2021-11-08
Il nuovo Muro del delirio sanitario va abbattuto come quello di Berlino
Nostalgici del comunismo e talebani della puntura, identico disprezzo del dissensoEzio Mauro ha scritto proprio un bel libro. Si intitola Lo scrittore senza nome (Feltrinelli) e racconta di Julij Daniel', che a metà degli anni Sessanta fu protagonista (da imputato) di un processo il cui esito era scontato: colpevolezza. Daniel' finì davanti a un tribunale sovietico assieme a un altro letterato, il più noto Andrej Sinjavskij. Erano accusati di aver pubblicato all'estero sotto pseudonimo, opere antisovietiche. Arrestati, rimasero in aula più o meno dalla metà del 1965 fino al febbraio del 1966, attirando l'attenzione del mondo intero. Quindi, come da manuale, furono spediti nel Gulag.Scontata la pena, i loro destini furono molto diversi. Siniavskij riuscì a lasciare l'Urss riparando a Parigi, dove divenne una celebrità fra i dissidenti. Daniel' rimase in Russia, come una sorta di morto vivente: dopo i lavori forzati, la condanna a vita all'estraniamento. Morì davvero alla fine del 1988, poco prima che il comunismo crollasse. Ai primi di gennaio del 1989 Siniavskij rientrò a Mosca, dopo 15 anni di esilio, per partecipare ai funerali dell'amico.Questa storia straziante - e raccontata molto bene da Mauro - vale la pena di essere letta. Soprattutto, sarebbe importante leggerla in questi giorni. Domani, infatti, è il 9 novembre, anniversario dell'abbattimento del Muro di Berlino. In Italia si celebra la Giornata della libertà, istituita per legge nel 2005, il cui scopo non è soltanto il ricordo degli orrori del regime comunista. No: il 9 novembre dovrebbe pure invitare al raccoglimento, alla preghiera silenziosa per chi è oppresso ancora oggi da regimi tirannici. Non a caso, al Senato, si terrà una presentazione del romanzo grafico L'angelo di Budapest (edizioni Ferrogallico), illustrato dal bravo Attila Futaki e dedicato alla rivolta ungherese del 1956, di cui ricorre il sessantacinquesimo anniversario. Dopo mesi di sfibrante e stantia polemica sull'improbabile «ritorno del fascismo», queste ricorrenze potrebbero servire a ricordarci l'esistenza di un mostro che ancora non è stato del tutto sconfitto, e che ha allungato i suoi tentacoli pure sull'Italia. È istruttivo rileggere ora ciò che scrissero gli esponenti italiani del Pci (a partire da Giorgio Napolitano) quando il tallone sovietico si allungò a schiacciare l'Ungheria ribelle. Ed è un filo sconfortante notare che i conti con il comunismo, ancora oggi, non sono stati fatti fino in fondo. Per rendersene conto basta un'occhiata alla quarta di copertina del volume di Mauro: la parola comunismo non appare mai, sostituita da formule come «regime sovietico» o «potere sovietico». Ma c'è dell'altro. All'inizio del libro, Daniel' si presenta davanti agli agenti del Kgb, e chiede quando finiranno di perseguitarlo: «Fino a quando durerà tutto questo?». Risposta: «Tocca a lei dimostrare di aver capito cos'è giusto e cos'è sbagliato. Mentre ci pensa, le ricordo che dovrà seguire alcune regole molto semplici: alle dieci di sera deve essere a casa, non può uscire dalla città senza permesso […]. Non può andare al ristorante, a teatro, al cinema, a riunioni letterarie o raduni politici». È molto difficile scorrere queste parole e non pensare, almeno per un momento, ciò che viviamo da due anni. Verissimo: non ci sono i Gulag, le fucilazioni, il Kgb. Ma spaventa notare che certi tratti culturali e certi modi di esercitare il potere, a lungo praticati dai comunisti italiani sull'esempio sovietico, si presentano tuttora con frequenza nei talebani del vaccino. Il disprezzo verso il dissenso è il medesimo. Ed è raccapricciante l'arroganza dell'autorità che si riserva di prolungare le restrizioni a tempo indeterminato, scaricando la responsabilità sul cittadino inerme.Vero, non ci sono le purghe. Ma su tutti i giornali si leggono le stesse formule, le stesse frasi apodittiche, persino alcune patenti menzogne utili a rafforzare la traballante narrazione istituzionale. C'è persino chi, con estrema leggerezza, fa affermazioni da far accapponare la pelle. Giusto ieri, dalla prima pagina della Stampa, Sergio Abrignani del Cts ci informava che bisogna «valutare» la possibilità di lockdown per i no vax, ciò persone che esercitano un diritto e che si pensa di serrare in casa nemmeno fossero appestate. Il mondo progressista non ha mai elaborato fino in fondo il passato comunista, tende ancora all'autoassoluzione, ma soprattutto continua ad assumere un atteggiamento antico e terribile, di superiorità antropologica, di odio per il diverso. Indagare questo difficile rapporto con la libertà oggi è più che mai necessario. Perché i Gulag non ci sono più, ma la vocazione autoritaria resta eccome.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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