili dell'azienda hanno accolto il verdetto con serenità, del resto il testo non è vincolante e la commissione non ha il potere di impartire ordini al consiglio d'amministrazione. «La Rai prende atto con rispetto del voto espresso sulla nomina di Marcello Foa alla presidenza di Raicom» recita uno stringato comunicato. «I vertici aziendali, convinti della correttezza del proprio operato, effettueranno tutte le valutazioni conseguenti nel prossimo cda». L'intenzione è quella di non cedere di un centimetro davanti al sudato agitarsi di pasdaran catodici piddini del calibro di Michele Anzaldi e Davide Faraone.
La spaccatura nella maggioranza è imbarazzante e conferma che dentro la Rai vanno in onda le prove tecniche di inciucio alternativo a sinistra. Ma Luigi Di Maio si affretta a far sapere su Facebook che non si tratta di tradimento. «Abbiamo solo evidenziato l'inadeguatezza del doppio incarico da parte del presidente. Nessuna polemica e nessuna ostilità. La politica ha messo le mani sulla Rai da troppo tempo e gli italiani hanno pagato un canone sempre più alto, per avere cosa in cambio? Un'informazione asservita a logiche di potere e clientelismo. Ora basta».
Una dichiarazione curiosa se si pensa che la votazione ha visto il suo Movimento accodarsi alle richieste di chi, queste logiche di potere e di clientelismo, applica con gentile ferocia da mezzo secolo. Poi Di Maio ha lanciato una minaccia: «Diamo il via a questa riforma che è nel contratto di governo oppure tagliamo il canone ai cittadini». Neppure Matteo Salvini ha voluto attribuire al voto in commissione di Vigilanza un valore politico in senso generale, ma ha preferito affondare il colpo sui privilegi: «Si possono e si devono tagliare i megastipendi, si devono ridurre le produzioni esterne e va ridimensionato lo strapotere degli agenti che dettano contratti e palinsesti».
Una consonanza di fondo nei principi, con sostanziali differenze negli effetti. Di Maio, partito lo scorso anno a cavallo per fare a fette la vecchia Rai trasformista, ha operato una frenata prodigiosa e sembra privilegiare lo status quo tardodemocristiano.
Prendiamo Fabio Fazio: improvvisamente per i grillini non è più un bersaglio. Sono state sufficienti due ospitate del vicepremier durante la campagna per le europee e il Movimento ha cambiato idea. Lo confermano anche i dati ufficiali del Tgd (tempo gestito direttamente) rilevato dall'Osservatorio di Pavia: il 50,2% è andato ai 5 stelle, il 18,5% al Pd, il 16,4% a Forza Italia. La Lega non ha voluto fare passerella a Che Tempo Che Fa. Fabrizio Ferragni, direttore delle relazioni istituzionali che aveva osato sollevare con l'ad Salini un problema di par condicio, è stato brutalmente fatto fuori.
palude
Così nella palude Rai si nuota lentamente e non si fa l'onda. Mario Orfeo, ex dirigente con granitici appoggi a sinistra, ha ancora l'ufficio al settimo piano e ha rapporti molto stretti con il direttore del Tg1 Giuseppe Carboni. Alberto Matassino, nuovo direttore generale, è stato un cardine della fondazione di Enrico Letta. Anche Franco Di Mare, indicato dai 5 stelle per ogni direzione, è una vecchia e abile conoscenza della Rai immobile dominata dai partiti. E l'ostilità a Marcello Foa? La risposta più centrata arriva da chi in redazione ne ha viste tante. «Brava persona, ma ha il peccato originale: non è di sinistra».






